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Ashley Bates. Asma Al-Ghoul nella città dell'amore e dei tabù
13 Gennaio 2011
 

La femminista palestinese Asma Al-Ghoul (foto) arriva al nostro appuntamento a Gaza, in un caffè, in blue jeans e maglietta a maniche corte, in forte contrasto con i fazzoletti da testa ed i vestiti a forma di tenda indossati dalla maggioranza delle donne di Gaza. Non è solo l'abbigliamento a singolarizzare questa ventottenne laica. In passato ha ripreso pubblicamente un anziano leader di Hamas, suo zio, che aveva minacciato di ucciderla, e continua a pubblicare articoli che fanno discutere, a leggere libri banditi e a sfidare le politiche discriminatorie. «Gaza ha bisogno che i laici e i libertari restino qui», insiste quando le chiedo perché ha declinato l'opportunità di vivere all'estero.

Per tre anni, Israele ha imposto un blocco devastante della Striscia di Gaza che mirava ad isolare Hamas, il gruppo islamista militante che ha vinto le elezioni parlamentari nel 2006 e che ha ottenuto il controllo di questo territorio palestinese con una guerra civile nel 2007 (Fatah, una organizzazione politica palestinese più moderata, mantiene il controllo della West Bank). Da allora, Hamas ha introdotto nuove leggi restrittive, incluse la proibizione per le donne di servirsi di parrucchieri di sesso maschile o di fumare la pipa ad acqua in pubblico.

La polizia di Hamas proibisce i concerti ed interroga le coppie che ritiene sospette. I presidi delle scuole governative fanno pressioni perché anche le ragazze cristiane indossino l'hijab.

Nonostante tutto questo, Asma è rimasta fedele alla sua laicità, e di recente ha vinto un prestigioso premio conferitole da Human Rights Watch per il suo “impegno per la libertà di espressione ed il suo coraggio di fronte alla persecuzione politica”. Ma riuscirà a costruire la società civile inclusiva che sogna?

Primogenita di nove figli in una famiglia «laica ma non borghese», uno dei primi ricordi di Asma è il suono dei tonfi degli stivali dei soldati israeliani che venivano a perquisire casa sua durante la notte. Rafah, la sua città vicina al confine egiziano, è una delle comunità più deprivate e conservatrici di Gaza, ed è un bersaglio frequente di bombardamenti ed incursioni da parte di Israele.

Dopo aver frequentato l'università a Gaza, Asma ha trovato lavoro come reporter in un quotidiano locale, Al-Ayaam. I suoi articoli, i suoi post sul blog e su twitter, hanno rendicontato ciò che lei chiama «la corruzione di Fatah ed il terrorismo di Hamas». Sulla fine del 2003 Asma sposò un poeta egiziano (in contrasto con la tradizione dei matrimoni combinati largamente praticata a Gaza) e andò a vivere ad Abu Dhabi. La coppia ebbe un figlio, Naser, ma divorziò dopo un anno e mezzo. Asma ed il bambino si trasferirono nella famiglia di lei a Gaza City, dove la donna ha continuato a lavorare come giornalista. Con grande sconcerto di alcuni parenti ed amici, nel 2006 Asma decise di rimuovere permanentemente il fazzoletto da testa: «Non volevo essere due persone, una laica e l'altra islamica».

I parenti più prossimi, incluso suo padre, professore di ingegneria all'Università islamica di Gaza, hanno sostenuto il suo diritto all'autonomia. «Pare che solo se tuo padre o tuo marito sono laici tu possa essere libera», dice Asma.

Durante la guerra civile del 2007, Asma frequentava un corso di giornalismo in Corea del Sud, da dove pubblicò un impressionante articolo in arabo intitolato “Caro zio, è questa la patria che vogliamo?”. L'articolo richiamava affettuosi ricordi d'infanzia del fratello di suo padre, un leader di Hamas, e poi lo attaccava per essersi rivoltato contro il suo stesso popolo e perché usava la casa della famiglia per interrogare e bastonare attivisti di Fatah. In risposta, lo zio minacciò di ucciderla. Un anno più tardi, Asma scrisse del trauma della guerra fra Israele ed Hamas (2008-2009) che privò della vita 13 israeliani e circa 1.400 abitanti di Gaza. Spesso dorme in ufficio, per timore di essere uccisa sulla via di casa: un percorso che si fa a piedi in cinque minuti.

«Sembrava che gli aerei israeliani fossero ciechi», ricorda Asma. «Attaccavano qualsiasi cosa, chiunque. Ho visto i bambini morti... Come donna e come essere umano io non credo nella vendetta, perché porta solo altro sangue. Ma la gente mi diceva, durante la guerra: Vedi? È questa la tua pace». Sebbene abbia amici attivisti ebrei, Asma non è mai entrata in Israele. Nel 2003, e poi ancora nel 2006, il governo israeliano le ha negato il permesso di viaggiare attraverso il paese per raggiungere la West Bank dove doveva ricevere premi per i suoi scritti.

Asma Al-Ghoul riceve l'attenzione dei media anche per i suoi “incidenti” con la polizia di Hamas. Nell'estate del 2009, ha passeggiato sulla spiaggia pubblica di Gaza con un gruppo misto (uomini e donne) ed ha fatto visita ad un collega di sesso maschile ed alla sua famiglia che abitano presso la spiaggia. Asma ed i suoi amici furono interrogati dalla polizia di Hamas ed i membri maschi del gruppo furono costretti a firmare dichiarazioni in cui promettevano di non ripetere le loro “interazioni inappropriate” con donne. In relazione a questo fatto, Asma ricevette anonime minacce di morte e fu pedinata e controllata ripetutamente dalla polizia (le accuse della polizia per Asma erano, letteralmente: vesti inappropriate e risate inadeguate, ndt).

Ma forse ci sono segni di speranza. L'agosto scorso, 2010, Asma e tre attivisti forestieri hanno fatto un giro in bicicletta lungo la costa di Gaza, sfidando il bando che Hamas ha messo sulle donne cicliste. Sorprendentemente, la locale polizia di Hamas ha contrastato due motociclisti che avevano inseguito e molestato il gruppo, e la maggioranza dei civili è stata di sostegno: «Erano sorpresi, ma in modo divertito. Dicevano: E vai! Brava! E mi chiedevano: Stai digiunando per il Ramadan? E io rispondevo: Sì, sto digiunando». L'avventura su due ruote di Asma l'ha condotta a concludere che le leggi discriminatorie verso le donne sono “flessibili”. Crede che Hamas si trovi «tra due fuochi: come mantenere soddisfatta la società civile, e come soddisfare i gruppi estremisti».

Ma Asma ha anche altri problemi. Suo fratello Mustafa è stato arrestato ed imprigionato dalla polizia di Hamas la prima settimana del dicembre 2010, per aver partecipato ad una manifestazione di protesta in strada contro la recente chiusura, da parte di Hamas, del Forum della gioventù Sharek. L'organizzazione nonprofit in questione, che organizza campeggi e doposcuola per più di 60.000 bambini di Gaza, è accusata di avere pornografia sui propri computer. Asma non ha mai lavorato per Sharek, ma ne ammira il lavoro. L'organizzazione è forse più conosciuta per gli annuali giochi estivi per bambini tenuti in spiaggia (segregati per genere) e sponsorizzati dalle Nazioni Unite. Durante l'estate scorsa, alle tende erette per questi giochi è stato ripetutamente dato fuoco da uomini armati mascherati, e membri delle Nazioni Uniti sono stati minacciati di morte. Volantini diffusi prima degli incendi dicevano che le Nazioni Unite e Sharek «insegnano alle scolarette la danza e l'immoralità».

«E pensare che io ero solita criticare Sharek per il suo conservatorismo, per il fatto ad esempio che non permette a chi ci lavora di ascoltare musica», dice Asma con un sospiro colmo di fatica. «Sharek è un piccolo esempio di cosa Hamas vuole fare di questa società. Con il tempo ce ne saranno di più grandi». In questi giorni, quando non è travolta dalla preoccupazione per il suo fratello imprigionato, Asma legge, scrive, e segue le notizie di attualità, incluso il fallimento dei negoziati di pace fra Israele e Fatah. Vede questi colloqui come «una fiaba triste, di cui tutti sanno la fine». Ha acquistato di contrabbando una copia in arabo di Midnight's Children di Salman Rushdie: «Dobbiamo leggere, prima di giudicare», insiste.

Asma sta anche terminando il suo romanzo, intitolato “Città dell'amore e dei tabù”, dove esplora l'islamizzazione di Gaza. Spera di riuscire a pubblicarlo in arabo e in inglese. «Qualsiasi cosa è tabù, ora, a Gaza», dice spiegando il titolo del libro. «Eppure, allo stesso tempo, le persone ancora toccano con le proprie mani, hanno emozioni, amano».

 

Ashley Bates

(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 13 gennaio 2011)

Traduzione di Maria G. Di Rienzo

 

 

Ashley Bates è una giornalista, testimone e attivista per diritti umani che scrive le sue corrispondenze da Gaza.


 
 
 
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