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Giuliano Pontara. Il dolore segue l'errore 
Risposta a Enrico Peyretti e alla nostra comune angoscia
23 Marzo 2011
 

Caro Enrico,

condivido la tua angoscia e quella di tanti altri nel mondo - un'angoscia che si aggiunge a quella che giornalmente proviamo di fronte alle grandi violenze nei territori occupati, a Gaza, in Congo, Darfur, Costa d'avorio, Iraq, Afghanistan, Sudan...

E ora l'inganno “umanitario” si ripresenta ancora una volta. Col solito linguaggio asfittico e mistificatorio, con qualche variazione - “no-flying zones”, “tempesta nel deserto”, “Odyssey Dawn” - viene mascherata la brutalità della guerra - di ogni guerra: nell'ultimo anno Wikileaks ha dato la possibilità, a chi ne è interessato, di vedere un po' più addentro la realtà disumana, brutale della guerra in Afghanista e Iraq, e i giochi sporchi che l'accompagnano. La nuova “operazione chirurgica” “per salvare la popolazione civile” causa e causerà morti e sofferenze tra la popolazione civile - direttamente o indirettamente, ma per le vittime presenti - e quelle future delle armi a uranio impoverito - non fa nessuna differenza. Succede in ogni guerra - e anche questa volta si parlerà di “danno collaterale” e di “proporzionalità”, invocando categorie della “dottrina del doppio effetto” di origine tomistica. Trasportata nel '600 nella oggi obsoleta dottrina della “guerra giusta”.

Si dice - ripetendo il mantra già udito in tante occasioni precedenti - che il massiccio intervento militare della “comunità internazionale” (il vetero-sclerotico Consiglio di sicurezza che non riesce a riformarsi) contro il governo di Ghedaffi è “il male minore”. Magari oggi come oggi, visti i giochi di realpoltik in atto, lo è. Ma si aggiunge al male maggiore delle varie politiche di appoggio al Governo libico praticate per anni da vari paesi della EU, e non solo.

Due mali non fanno un bene. Il circolo è vizioso. Parte delle armi che Ghedaffi sta usando sono state fornite dagli stessi paesi che ora si ergono a paladini della nuova “guerra umanitaria”: i mirage di Sarkozy, che cerca di salvarsi la pelle nelle elezioni presidenziali, distruggono i mirage che il governo di Ghedaffi ha precedentemente comperato dalla Francia (e qualcuno si è pure imbottito d'oro).

Stando alle statistiche riportate in The Guardian, nel periodo 2005-2009 i quattro maggiori esportatori europei di armi alla Libia sono stati, nell'ordine: Italia, Francia, Regno Unito, Germania. Nel solo 2009 il totale delle esportazioni di armi dall'Europa alla Libia si aggirava sui 343 milioni di euro, con l'Italia sempre al primo posto. È interessante notare che proprio i governi di questi quattro paesi nel 2004 furono tra i più attivi per l'abrogazione dell'embargo sull'esportazione di armi alla Libia. Le armi più sporche (Chemical or biological toxic agents, 'riot control agents', radioactive materials, related equipment, components and materials) sono state fornite proprio da Francia, Gran Bretagna - e Germania. (Va notato che tutti i calcoli sono stati fatti in base ai dati pubblici riguardanti le licenze di esportazione - altri dati più precisi non sembrano esserci: se qualcuno ne ha di più attendibili, sarebbe bene che li fornisse).

 

In Libia è in corso l'escalation di una guerra “civile” - conflitto armato asimmetrico in cui il movimento iniziale di sollevazione pacifica di parte della popolazione si è trasformato in lotta armata di sopravvivenza di gruppi male armati e male organizzati coadiuvati da alcuni reparti militari guidati da colonnelli e ex-ministri che hanno fatto voltafaccia e che fino all'altro ieri si ingrassavano alla tavola ben bandita del Colonnello; hanno lasciato la tavola quando credevano di aver la facile occasione di apparecchiarne velocemente una loro. E poi ci sono i vari clan che nella situazione di guerra in atto si scatenano in nuova lotta per il potere. La situazione è orribilmente complessa.

Si innestano anche i soliti processi di paura, odio, brutalizzazione, disumanizzazione che sono sempre connessi con l'escalation della violenza.

Alcuni membri del consiglio rivoluzionario nazionale (tutti uomini, nessuna donna, per quanto ne so) hanno espresso il timore che un intervento aereo “limitato” a mantenere la no-flying zone risulti in una situazione di stallo e la divisione della Libia; hanno quindi chiesto l'escalation dei bombardamenti al fine di eliminare definitivamente, una volta per tutte, il governo Ghedaffi (che non è solo la persona di Ghedaffi, perché dietro c'è anche un potente clan, e altri vesed interests). E allora? Le “potenze” francese, inglese, Usa (lasciamo stare gli staterelli - compresa la Svezia - che intendono simbolicamente partecipare al gran salvataggio con tre-quattro aerei, magari anche per fare un po' di realistiche manovre sul campo) che intervengono - ora sotto la direzione della Nato - “a fini umanitari” intendono combattere fino in fondo una guerra prolungata per e a fianco dei ribelli che da soli non riescono a fermare ed avere il sopravvento sull'esercito di Ghedaffi? In questo caso si profila un massiccio intervento militare a terra, come a suo tempo in Kossovo/a. Oppure le “potenze della coalizione” sono disposte ad accettare una partizione della Libia? E questo dove mai ci porta?

In ogni caso, per la popolazione libica rimarrà di nuovo l'enorme compito di ricostruire le infrastrutture distrutte (senza appalti lucrosi alle varie Halliburton di ogni tipo che già hanno fatto enormi quattrini con le guerre), curare le lacerazioni nella società, bloccare i processi di vendetta ai quali i “vincitori” spesso si abbandonano - la giustizia impiccativa, come in Iraq sia durante il regime di Saddam Hussein sia dopo la sua caduta -, ricostruire la cooperazione reciproca, il tessuto sociale, la fiducia tra le giovani generazioni in nuove istituzioni: compito immane, come in Bosnia, come in Kosovo/a, in Iraq, in Afghanistan... ma occorre la politica costruttiva, la nonviolenza, a livello locale e a livello di comunità internazionale, dal basso e dall'alto, altrimenti si profilano nuovi massacri.

Ciao

Giuliano


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