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Archeologia editoriale. Beppe Costa: Romanzo siciliano (Pellicanolibri, 1984) 4
Beppe Costa con Melo Freni. Presentazione Premio
Beppe Costa con Melo Freni. Presentazione Premio 'Villa delle Querce' organizzato da Pellicanolibri 
01 Febbraio 2010
   

PARTE SECONDA

 

1 

 

Venne l’alba. Piano piano Marco vedeva la luce filtrare dalle fessure della finestrella nella sua stanza a tre muri. La notte al solito era trascorsa trovandolo insonne (e senza aver portato consi­glio). Aveva solo pensato che non poteva tradire la fiducia di amici, parenti e conoscenti.

Accettare o no quella raccomandazione? Gli avrebbe risolto, forse definitivamente, il problema. Poi poteva anche trasferirsi o fuggire, che è un po’ la stessa cosa.

Che cazzo gli fregava ancora che la luna si stagliava nel cielo, che entrava l’odore della zagara in quel di Acitrezza? La sua donna..., anche lei si sarebbe oscurata in volto come le accadeva quando vedeva o pensava di vedere una cosa ingiusta.

Ma cos’era ingiusto poi? Già il fatto di pensare alla ‘sua’ donna. Sua e perché? Donna come? Mica era una vera donna. L’aveva sentito ripetere più volte in ritornelli – Vuoi essere una ‘vera’ donna? pelliccia Annabella, rinfresca l’estate, riscalda l’inverno! e fa di te una ‘vera’ donna. – Quindi dov’era il problema? non era sua, non era vera e per lei avrebbe dovuto rinunciare ad una stanza quadrata e forse a più stanze? per non vederla rabbuiare davanti a questo mito-Marco in cui ancora solo lei credeva? O il fatto reale era quello di essere nato e di vivere in un periodo ‘altamente’ televisi­vo e pubblicitario, dove dogmi, ideali, insegnamen­ti, esperienze si confondevano e non riconosceva più i diversi tipi di ‘persuasori occulti’?

E la coscienza? Guarda Marco, se continui a ragionare così del vacuo ti pianto qui. Queste ri­flessioni non mi piacciono proprio. Sembri un per­sonaggio da fumetti banali. Un protagonista così stronzo non va bene neppure per un romanzo qua­lunquista come questo. È esasperante ed esaspera­to. Non è comunque ciò che ho sperato per la mia carriera di scrittore all’opera prima. Qui sarà im­possibile trovare pure l’editore. Gli alternativi sono tutti o quasi falliti o comprati dai politici.

«E perché non lo fai tu l’editore?» spicca fuori la domanda di Marco dalla pagina che perde spes­so, troppo spesso, il controllo dell’autore, nonché acquirente della stessa carta. «Sei scemo, caro il mio Marco, io faccio lo scrittore, l’artista, l’illumi­nato, l’editore è sole un commerciante, non mi passerebbe neppure l’idea per la testa. Che pense­rebbe poi mia madre? (Le mamme in Sicilia sono più importanti che altrove). Io scrivo, io stampo. Non solo non mi riesce di guadagnare, ma almeno gli do (ogni tanto) l’impressione di avere un figlio genio. Pure se arrivo a settant’anni suonati lo trovo un editore. O vado da Costanzo? Tu stai calmo che una trama te la rimedio comunque. I protagonisti dei romanzi sono sempre positivi, anche quando uccidono o si uccidono. E qui ancora il tuo io positivo non è venuto fuori. E, poi, non pensi mai alla donna che ami?»

«Ma quando mai l’hai descritta? È compito tuo. Non fai che parlare delle tue cose attribuendole a me. C’è una donna? Non mi sembra, che mi sarei suicidato a fare? Qualche cenno m’è parso di leg­gerlo… sono importanti... di nuovo? Dov’è?»

«Ogni cosa a suo tempo». Ecco questo l’assun­to. Ogni cosa a suo tempo. La gente, specie i giovani, non sanno aspettare. E i siciliani sono i peggiori di tutti. Hanno più fretta, si sentono inse­guiti, defraudati, sembrano più di altri mordersi la coda.

Marco era rimasto lì, nella notte (tutta) sul letto, ma non altrettanto i suoi pensieri che sbattevano sulle tempie in continuazione e adesso all’alba di un nuovo giorno primaverile per gli altri paesi (a Catania, lo sa bene chi vi abita, non c’è primavera) si sentiva col cervello in fiamme.

Uscì nel cortile: che profumo! Sì, ma quel giorno doveva andare da Venuta, ci aveva infine il suo bravo appuntamento dopo un mese che lo inseguiva da una segreteria all’altra con quegli accidenti di impegni politici.

Cosa gli avrebbe detto nei tre minuti che sicu­ramente gli avrebbe concesso?: “Io sono uno che sa fare tutto”, cosa anche questa abbastanza comu­ne in Sicilia, poi non si trattava di darti un posto alla Posta! oppure: “Io sono uno che vale 500, no, 300”, meglio una cifra più credibile, diciamo: “Io sono uno che rappresenta 181 voti, dico 181 anche se sono sicuramente di più, ma preferisco mettere in tavola quelli certi. Posso esserle utile perché mi occupo di ‘cultura’, rappresento l’intellighentia, ho i ‘gangli’ vitali - così lo confondi - Lei - ma che lei, dagli del tu, è anche più piccolo di te e fra compa­gni poi! - Ciao! Io rappresento in questa città di mer... meravigliosi fenomeni, un fatto essenziale. Sono un episodio a sé e come tale (raro) tutti si fidano di me anche perché sono sempre in miseria. E quando faccio qualcosa mi seguono. È però es­senziale che il partito non si sposti almeno per un giorno (non come ha fatto in questi ultimi anni che non riesci ad inseguirlo e da comunista ti ritrovi socialdemocratico)”.

 

Così se ne andò da lui con il primo foglietto di raccomandazione. Così si leggeva: ‘Il latore della presente è carissimo e fedelissimo amico. Aiutalo in tutti i modi. Tu riuscirai. Mi raccomando, abbiati la mia stima’.

Marco andò via così, più incazzato di come era arrivato e si domandò che c’era andato a fare da quello. Perché gli avevano detto che era l’unico sensibile alle cose della cultura? Perché non con­tinuava a fare i concorsi? La madre non credeva che dopo 102 concorsi si poteva ancora perdere?

Risollevò il morale (non la morale) rimuginan­do sull’incontro. L’aveva temuto come una vergo­gna e sperato come una soluzione. Era diventato un po’ triste e un po’ stupito di se stesso. Non sapeva però quale dei due po’ era più po’ e quale meno. Decise di non confondersi in quella giornata di cui almeno aveva visto l’alba. Pensate ad imma­ginare voi la sua faccia.

 

Ricordò Marco Ferreri, Jannacci e l’Udienza. Sarebbe finita alla stessa maniera?

Si fece coraggio. Telefonò, dopo essersi consul­tato con tutti, amici, parenti, conoscenti e i rispet­tivi conoscenti e amici dei parenti. Questo papa è buono. Buono come il pane. Glielo dissero e ripete­mmo in tanti. Marco era lì, a Roma, in Vaticano. E Giovanni (il papa buono) muore. E trovalo un altro funzionario che conosce un altro papa! Avrebbe dovuto immaginarlo. Si sentiva anche in colpa per quella morte, anche se, sapeva, i buoni muoiono sempre prima dei cattivi. Ora come andrà a finire? Desistere come ogni volta? Dopo tanti insegna­menti! Tornò in via Carrubbazza (Catania, Sicilia). Con il proprio fascio di carta sempre più pesante non è-quella che vola purtroppo su per le case). Ma, forse, per minor confusione a questo punto bisogna bene spiegare qualcosa al lettore.

Ma come si fa a spiegare qualcosa in un ‘ro­manzo inventato’ e si sa che la ‘Sicilia può capirla solo chi ci vive’. Poi quei pochi lettori che esistono ancora sono abituati a libri ben più incomprensibi­li! Questo la sua logica ce l’ha... o no? Ma le carte di Marco sì, quelle non avevano nessuna logica. Lui non avrebbe saputo scrivere neppure un dia­rio. Da vent’anni almeno cercava di costruire un romanzo serio, pieno delle realtà della vita, come quelli di alcuni autori brasiliani, che sentiva vicini. E quando leggeva di qualcuno che aveva messo vent’anni per scrivere un romanzo correva a leg­gerlo. Una grande depressione lo coglieva scopren­do che forse solo gli scrittori che impiegavano un paio di giorni avevano la capacità di scrivere cose interessanti e lui non era rapido. Metteva pagine su pagine slegate che non volevano dire un bel nulla. Anzi un bel cazzo (così il romanzo questo è più moderno). Un bel cazzo e una bella fica a volte fanno pure un brutto bambino, ma mai un romanzo moderno. Perché i due poi si vogliono accoppiare e invece di mettere insieme delle belle pagine fottono per tutta la durata del libro.

Poi nascono i figli (saga popolare), vanno dal ginecologo per cercare di abortire (non il romanzo), quello ha la mutua e ti dice: “perché abortire? la vita è sacra, pensate (assassini!) che state commet­tendo un delitto!” A volte aggiunge: “I bimbi sono belli, giocano per casa, la tengono allegra. Invece di guardare la televisione..., i figli fanno l’unione, rendono forte la coppia, si superano le crisi del secondo, settimo, quattordicesimo anno: i bimbi (insomma!) hanno la loro ragion d’essere”.

Ecco appunto che con queste paure Marco non riusciva a scrivere una bella storia d’amore, anzi ogni volta che scriveva cazzo era tentato di cancel­lare subito prima delle complicazioni. Erano finiti i tempi di Emmanuelle bianca, nera e a colori. Del cazzo nei romanzi non fregava più a nessuno (neppure brani come questi in quasi defunto sini­strese).

Finito ormai quel tempo, oggi siamo tutti so­cialdemocratici DC, PSI, MSI, PCI PR, PRI, PLI vanno tutti verso una sana e salda socialdemocra­zia. Anche i piddiuppini che incontrandosi coi so­cialisti che convergono coi socialdemocratici che solidarizzano coi democratici (cristiani), che da sempre s’accordano coi missini che s’intersecano con linee convergenti con i repubblicani e i radicali che si stimano coi picciini, vanno tutti sani e verso la salda socialdemocrazia, destino d’Europa, come i tedeschi. Forti e belli come i kraft. Duri come Krupp. E nessuno s’illuda che gli ecologisti non siano per la stessa via. La natura su sa è violenta.

Ma questo è disfattismo! Marco, torna al tuo racconto! Marco! Marco!

«Non continuo più, mi rifiuto di fare il protago­nista e di ritrovarmi con pensieri non miei. Senza un ideale. Senza una donna. Mi avevi detto che c’era... dov’è? Non posso obbedire a ordini di uno scrittore che non riesce a legare un solo filo, una sola pagina, che dico? una riga! Puoi fare senza di me?»

Molto semplice. Dunque, Federico, il nostro nuovo protagonista, aveva di buono rispetto a Mar­co, la coerenza e la capacità di restarsene immobi­le, ai voleri del suo creatore! Un tipo introverso quindi e ubbidiente agli ordini di tutti che sin da piccolo si trovò bene. Infatti, poiché era così docile non fu fatto nascere neppure in Sicilia, bensì in Toscana. Non a Catania ma a Pontedera, pulita e bella cittadina senza clacson, dove gli abitanti non gettano la spazzatura dai balconi, ma la riciclano il giorno dopo a pranzo. Lì fece una rapida carriera in teatro, divenne famoso, si sposò con una splen­dida donna. Fecero figli, nipoti, zii e ultraottanten­ne, morì felice. Sterilizzato e felice.

Fine del romanzo.

Marco invece era nato in Sicilia, sfortunato, era andato a Roma. Col papa morente dovette trattenersi parecchio, la speranza è l’ultima a mori­re, fino a quando non spirarono entrambi: papa e speranza. Il funzionario palermitano era molto po­tente. I cardinali presero a cuore la questione. del nostro eroe il quale non voleva tornare a casa, addusse, senza aver avuta la benedizione papale al proprio romanzo. Sarebbe andato a ruba, milioni di copie, film, interviste.

Voleva vederli quegli amici! Avrebbe avuto infine quel successo tanto atteso con le donne. Pianse la morte di papa Giovanni, la piansero tutti. Lui pianse più degli altri che pensavano fosse un parente. Lo rincuoravano: «Morto un papa se ne fa un altro».

Dove tentare adesso. A chi raccontare le pro­prie pene. Come chiedere aiuto? Quando? Perché? perché occorreva un editore. Ma una storia come quella a quale editore serio sarebbe interessata. E poi non e mai l’editore che legge i libri. Si sarebbero suicidati da un pezzo! Loro hanno le vittime: i lettori. Qui forse bisogna andare verso i lettori dell’editore, non verso la chiesa, dunque, mica è un libro di salmi! Con queste parolacce poi... Chis­sà se Marco conosce un lettore di un editore Certamente no! però ci si arriva...

Dunque: si parte per Palermo, di mattina pre­sto ci vuole un socialista, vanno forte in questo campo: hanno tanto agevolato ‘L’Armani’ dell’editoria! hanno comprata parecchia cultura: giornali, case editrici, intellettuali, tivvù. Per comprare ser­vono soldi e prima hanno messo su banche. Un socialista…sì, quello proprio farebbe al caso nostro.

Un socialista per uno scrittore.

No. Un socialista per un editore. Un socialista per un editore? sembra il titolo di un film. È bello: Un socialista per un editore è come ‘Un sorriso per la mia vita’, o ‘il mio regno per un cavallo’, ecc. abbiamo il cavallo?

Eccolo qua! Eureka! Trovato!

Angelo Trovato, dirigente RAI Non lo conosciamo, ma so di uno che per entrare alla RAI con tutta la famiglia si è fatto presentare da lui.

Andiamo a trovare Trovato.

Era mattina presto! mi chiamano alla finestra! mi dicono: Marco è l’ora. L’ora, una volta fuggita, non si trova più.

Trovato era puntuale, il giorno per raggiunger­lo fu dei più complessi. Giona, il tecnico RAI, lo mandò da un giornalista, Parlato, Marco dopo aver parlato con Parlato, fu mandato da Mandato, capo-gruppo PSI alla camera. Mandato fece un biglietto per Delegato che non c’era ma nel frattempo aveva delegato il segretario che, in segreto finalmente lo mandò da Trovato. (Forse c’è qualche confusione, ma in verità, fu così che Marco arrivò da Trovato).

Non era andato solo.

Aveva sempre bisogno di un testimone. Come dire: lui era innocente. Come tutti quegli individui (a milioni) che senza la raccomandazione non rie­scono neppure a comprare due uova dal droghiere.

Trovato non era in camera, anzi nel suo picco­lo appartamento-ufficio ricavato nella sede RAI. Le sue sette segretarie li fecero attendere, si scusa­rono dicendo che gli appuntamenti sono elastici, come l’autostrada, e che quindi era in giro non sapendo l’esatto orario del loro arrivo. Nei corridoi comunque non si annoiarono: Marco incontrò do­dici amici di vecchia data, la tredicesima era la sua una compagna di scuola Ilde, ora si chiamava così. Ricordò l’infanzia quando lei era ancora Matilde e si incazzava con sua nonna perché aveva un brutto nome. Le nonne in Sicilia (anche da vive) lasciano in eredità ai nipotini sempre il nome, un’antica tradizione che risale ai tempi dei tempi, dovuta al fatto che non si ha mai nulla da lasciare e comunque niente di duraturo che non possano rapinarti.

 

Quindi tutti alla RAI c’erano arrivati raccomandati. Marco era contento anziché dispiaciuto, si sentì meno solo. Ma il terreno delle raccomandazioni è scivoloso (come sostiene un programma radiofonico della stessa RAI sull’argomento). Guai infatti far capire agli amici sistemati con quel sistema che anche tu sei raccomandato. Ilde gli disse meravigliata:

«Trovato riceve qualcuno solo raramente, tranne i politici, devi essere diventato importante». Si sentiva il sospetto nelle sue parole.

Marco gli recitò i nomi di Delegato, Mandato, Parlato, Giona il tecnico, lei non capì nulla, ma assentì, come si suoi dire, compresa.

 

Trovato Trovato dopo un’ora circa le sette segretarie, con un sorriso concordato, fecero accomodare Marco il quale si rese subito conto che quello non aveva tempo da perdere (per lui).

Un corpo da politico della migliore tradizione occupò l’intero divano (sei posti, circolare) e con un sorriso da ebete, disse:

«Dica».

Marco, con la solita rapidità che lo distingueva e che aveva appreso nei rapporti d’amore, disse tutto in soli sei minuti (aveva sempre l’abitudine di cronometrarsi).

Come era accaduto in precedenza col signor X (G.) anche Trovato impallidì, tossì, si mosse sul divano sentendolo scomodo e gli recitò 7.293 paro­le prive di significato che Marco non capì (aveva tentato invano in altre occasioni o davanti alla televisione in relazione a commenti politici), colse solo la solita ottica, qualche linea parallela, la con­tingenza, un paio di gangli, tre o quattro noduli, una intersecazione e molta, soprattutto molta, fer­mezza, nient’altro.

Ma quale cazzo di dizionario usavano questi? Era televisivamete accettabile? Era un linguaggio radiofonico, giornalistico, piduistico o che? In qua­le dizionario avevano studiato quei due? Quale college li aveva forgiati? Bisogna scrivere alla ‘po­sta di Tullio De Mauro’.

Marco, due lauree, si sentì uno stronzo. Perché aveva letto tutti quei libri da piccolo? Quale gram­matica gli avevano insegnata? Mentre poi da que­sta gente non riusciva a trovare una sola frase logica. “Vada a farsi fottere” era deciso a dire, ma non lo disse e Trovato, che non era stato messo lì a caso, era un uomo per ogni stagione. Aveva dinnanzi un raccomandato e non si doveva fare altro he estrapolare dalle due conversazioni il linguaggio emergente, cioè: aiutare e raccomandare a sua volta. verso chi lo potesse veramente. E chi meglio di un grosso giornalista-intellettuale-televisivo che lavorava a Roma poteva farlo? E così, senza altre paro1e. prese un enorme biglietto da visita, con tutti i suoi titoli e incarichi e scrisse il solito: ‘il latore della presente è il mio carissimo amico Marco D’Antonio, grande scrittore e uomo di cultura, aiutalo in tutti i modi possibili. Te ne sarò grato, tuo Angelo Trovato’.

Tuo finché corrente politica non ci separi, pensò Marco prendendo e leggendo due volte il cartoncino. Te ne sarò grato. Quanta gente si sarebbe spostata, avrebbe fatto chilometri, avrebbe telesippato col biglietto del grande intellettual-giornalista con scambi di raccomandazioni?

Marco era stanco, voleva mangiare, vivere del suo lavoro! sì, scrivere è un lavoro checché ne dicano i genitori e i parenti quando sei piccolo o, peggio. quando ancora più grande, non ti frutta stipendio. Voleva scrivere non viaggiare. Avrebbe fatto il concorso alle Ferrovie. Chissà anche lì quanti chilometri prima di ottenere un posto.

Si chiese se veramente l’Italia era così. Intanto riconosceva in lui l’unico esemplare di quasi cinquat’anni non ancora sistemato, come si dice 'senza arte né parte’. In effetti si sarebbe dovuto dire ‘senza arte né partito’.

 

Beppe Costa

Romanzo siciliano, 1984

 

4 - segue


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