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Guido Bussoli. 7\1
19 Agosto 2009
 

Il giorno che morì il mio cane indossavo degli occhiali a pois, la luce filtrava attraverso minuscoli fori come spilli di luce in una cattedrale gotica, una meridiana segreta, misteri in formato prime time che un uomo con la giacca troppo ampia provava a spiegare a questo modo: all’ora esatta precisa del solstizio d’inverno, o era forse primavera… Non ricordo, ho spento la tivù perché mi facevano male gli occhi, ero disabituato a vedere i contorni senza il filtro convesso di una lente. Ad alcune persone piace questo genere di programmi, dove il mondo si ricompone come una donna elegante quando esce dal camerino. Chi mi ha venduto gli occhiali diceva che non è la pupilla ma la cornea, col passare degli anni diventa pigra, bisogna fare ginnastica, allenamento, ha usato questa parola: fitness. La sua compagna lo ascoltava senza interromperlo, annuiva anticipando con la testa i punti esclamativi del discorso, ne accompagnava le virgole con le sopracciglia. Mi ricordava quei cagnolini di pezza che negli anni settanta si mettevano sul lunotto posteriore delle automobili, con una spirale di metallo tra il capo e il tronco così da dondolare a ogni piega dell’asfalto, sobbalzando affermativamente. Quando non erano i cani erano bambini appollaiati sul sedile, tutto negli anni settanta dondolava e guardava indietro con un occhio, mentre con l'altro fissava dritto in faccia il futuro e gli gridava sì sì oppure no no, era lo stesso: un universo certo che si sporge dalla poppavia di una nave, si riflette nella schiuma bianca: bye bye, au revoir, un bacio e un soldo amore mio; o altrimenti smorfie e linguacce e corna alla vettura che succede, la si voleva incenerita da una sola sgasata della 128 rally di papà, con la canoa montata sul tetto come la freccia implacabile di Diana. Bambini degli anni settanta, già. Che poi eravamo noi e ci vedevamo benissimo anche senza occhiali, perché mangiavamo il formaggino Susanna, la carne di Gringo, Ovomaltina a colazione. Ma ben prima le pietanze erano nude, oscene e senza il velo di un battesimo. Merendine di burro che era semplice burro, marmellata per dire marmellata, la sera calava un silenzio spesso e duro, senza una musichetta pietosa che fu il nostro jngle di benvenuto; e benvenuti lo eravamo davvero, come il nome quando trovi finalmente la sua dimora tra le cose. Il nome del mio cane era invece Baruzza, ma sul libretto stava scritto Matisse. Un fruscio leggero tra la lingua e il palato, pronuncia francese colta, distinta. Fu scelto per richiamo a quel pittore che le ragazze più grandi sfoggiavano nelle loro camerette, appendendo le stampe con puntine da disegno colorate: i rossi accesi, i verdi, i blu di una danza selvaggia e primitiva, che va a scalzare il poster di un attore o un cantante con boccoli scuri sulla fronte, si vede ancora l'ombra rettangolare del profilo impressa sulla parete, una specie di sindone laica che è prova di redenzione dall'infanzia. Da quel giorno inizieranno a fare shopping dando del tu alle amiche delle loro madri, quando queste le agguantano sottobraccio all'uscita della boutique, le scarpe nuove con il tacco alto, stessa identica esitazione della prima volta che si tolgono le rotelle alla bicicletta. A me i quadri di Matisse sembravano molto belli e poi, all’improvviso, molto brutti. Che piacere sottile avere un'opinione su ogni cosa! L'arte di agganciare un cartellino: niente sconti sulla sensibilità e l'arguzia, essere diversi dagli altri, lo si chiamava “mucchio”, un cantante ebbe successo con una canzone che diceva io no, nel branco non ci sto. Mi hanno chiesto cosa penso degli impressionisti e sono rimasto zitto. Un tizio al bar, il mese scorso. Non ci credeva che non penso proprio nulla, sei uno scrittore, gli impressionisti, devi avere un'opinione sugli impressionisti. Un’altra cosa che ti insegnavano negli anni settanta è che un anno dei bambini vale sette dei cani e in pratica mio nonno vale più o meno come un cucciolo di Dalmata, riflettevo, stanno pari. Al papà mancano invece quattro o cinque cuccioli e a me tantissimi non stanno neanche sulla punta delle dita, potevo stare tranquillo, al caldo, addormentarmi... Quindi il veterinario ha preso una siringa e un ago affilato e lungo, ha scostato il pelo con una carezza, e mia mamma si è messa a piangere.


Guido Bussoli

http://guidobussoli.blogspot.com


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