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Luciano Angelini. La chiesa della Trinità di Novate*
28 Settembre 2019
 

A Novate, ridente paese della bassa Val Chiavenna, coronato da impervi quanto suggestivi monti, sorgente sull’ampio conoide del fiume Codéra che sfocia nel malinconico lago di Mezzola, merita assolutamente una visita la chiesa della Trinità, il più bel barocco1 di tutta la Val Chiavenna e non solo.

Dentro si viene inondati da un caldo bagliore proveniente da migliaia di foglie d’oro2 che rivestono gli innumerevoli stucchi e affreschi di cui è ricca la chiesa.

Tre preziose ancone di marmo nero incorniciano, rispettivamente, nella cappella laterale di sinistra (Cappella della Madonna del Rosario. L'ancona di marmo è opera dei 'mastri piccapietra' Silvestro Verda e Giacomo Giudice, 1688) una splendida statua di legno intagliato e dorato della Vergine con Bambino,3 nella cappella laterale di destra (L'ancona di marmo è opera dello scalpellino Michele Boffa) e nell’abside due belle tele dei pittori fratelli Recchi di Como:4 La Crocefissione5 e La Trinità e santi.6

L’organo e la cantoria, finemente intagliati e dorati,7 sono due splendidi capolavori dell’artigianato lariano.

Tanta magnificenza fu resa possibile solo grazie a monsignor Francesco Giani di Novate,8 vescovo di Smirne (Turchia), che alla fine del Seicento fornì i mezzi per attuare le opere che avrebbero conferito alla chiesa l’attuale aspetto. Egli volle così onorare il paese natale e forse anche aiutare i paesani a dimenticare quel lungo e tristissimo precedente periodo di guerre e di pestilenze,9 vissuto oltretutto con senso di colpa. Tuonava infatti minaccioso dal pulito il prete del dopo Concilio di Trento (1545-1563): Non cade foglia che Dio non voglia! La peste è il flagello di Dio!

Dell’edificio originario10 si conservarono soltanto i muri perimetrali. L’esecuzione delle opere volute dal vescovo occupò l’ultimo quinquennio del Seicento. Essa fu organizzata e curata, per incarico suo, dal fratello dottor Gian Giacomo, il quale si valse di artigiani e di artisti in prevalenza ticinesi e lariani, soprattutto della Val d’Intelvi.

Un delicato restauro fu fatto negli anni dal 1969 al 1975, per la fase iniziale sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Pierpaoli di Como, successivamente dell’architetto Aurelio Benetti di Sondrio, che riportò l’edificio all’antico splendore.

Un testimone oculare di quei lavori è lo storico Gian Giacomo Macolino di Campodolcino11 che così scriveva:

«Francesco Gianio, vescovo di Sirmio, ha fatto ornare a proprie spese tutta quanta ell’è questa chiesa di Novate di stucchi messi a oro e di sacre bellissime pitture fatte da peritissima mano, cioè ha ornato tutto il choro, tutto l’involto, tutte le cappelle con assieme tutto il restante della chiesa da cima al fondo, non scoprendosi luogo benché minimo in detta chiesa, che non sia sommamente abbellito di somiglianti vaghissimi ornamenti, e perché l’istesso involto della chiesa era tutto sproporzionato e fuor di tutte le regole d’una buona architettura l’atterrò, rifabricandolo incontinente di nuovo in miglior forma e regola di proporzione, con che rese tutto il corpo della chiesa uniforme, capace e comodissimo a ricevere in sé tutti quelli ornamenti, che dicemmo essersi fatti da Francesco Gianio vescovo di Sirmio, il quale, acciò che tutte le parti del sacro tempio corrispondessero l’una coll’altra nelle dovute proporzioni di vaghezza, ha fabbricato l’istessa porta maggiore della chiesa di bellissimi marmi, essendo per inanzi di semplice muro, a fianco della qual porta nella facciata esteriore collocò entro le sue nicchie due statue in busto di marmo che rappresentano una S. Pietro e l’altra S. Paolo. Finalmente, per dar l’ultima mano al total restauro della chiesa di Novate, doppo l’avervi fatto erigere un bellissimo organo con la sua cassa et altri ornamenti tutti luminosi per l’oro, gli ha fatto volontario donativo d’un ricchissima suppellettile d’argenteria, la qual servir dovesse d’ornamento alli sacri altari. […] Provvide ancora la sacristia di varij e ricchi paramenti in serviggio de’ divini offizij, fabricò nella medemma sacristia li suoi armarij per chiudervi dentro la predetta sacra suppellettile, sì che la chiesa di Novate, essendo così ben ornata di vaghissime pitture tutte sacre ed in ogni sua parte risplendente per l’oro de’ stucchi, compare adesso agli occhi de’ riguardanti la più vaga, la più riguardevole tra tutte le altre chiese del Contado di Chiavenna».

 

Luciano Angelini

 

 

* Le notizie storiche qui sono tratte dall’importante prezioso lavoro di Sandro Massera: “La Chiesa della Trinità di Novate”, in NOTA STORICA, Centro Studi Storici Valchiavennaschi, Chiavenna 1976; il mio breve scritto vuol essere semplicemente un atto d’amore nei confronti del bel paesaggio di Novate, Campo e Verceia ma anche e soprattutto nei confronti di tanti suoi a me sì cari figli.

1 Termine con cui si indica il gusto dominante nel periodo storico-culturale successivo alla Controriforma nei paesi cattolici, caratterizzato da un'arte carica di decorazioni, tendente a colpire l'immaginazione con effetti prospettici e soluzioni formali ardite e virtuosistiche.

2 Ad esempio solo per la doratura degli stucchi che formano la cornice del ciclo degli affreschi del presbiterio, effettuata nel 1696 da un non meglio precisato artigiano di nome Rusca, furono impiegate 28.800 foglie d’oro che costarono complessivamente lire 1.639 moneta di Milano.

3 Nel 1662 la “vetusta icona”, menzionata nella prima visita del vescovo Lazzaro Carafino (2 luglio 1628), fu sostituita da una pregevole statua lignea della Vergine col Bambino. Il gruppo fu scolpito dal comasco Giuseppe Gaffuri e venne sistemato sull’altare dell’apposita cappella entro una nicchia incorniciata da un’ancona “colorita di pietra et parte indorata” ad opera del doratore Lorenzo Spina di Como.

4 Giovan Battista e Giovan Paolo Recchi nacquero a Borgovico, nei pressi di Como, nel 1587 Giovan Battista, nel 1606 Giovan Paolo. Furono attivi nelle zone del comasco e della Valtellina dove lasciarono numerosissime opere, spesso eseguite in collaborazione. Giovan Battista morì nel 1668; Giovan Paolo nel 1686.

5 Nel 1638 la chiesa si abbellì di una pregevole tela raffigurante il Crocefisso con ai lati i santi Stefano e Sebastiano. Si tratta di un quadro votivo, forse in ringraziamento per scampato pericolo durante la peste che era ricomparsa al seguito della guerra del 1636 dopo quella del 1629; la terribile peste descritta da Manzoni. Quadro offerto da Angelica Costa, vedova di Gian Giacomo Giani, l’ava del vescovo Francesco Giani, la cui iscrizione di dedica con la data del 1638 si legge sul margine inferiore del dipinto. Certi elementi stilistici rendono quasi sicura che l’opera sia dei pittori Recchi di Como, ai quali del resto cinque anni dopo fu ordinata la pala dell’altare maggiore.

6 Nel 1643 comparve sull’altare maggiore l’ancona. La grande tela, in cui figurano le persone della Trinità campeggianti sopra il gruppo dei santi titolari delle chiese in origine dipendenti dalla parrocchia di Novate, era stata commissionata alla bottega dei fratelli Gian Paolo e Gian Battista Recchi, allora i più rinomati pittori di Como, per la somma di 65 ducatoni.

7 Alla fine del 1686 fu installato l’organo, pregevolissimo strumento fabbricato dal celebre organaro Carlo Prata (1617-1700) di Gera Lario e l’anno seguente il comasco Domenico Grisone ne dipinse e ne dorò la cassa. La cantoria in legno fu intagliata da Giovanni Albiolo di Bellagio nel 1698 e dorata da Gaspare Campo e Gian Antonio Felicetti nel 1699. Il ciclo degli affreschi del presbiterio sono invece del pittore intelvese Giulio Quaglio (1668-1751) che vi lavorò nel 1696 come si ricava da un’iscrizione che si legge nel tondo sopra la porta della sacrestia.

8 Nacque a Novate nel 1641 da Paolo e Caterina Vanossi. Compì i suoi studi a Parma dove si laureò in utroque iure nel 1667. Abbracciata la vita religiosa, nel 1673 fu ordinato prete e seguì poi come maestro di camera il nunzio apostolico in Ungheria. Il primate di quel regno lo elesse canonico della metropolitana di Strigonia (Esztergom), poi prevosto di S. Michele in Csorna e Horpac, quindi abate mitrato dell’abbazia di Petrovaradin (Peterwardein). Infine nel 1678 l’imperatore Leopoldo I lo nominò vescovo di Sirmio presso Belgrado (da allora appartenente al regno d’Ungheria), fu confermato da Innocenzo XII nel 1697. Morì a Vienna il 19 aprile 1702 (G.B. CROLLALANZA, Storia del Contado di Chiavenna, Chiavenna 1898, pp. 704 ss.). Di lui esiste un buon ritratto nella sagrestia della chiesa.

9 Infatti, dopo la sanguinosa insurrezione del 19 luglio 1620 nella vicina Valtellina, passata sotto il nome di ‘sacro macello’, allorché i cattolici massacrarono centinaia di donne, uomini e bambini solo perché di religione protestante, gli Spagnoli, padroni del vicino Stato di Milano, stanziati al Forte di Fuentes, col pretesto di voler proteggere gli insorti cattolici invasero le valli dell’Adda e della Mera; e la zona di Novate, data la sua particolare posizione strategica, fu occupata e vi alloggiarono grossi presidi militari, che, in veste di protettori, spesso furono molesti e rovinosi. Le prime truppe spagnole sbarcarono a Novate il 15 agosto 1620, fortificarono la Riva e restaurarono l’antico castello all’imbocco della Valcodera. L’occupazione del territorio di Novate da parte degli Spagnoli durò dal 1620 al 1627. Il 18 febbraio 1625 Novate, da cui erano fuggiti tutti gli abitanti, fu quasi completamente distrutta da un incendio appiccato dagli Spagnoli con l’intento di ostacolare l’arrivo delle truppe della lega d’Avignone guidate dal marchese di Coeuvres e alleate dei Grigioni che intendevano sloggiare gli Spagnoli dalle valli alpine.

Negli anni 1629-31 si abbatté violenta su Novate e l’intera Valchiavenna la peste, ‘il flagello di Dio’, e subì anche i saccheggi e le violenze dei lanzichenecchi tedeschi durante i loro soggiorni e transiti nella valle, inviati dall’imperatore Ferdinando II dalla Germania alla conquista di Mantova.

La zona di Novate poi negli anni dal 1635 al 1637 fu occupata da un esercito francese , guidato dal celebre duca di Rohan, calato dalla Rezia per riconquistare a favore dei Grigioni contro gli Spagnoli la Valtellina; ed ancora una volta Novate venne fortificata e i miseri abitanti si trovarono sulle spalle un grosso presidio di truppe da alloggiare e mantenere.

Col capitolato di Milano del 3 sett. 1639 tra la Spagna e le Tre Leghe finalmente tornò la pace nella valle e con la pace tornarono a fiorire i paesi.

10 La notizia più antica sulla chiesa della Trinità di Novate risale alla metà del secolo XV, ma la sua origine è quasi certamente da riportare ad una data assai anteriore. Probabilmente sorse per ovvia esigenza poco dopo l’anno mille, attorno alla “Villa Nova”. Questo era il nome dell’antica fattoria vescovile fondata dal vescovo comense Alberico (1010-1027), e che per il suo sfruttamento aveva comportato la bonifica dell’ampio conoide del torrente Codéra. A tale fattoria si fa risalire l’origine e il nome del paese di Novate. Quel primo nucleo del paese sorto attorno alla fattoria vescovile diventerà poi il centro principale del comune di Lezzeno Superiore verso la fine del ‘500, il più meridionale dei comuni formanti l’antico contado di Chiavenna comprendente i territori di Novate e di Verceia. Questi si costituiranno poi in distinti comuni solo nella seconda metà del secolo XVIII.

11 Sacerdote e diligente raccoglitore di memorie. Gian Giacomo Macolino nacque il 14 dicembre 1653 a Chiavenna, ultimo di undici figli. La famiglia Macolino era originaria di Gualdera presso Fracìscio. Ordinato prete, dal 1681 al 1703 fu vice parroco a S. Giacomo e poi canonico nella collegiata di S. Lorenzo in Chiavenna, dove rimase fino alla morte nel 1714. A lui è dedicata una via del centro storico di Chiavenna. Viene ricordato soprattutto per le preziose e interessanti pubblicazioni di argomento locale.


Foto allegate

Crocifisso con s. Stefano e s. Sebastiano, prob. opera dei Recchi, 1638 - olio su tela, m 2.40x1.55
Pala dell
Organo. Strumento costruito da Carlo Prata di Gera Lario (1686). Dorature di Domenico Grisone (1687)
Cantoria, 1698, Giovanni Albiolo di Bellagio; doratura 1699, Gaspare Campo e Gian Antonio Felicetti
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