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Loredana Semantica: La Magnifica Babele. Che fare della poesia on line? 4
17 Novembre 2009
 

Ho trovato interessante il dibattito apertosi a margine di un saggio di Stefano Guglielmin su “Poesia e blog” e i seguiti di Alessandro Assiri, Maeba Sciutti, Guido Hauser, Candida Colomba, al punto da farmi desiderare di contribuire con un mio intervento.

Dell’intervento di Assiri mi hanno colpita particolarmente la chiusa che dice necessario per il poeta accompagnare le sue parole per dare loro possibilità di ascolto e l’idea che internet sia luogo nel quale i poeti si osservano tra loro in una rete intessuta di solitudini, che è un modo desolante e sconfortato, per quanto vero, di leggere il web, ma tanto varrebbe sostituire la parola vita alla parola rete, che il senso, pur mantenendo uguale natura, s’amplia nelle proporzioni: la stessa che si fa radice di molta poesia.

L’intervento della Sciutti mi sembra cassare l’idea di poesia stretta nella maglia della metrica, come pure quella di una poesia libera da schemi metrici e tale solo in quanto scandita in versi, per esaltare un elemento estremamente difficile da afferrare che è il talento. Alla fine dell’articolo propone due esempi poetici di riconosciuti grandi quali Milo De Angelis e Sylvia Plath, suggerendo senza esplicitare che il talento consista proprio nel «riuscire a rendere commoventi le lenticchie, strazianti le mele, inquietanti e stravolte di visionarietà le tazze del latte».

Anche Guido Hauser, come me, sente la necessità di un approfondimento di cosa sia il talento: entità volubile, volatile, inafferrabile, indefinibile eppure indubbiamente riconoscibile, tant’è vero che ognuno di noi, pur quando non lo ammetta, per disinteresse, noia, e persino lo neghi o sminuisca o ignori, è perfettamente in grado di riconoscere il talento quando lo incontra, ma non per questo certamente ha sempre voglia di portarlo avanti, di incoraggiarlo, perciò se pur è vero che il talento può fare ciò che vuole è altrettanto vero che talora esso resta semplicemente di reticenza condivisa incastrato tra le dita.

Ho letto infine la testimonianza di Candida Tortora. Essa colpisce perché dice crudamente ciò che (fortunatamente non sempre) è: la poesia come pretesto per altri equivoci sviluppi di “conoscenza”, la poesia come somma di tronfi sé propagandati in ogni luogo, la poesia scadente che circola in web alimentata non solo dai dilettanti, ma anche da “professionisti” blanditi dalla cerchia d’appartenenza, la delusione di chi della poesia ha fatto una passione che vorrebbe vivificare e non uccidere di sconforto. Provo solidarietà per questa candida colomba per i mari che ha attraversato e spero che tra questi ci sia anche quello della speranza.

D’altra parte non credo che Guglielmin con il suo saggio intendesse aprire un dibattito su che cos’è la poesia e nemmeno sul talento poetico, né sulle ipocrisie di ogni luogo in cui si tratti di poesia o la vanagloria di chi se ne occupa ad ogni livello, dai concorsi, al web, all’editoria.

Egli intendeva analizzare il fenomeno poesia italiana nei blog e relazione fra il canone tout court e alcuni poeti particolarmente seguiti in rete.

 

Cioè analizzare il rapporto tra l’élite poetica accreditata presso l’editoria più importante e quella fascia di poeti che hanno seguito e notorietà in rete pur restando puntualmente ignorati dalla grande editoria. Per svolgere questa analisi si è avvalso anche di un sondaggio mirato.

  

La parte più interessante del saggio però è quella finale, cioè il punto in cui egli approfondisce le dinamiche dei gruppi considerati: in cui si riferisce al do ute des editoriale, accademico, ideologico, in cui si riferisce ai blog come forza anarchica, ad espansione orizzontale, che rivendica autorevolezza senza chiedere deleghe. Il saggio raggiunge il suo vertice concettuale e problematico quando afferma che i due ambiti considerati, «quello che persegue il modello di tradizione autorevole e la spartizione dei potere attraverso l’emblema letterario, e la blogsfera, che sponsorizza se stessa e i propri autori, in una circuitazione autoreferenziale assai frustrante» restano separati.

 

Questo è uno snodo fondamentale. Senza quei punti d’incontro che potrebbero diventare auspicato sbocco di tanta attività poetica cosa farsene di tanta poesia nei blog?

     

Chiunque sia osservatore della blogosfera si rende conto che l’epoca blog si avvia ad una fase di redde rationem non tanto per la stasi delle visite che, anche grazie ai motori di ricerca, continuano ad essere elevate, ma al diradarsi di intrecci, produzione, entusiasmo, sperimentazione, idee, fermento.

È comprensibile che ne nasca un momento di interrogativi e riflessione per coloro che ai blog hanno dato tempo e anima.

Ci si interroga in primo luogo se l’epoca blog si avvia al suo tramonto e su cosa fare di tutto il lavoro svolto in rete: discussioni, mappature, commenti, recensioni. Domanda legittimata dal timore che tanto lavoro vada disperso, sia stato inutile, specie considerando l’ostinazione dei grandi editori e della cultura elitaria ad ignorare il fenomeno blog, considerandolo probabilmente contingente e transitorio.

Del resto come dare loro torto quanto alla moda blog si è sostituita quella di Facebook?

Altro spazio virtuale alimentato e popolato da anime vaganti in cerca di amicizie, relazioni, visibilità e commenti. Più vicino al fast food che al ristorante, al prêt-à-porter che all’alta moda, ad uno spuntino che al pranzo completo. Facebook è in linea con l’attuale bisogno d’essere identità per popolarità, esistenza per presenza, condivisione per promozione, interesse per aggregazione. Facebook è il luogo dove stringere amicizie, cercare relazioni, occasioni di incontro, alimentare dibattiti, pubblicizzare eventi, avviare collaborazioni, ma anche quello in cui si è spostato il dialogo prima presente nei commenti dei blog.

In Facebook principalmente si “chiacchiera” attraverso i commenti, ma anche nella chat integrata nel sistema o tra avatar personalizzabili, dinamici e dialoganti in luoghi d’incontro come in yoville simile a second life. Sulla propria bacheca di facebook ci si scambiano regalini virtuali, fatti di baci, cuori e orsacchiotti, si espongono foto, si condividono articoli interessanti e si pubblicano i propri scritti.

Tuttavia è mia opinione che il blog rimanga superiore come spazio espositivo, migliore per resa, anche artistica, di quanto si pubblica in scritto o immagine, inoltre è visibile a tutti mentre Facebook è blindato dal riconoscimento amicale.

Dei blog poetici c’è prezioso l’archivio storico, migliaia di articoli pubblicati, moltissimi pregevoli, mi riferisco ai blog di nicchia, curati da studiosi, appassionati, esperti. C’è un’ampia raccolta di testi poetici che rappresentano una selezione della poesia contemporanea.

Cosa fare di tutto questo materiale è una domanda che forse ha già trovato la sua risposta, se non dagli editori, in qualche professore illuminato che fa studiare ai propri ragazzi la poesia sui blog, in qualche studente sveglio e interessato che leggerà commenti e approfondimenti letterari e li farà propri maturandoli e rielaborandoli nelle sue esposizioni o tesi.

Il tempo darà ragione della serietà e qualità del lavoro svolto nei migliori blog poetici sia per la mappatura della poesia in rete che di studio ed analisi della poesia in genere.

Già adesso io credo che tutto questo discutere di poesia abbia ottenuto lo scopo di diffonderla, di farla maggiormente comprendere e studiare. Forse ciò è frutto dell’alfabetizzazione o della diffusione dell’uso di computer e rete, nella quale lo scritto resta la forma comunicativa principale, ma forse anche i blog poetici ed i loro creatori con l’opera svolta ne sono stati artefici e promotori.

Se così fosse, tutto questo impegno non sarebbe stato inutile, ma avrebbe raggiunto lo scopo principale di coloro che amano la poesia: far amare e diffondere la poesia. Se così fosse inoltre il loro lavoro non è destinato ad essere dimenticato, ma diventerà oggetto di maggiore attenzione non appena si saranno prodotti i frutti di una maggiore cultura poetica che consenta di superare il recinto nel quale la poesia, cenerentola della letteratura, è stata costretta.

Mi rendo conto che il limite di questo discorso è di essere puramente idealista: fatto di sogni e per niente di frutto, ossia money, ma ciò del resto è una triste realtà che si accompagna da sempre alla poesia: una passione che non paga. Eppure se penso a una strada alternativa alla speranza che ho esposta sopra, l’unica che mi venga in mente è l’azione, e cioè non sperare che si crei uno sbocco dei poeti più premiati dai blog verso la grande editoria e nemmeno che il tempo dia ragione al valore, bensì qualcosa di ben più rivoluzionario a cui per convinzione e forza dare vita: il capovolgimento dei rapporti, il riscatto della poesia, la preminenza del virtuale sul cartaceo, del valore sul potere, l’abbattimento della mentalità del predominio, di quella del prestigio, di quella del successo e la catarsi liberatoria di una poesia libera e liberamente fruibile dai lettori, un’infinità di lettori che si propagano nello spazio e nel tempo.

Certo sembra utopia, ma del resto utopia non fa rima con poesia? La poesia non ha confini, né tollera limiti o graduatorie, non se ne conosce l’inizio e perciò non sembra aver fine, è nata con l’uomo, e per questa ragione forse morirà con l’uomo, perché la poesia risponde ad un bisogno di innalzamento o sprofondamento, che nell’animo alberga indipendentemente da ogni volontà, come se fosse intrecciato ai cromosomi nel suo DNA.

Io prevedo una stagione felice per la poesia, un prolificare di voci, anzi io la vedo già ed è in rete: voci virili, voci muliebri, voci aitanti, voci argentine, voci importanti, voci leggere, voci pesanti, voci confuse, voci potenti, voci esitanti, voci ammalianti, voci incantate, voci infantili, voci pen(s)ose, voci di vento, voci di voci.

Una magnifica babele di voci che travolge ogni accademia, che accantona ogni rigore, ma “siccome la bontà dell’Altissimo è infinita” anche da quel “brago infernale” può nascere un fiore.

 

Loredana Semantica


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