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Riccardo Cardellicchio: Fermate La Pira. Romanzoweb a puntate. V
Giorgio La Pira
Giorgio La Pira 
14 Dicembre 2008
 

26.

Chiara m’informa, raggiante, che Bilenchi ha deciso di mandarla a dare man forte a Benedettini in Valdera, nel Pisano. In febbraio, per carnevale, a Cevoli di Lari, tre individui mascherati hanno ammazzato il parroco. Con il passare dei mesi la vicenda ha assunto sempre più una fisionomia politica. Gli inquirenti non vanno oltre elementi delle sinistre.

Sostengono che è delitto politico. Sono finite in carcere non poche persone: dirigenti locali del Pci e del sindacato.

Alcune sono state rimesse in libertà. Altre sono dentro. Non si sa più nulla di loro.

C’è un clima da caccia alle streghe.

Bilenchi ha avuto assicurazione dal Pci e dal Psi che non s’è trattato d’un’esecuzione, ma  di una rapina. Da questo orecchio, però, i carabinieri non vogliono sentirci.

“Sono contento che abbia scelto te”.

“Sai, cosa m’ha detto? M’ha detto: vai lì, almeno ti stacchi da Claudio, che non è bello a vedersi, di questi tempi”.

“Non ha sbagliato”.

“Eccolo che fa il sofferente. Devi reagire, amico caro. O la dimentichi, ci metti una pietra sopra, morto un papa se ne fa un altro, o l’affronti a muso duro e pretendi spiegazioni. Se è scappata, due volte, perché non voleva che la vostra storia scivolasse nell’amore o perché… perché… che cavolo ne so, io, per quale motivo una donna si comporta in una maniera così enigmatica. Comunque, bisogna che ti decida a fare qualcosa per toglierti da una condizione psicologica tutt’altro che esaltante”.

Dio, è andata avanti quasi senza riprendere fiato.

Devo far proprio pena. Ha ragione: devo reagire. In un modo o nell’altro. E, sul momento, scelgo di pensare ad altro, di concludere che è andata male, e devo avere pazienza.

Mi ritengo libero di riprendere a guardarmi intorno. Ne conosco, di ragazze, carine e intelligenti.

Chiara è una, per esempio.

 

27.

“Ci fanno le filastrocche su La Pira. Sono i denigratori. Sbagliano. Sbagliano di grosso”. Bilenchi parla con calma. “Se tutti gli esaltati e i visionari fossero come lui, andremmo un po’ meglio in quest’Italia così malandata”.

Gli ho portato notizie d’una Giunta in grande attività, fucina di idee. Sono virtù. Di vizi, non riesco a trovarne.

I comunisti e i missini l’incalzano. Vanno a cercare il pelo nell’uovo, con risultati scarsi. Sono più le volte che non lo trovano, il pelo.

Chiara torna dalla Valdera. “Mamma mia, che clima. Guai a dirsi di sinistra, da quelle parti. C’è gente che ha perso il posto di lavoro, che è finita in carcere senza sapere perché. I carabinieri tirano fendenti sempre da una parte e beccano i più deboli. E’ clamoroso. Non è democrazia, questa. E’ sopraffazione. E rigurgito fascista”.

Le dico che ho letto gli articoli. Mi sono piaciuti.

Anche Bilenchi glielo dice in mia presenza.

Lei arrossisce e china lo sguardo sulla punta delle scarpe.

Poi mi sussurra: “Andiamo a festeggiare, concedendoci un buon ristorante”.

Sei sicura di volere me?”.

“Più che sicura”.

“Andiamo, allora. Anche se tremo un po’. Anch’io volevo festeggiare, quel giorno, e Lucia mi fece andare tutto di traverso”.

“Stai tranquillo. Io non scapperò e non ti farò scappare. Puoi dirmi tutto quel che vuoi. Oggi sono al settimo cielo”.

 

28.

“Cosa ha fatto?”, chiede Bilenchi.

“Ha creato un ufficio per gli alloggi. Deve essere in grado di rispondere alle necessità dei senza casa. Non basta. Ha messo in cantiere la nascita di una serie di quartieri popolosi intorno a Firenze. Si parla di case minime”. Teme gli sfratti, La Pira. Nel 1950 sono stati quattrocentotrentasette. Quest’anno siamo a quota settecentonovantanove e, nel 1952, ne sono previsti mille. Le richieste di un alloggio sono millecentoquarantasette. Mi piace essere preciso.

“Fai un pezzo. Lo mettiamo in prima”.

Mentre sto scrivendo m’arriva una telefonata.

“E’ il Comune – dice il segretario di redazione. “E’ urgente”.

Dall’altra parte c’è La Pira.

“Dica, sindaco”.

“Perché non viene a trovarmi?”

“Quando?”

“Anche subito”.

“Vengo”.

Avverto Bilenchi che La Pira vuole parlarmi.

“Ne tira fuori una delle sue, sta’ tranquillo”.

In anticamera incontro Fioretta Mazzei. Non pochi sostengono che sia il vero appoggio di La Pira. Sarebbe lei a mettere ordine nelle idee che s’accavallano nella mente del professore. Si conoscono da tempo. Da tempo lei frequenta le messe di San Procolo. Lei ama dire che ha sempre pensato a tre santi per Firenze: don Facibeni, il cardinale e La Pira. C’è anche chi maligna senza trovare alleati. Basta guardarli, i due, per capire che il loro affiatamento è ben al di sopra di ogni sospetto.

“Buona giornata – dice Fioretta Mazzei – L’aspetta”.

“Sa che vuole?”

“Sì, ma è bene che glielo dica lui”.

La Pira mi viene incontro tendendomi la mano destra. Sorride. Anche gli occhi gli sorridono dietro le lenti spesse e grandi degli occhiali dalla montatura massiccia.

“Non gli ho mai detto che ho dedicato la tesi di laurea alla Madonna?”.

“No”.

“L’ho fatto perché la vedo maltrattata a est e a ovest. Mi sono beccato dell’esaltato per questo. E del bigotto”.

M’indica una delle due sedie poste davanti alla sua scrivania. Lui si mette sull’altra.

“Mi dà un’aria troppo solenne stare dall’altra parte”. Ride. “Lei non la pensa come me e lavora in un giornale che non la pensa come me. Ma né lei né il giornale siete settari. Cercate di fare del buon giornalismo, che serva alla gente. Non è facile, me ne rendo conto, in una città divisa, in un’Italia divisa. I buoni tutti da una parte e i cattivi dall’altra. Ma chi sono i buoni e chi i cattivi? Io dico che in ogni schieramento c’è del buono e del cattivo. Bisognerebbe saper mettere insieme il buono e accantonare il cattivo. Allora le nostre parole e le nostre azioni avrebbero un altro sapore”. Tace un momento. Poi: “Una volta, quand’ero più giovane, magari facevo delle preghiere più lunghe e più belle, più affettuose al Signore. E anche un esame di coscienza più approfondito. Ma, se faccio il confronto tra quelle esperienze e quelle successive al Ministero del lavoro e, ora, di sindaco, mi rendo conto che scrivevo articoli molto belli, ma pieni d’ingenuità. Al Ministero del lavoro, invece, sono entrato in contatto con la realtà, la realtà dei lavoratori, occupati e disoccupati. E il problema non è che sia rimasto lì. No, s’è allargato. Ho dovuto studiare i problemi a dimensione mondiale per rendermi conto di quello che la disoccupazione fosse”.

Mi ha chiamato per dirmi queste cose, per lasciarsi andare a una sorta di sfogo, dove ci ha messo di tutto?

“Mi scusi, - aggiunge – mi lascio andare qualche volta, e non sempre mi rendo conto che agli altri certi miei pensieri possono non interessare. Io l’ho fatta venire, invece, per darle una notizia. Una notizia importante. Che sono sicuro tratterà bene. Sa già delle case popolari e dell’ufficio per l’emergenza casa. E di vera e propria emergenza si tratta. Al punto – questa è la notizia – che ho deciso di requisire le ville gentilizie sfitte per darle a poveri senza casa”.

“Può farlo?”

“Sì, in base a un decreto del 1865”.

“Un po’ vecchio”.

“E’ sempre in vigore. Con questo decreto il sindaco è competente fino al sequestro degli alloggi in caso di necessità e pubblica calamità. Il numero dei senzatetto a Firenze è una calamità pubblica”.

“Si rende conto di quel che sta per scatenare?”

“Me ne rendo conto. Però, di fronte alle necessità dei poveri, io non mi fermo davanti a nessun ostacolo. Devo specificare che, prima di arrivare alla requisizione, ho parlato con i proprietari, invitandoli a dare in affitto le loro ville, con canone ragionevole. Hanno risposto picche. Non potevo stare con le mani in mano. Un sindaco non deve stare con le mani in mano di fronte al dramma di tante famiglie”.

 

29.

Parlare di reazioni feroci è dir poco. I proprietari, sorretti dalla destra, e non solo, conquistano le prime pagine. Parlano di sopruso. Fi un sindaco che va oltre le sue competenze, che toglie dalla muffa un decreto dell’Ottocento per attentare alla proprietà privata. Parlano di comunista camuffato. E prendono la strada della denuncia penale..

La ira non si scompone. Afferma: “Devo lasciarmi impaurire da queste denunce penali, che non hanno nessun fondamento giuridico – e tanto meno morale – o devo continuare, e anzi con energia maggiore, a difendere come posso la povera gente senza la casa e senza lavoro? Un sindaco, che per paura dei ricchi e dei potenti, abbandona i poveri – sfrattati, licenziati, disoccupati, e così via – abbandona il suo gregge”. Lo scrive al papa e ai giornali.

Incontro la Volpe in Piazza della Signoria.

“Gongoli, eh”, mi dice.

“Te no?”

“Quello ci fa sotterrare”.

“E siamo soltanto all’inizio”.

“Continuo a rimanere della mia idea”.

“Ma se anche il Mandragola s’è adeguato”.

“Lo dici te, che ti fermi alle apparenze”.

“Ha ancora il dente avvelenato?”

“Non è il solo. A Roma si mugugna”.

“Io, sinceramente, non capisco. Che volete di più? Vi ha fatto vincere le elezioni che neanche ci speravi”.

“In politica non bisogna affidarsi ai fuochi di paglia”.

“Pensi che La Pira sia un fuoco di paglia?”

“Se non lo è, qualcuno lo fa diventare. Non certo te e il tuo giornale, che gli date spago.

 

30.

M’imbatto in Anna e Paola in un bar di via Cavour.

“Come stai?”, mi chiede Anna.

“Penso d’essere in via di guarigione. La ferita non è stata piccola”.

Paola vorrebbe dire qualcosa, ma Anna la blocca. “Hai deciso d’arrenderti?”

“Sono stato costretto a prendere questa decisione. Lucia non ha fatto niente per incoraggiarmi. Segno evidente che la mia presenza le pesava”.

“Ne sei convinto?”

“Vorrei non esserlo. La realtà, purtroppo, è una. Una soltanto”.

“Ti stai consolando con quella tua collega?” Paola riesce a superare la voce di Anna. E’ un’insinuazione cattiva.

“No, Paola. Sono ben diverso da come pensi”.

E le lascio con un mezzo saluto. Risentito.

 

31.

Non mollano. Il quotidiano “La Nazione” fa da sponda al malcontento dei proprietari. Ma gli applausi sono di più. Anche la Chiesa è con la Pira. “Decisione saggia, di vera solidarietà”. E’ quel che passa nelle parrocchie. La domenica, in San Procolo, è tutto un discorrere al settimo cielo.

Chiara dice: “ Fagiani e i suoi non hanno saputo fare tanto. Sono stati battuti sul loro stesso terreno. E, se continua di questo passo, chi lo schioda più La Pira da Palazzo Vecchio. La Pira ha anche un’altra capacità: d’appoggiarsi a collaboratori con gli attributi”.

 

32.

Autunno di piogge intense, di nebbie e di vento. La pioggia m’annienta, mi mette di pessimo umore. Un bruscolo diventa un macigno.

Arrivano notizie preoccupanti sulle condizioni dei fiumi.

Nel Polesine, siamo al disastro. Il Po non sta negli argini. Si è costretti a evacuare centocinquantamila persone.

Ci sono gesti di solidarietà importanti.

La Pira apre le porte di Firenze agli alluvionati, pur rendendosi conto che gli aumentano i problemi.

“Come si fa a essere indifferenti di fronte al dolore?”

Pensa a tutti. “Venga con me”, mi dice una domenica. “Le ho fatto avere un permesso per entrare nel carcere. Passiamo qualche ora con i detenuti. Un sindaco non può dimenticarli. C’è gente che soffre, che ha bisogno di almeno un filo di speranza. Se uno ha sbagliato, non può essere condannato per sempre. Bisogna dargli una possibilità. Almeno un’altra”.

 

33.

“Che fai a Natale?”

“Non lo so”.

“Ti va di unire le nostre solitudini?”

Chiara m’appare in forma. Ora ha un bello spazio nella cronaca nera. E’ massacrante, il ritmo. Ma lei s’esalta. Non dice mai basta. E ce la fa a dare bucature alla concorrenza.

“Sai, non t’ho mai raccontato niente, ma anch’io ho avuto una storia finita nel nulla. E’ finita poco prima di prendere la strada di Firenze. Era impiegato all’anagrafe del Comune di Siena. Non gli andava giù la mia scelta. Pensava a me come a una casalinga o, a sprofondare, a un’impiegata in un  ufficio pubblico. Mi ci vedi?”

“Ti è costata?”

“A chi non costa? La rottura fa male. Basta non starci a pensare troppo. Basta non crogiolarsi nell’afflizione – oh, quanto sono sfortunata – e andare avanti. Avere fiducia. Pensare che domani puoi incontrare la persona giusta”.

“Dove andiamo?”, fo per cambiare discorso.

“A casa mia. Penso io a cucinare”.

“Ma ammattisci per due”.

“Lasciamelo fare. Ne ho voglia. Niente d’eccezionale. Anche perché, poi, dobbiamo lavorare”.

“Quando mai arriveremo a far festa come tutti i cristiani?”

“Vaglielo a dire. Non siamo tutelati su nulla. A me, hanno fatto un contratto da poligrafica”.

“Anche a me, nei primi tempi. Prendere o lasciare. Come dire cambia lavoro, se non accetti. Prego, accomodati”.

 

34.

L’appartamento – camera, cucina, bagno e un disimpegno pieno di libri – è nei pressi di Pitti. Ci arrivo infreddolito.

“Buon Natale, dice.

“Buon Natale”, dico.

E mi stampa, Chiara, un bacio sulle labbra. Un secondo sufficiente, però, da sorprendermi.

“Natale con i tuoi, quest’anno, non vale per me. Mio padre s’è inalberato. Non voleva sentire ragioni. Alla fine, gli ho detto che non faccio un lavoro che mi consente il tempo che hanno gli altri. Ha borbottato qualcosa e poi ha detto va bene, fa’ come vuoi”. Si sta bene. “Questa è la mia cuccia. Ti piace?”

“Sì”.

Non è molto diverso dal mio appartamento in San Frediano. Ma nel mio manca il tocco di una donna.

Tortellini in brodo e cappone lesso con salsa verde. Panettone, panforte e ricciarelli. Poco vino e un mezzo calice di spumante. Il caffè, alla fine.

“Sei stata eccezionale nella semplicità”. Non amo ingozzarmi.

“Adulatore”.

L’aiuto a sparecchiare.

Al primo contatto ci guardiamo seri.

La tentazione è forte.

Mi chiedo se è quel che voglio. Mi chiedo se non sto prendendo un altro abbaglio. Non voglio farmi del male.

“Non avere paura, – sussurra – non sono una che inciccia. Ho semplicemente voglia di te. E non da ora”.

Non mi trattengo. Cancello tutto in un istante. Parole e immagini del passato non hanno più alcun significato. Esiste soltanto Chiara, con le sue dolcezze, con la sua sensualità, con la sua disponibilità.

“Vorrei che non finisse mai”, dice a un certo punto. Poi si lascia andare completamente. S’abbandona. E non ha pudori. Tira fuori la parte nascosta di sé, e io non sono da meno.

Dopo rimaniamo nudi sul letto, uno accanto all’altro, per una mezz’ora.

In silenzio.

E’ successo quel che non pensavo, accettando l’invito, potesse succedere.

E’ successo e sono contento. Avevo un peso sul petto e ora non ce l’ho più.

E’ lei, poi,  a dire: “Il dovere ci chiama. Anche se vorrei rimanere qui, così”.

“La speranza è che i fiorentini e gli italiani, in generale, abbiano fatto i bravi. Almeno per Natale”.

 

35.

Nevischio, vento, pioggia. Vivo da meteoropatico. Chiara ci scherza su. Non le importa proprio niente il tempo che fa. Non la condizione, il tempo.

 

36.

“No, stiamo per conto nostro”, dice Chiara.

Ci hanno invitati a trascorrere l’ultimo dell’anno da amici, in una villa a Fiesole. “Festeggiamo noi due, a casa mia. Come abbiamo fatto a Natale. Tra l’altro, sono di servizio. Mi accompagni nel giro. E, se succede qualcosa, mi dài una mano”.

“Stasera chiudiamo prima”.

“Sì, sperando che non accada niente di clamoroso. Sennò sono dolori”.

Una ragazza tenta il suicidio e la salvano in tempo. Un ubriaco grida la sua solitudine nel bel mezzo di Ponte Vecchio. Una coppia di turisti inglesi, non più giovani, su di giri, si lascia andare a effusioni pesanti alla Loggia de’ Lanzi. Un principio d’incendio in un’abitazione dove si fa festa. Il primo nato è una femminuccia che pesa tre chilogrammi e mezzo ed è figlia di un operaio della Pignone e di una bidella di scuole elementari.

La mezzanotte ci trova al giornale. Chiara smette di scrivere il pezzo un minuto per brindare. Ci sono anche il redattore capo e il capo della nera.

“Tanti auguri”.

“Speriamo che il 1952 sia migliore”.

“Felicità”.

Chiara mi bacia senza preoccuparsi degli altri.

Arriviamo a casa di Chiara verso l’una e mezzo, una copia del giornale fresco di stampa.

Ci sono anche gli auguri di La Pira. Li ho raccolti io. Immagina per Firenze un anno fecondo. Parla di iniziative importanti, senza scendere nei particolari.

Mi ha assicurato che ne parlerà con me, in maniera approfondita, il 2 gennaio. Appuntamento in Palazzo vecchio, alle 10.

E’ una bella notte d’amore. Chiara è un’amante che non conosce ritrosie.

L’aroma del caffè, appena fatto, mi sveglia che sono passate da poco le undici.

“Buon anno”, dice Chiara.

“Buon anno”, dico.

Siamo ancora nudi.

 

37.

“Ci manca solo che regaliate, con il giornale, il suo santino”.

Anno nuovo, Volpe vecchia. Lo vedo stanco, il vestito stazzonato, la barba di tre giorni.

“Ti mette male?”, gli chiedo ironico.

Non risponde. Nel giro di cinque minuti accende due sigarette.

“Non è che ti giovino alla salute”.

“Lascia perdere”.

“Qualcosa ti preoccupa?”

Di nuovo: “Lascia perdere”.

“Dovete mettervi l’animo in pace. E’ un grand’uomo, un grande sindaco e un grande politico”.

La provocazione lo fa esplodere in una sequela di bestemmie.

 

38.

La Pira è raggiante. “Firenze riavrà i ponti alle Grazie, Vespucci e Santa Trinita. Non sono favole. Sono fatti. Nascerà un nuovo quartiere, l’Isolotto, rimasto sulla carta con Fabiani. E faremo il possibile per far nascere anche quello di Sorgane”.

“I tempi?”

“Rapidi. Bisogna cancellare i segni della guerra e dare certezze ai fiorentini”.

“I soldi ci sono?”

“Sono l’ultima preoccupazione. Roma si rende conto dell’importanza di Firenze, del ruolo che può svolgere in Italia e nel mondo. Non basta. Ricostruiamo il teatro comunale. Realizziamo la centrale del latte. Il centro storico sarà pavimentato di nuovo. C’è bisogno anche di questo. I turisti stano tornando”.

 

39.

Bilenchi parla alla redazione con tranquillità. Ogni tanto consulta alcuni fogli. E’ più un tic che una necessità. “Bisogna essere realisti e ammetterlo. La Pira sta spiazzando tutti. Amici di partito e avversari. Non viaggia tra le nuvole, non teorizza e basta. E’ concreto. Tutto quel che annuncia, fa”.

Ci sono redattori e politici nel saloncino. “Non mi sento, come direttore di questo giornale, di far finta di niente. Mi sono arrivate critiche non blande. Claudio Franchini. Ripeto, Claudio Franchini, il collega che segue da vicino La Pira, è sempre nel mirino. Fortuna che è uno di carattere. Un altro, meno determinato, al posto suo, se ne sarebbe andato da un pezzo. E sia chiaro: non ho alcuna intenzione di mandarlo via. Perché lui agisce su mie indicazioni. Se uno deve andare via, quello sono io. Ma, sia chiaro anche questo: io non me ne vado. Non ci penso nemmeno lontanamente. Piuttosto, quel che sta avvenendo a Firenze, più che in altre città, deve far riflettere i socialcomunisti. Bisogna essere spietati con noi stessi. Dobbiamo finirla con gli slogan e puntare il dito – costantemente – contro Roma, De Gasperi e compagnia varia. Sì, Roma ha le sue responsabilità, la Democrazia cristiana ha le sue responsabilità, sta dalla parte dei padroni. Ma a Firenze usa un altro linguaggio, grazie a La Pira e a gente come Nicola Pistelli. Lo vogliamo capire, sì o no?”

 

40.

“Sa dov’è nata l’idea della messa dei poveri in San Procolo? E’ nata in casa di don Raffaele Bensi, che è il mio padre spirituale e confessore”.

“Si dice che lei, prima di prendere una decisione, di quelle importanti, si consulti con don  Giulivo Facibeni e il cardinale Elia Dalla Chiesa. E’ vero?”

“Ho un buon rapporto con loro e non vedo niente di male se chiedo loro un consiglio. Lei che farebbe se avesse amici di cui si fida ciecamente? Che hanno il coraggio di difenderti?”

“Eppoi ce la Mazzei”.

“Fioretta è accanto a me in Comune. Anche di lei mi fido molto. Ha grande sensibilità”.

 

41.

“Vorrei che Bilenchi mi dirottasse su un altro settore”. E’ una giornata no. Mi capitano. E mi spiego con Chiara.

“O questa?” fa lei meravigliata.

Siamo a casa sua. Ormai passiamo insieme la maggior parte del tempo. E’ lei a insistere.

Non so, forse da troppo tempo tratto lo stesso argomento, lo stesso personaggio. Qualche volta mi sembra di ripetermi”.

“Se c’è una cosa che non fai, è quella di ripeterti. Non te lo consente il personaggio. Ce n’ha sempre una nuova. Prendi, per esempio, il convegno per la pace e la civiltà cristiana. Una bella provocazione considerato come vanno le cose nel mondo”.

“Sembrava camminare un metro da terra tanto era soddisfatto del risultato. Per sé e per Firenze. Firenze caput mundi”.

“Non lo scherzano. Lo prendono sul serio”.

“Ne vedremo altre. Mi ha detto di tenermi pronto, che mi vuole dietro quando andrà a far visita ai grandi della Terra, a dirgliene quattro”.

“E allora perché vuoi abbandonarlo?”

Non rispondo. Non voglio dirle che quell’uomo sta demolendo le mie certezze. Che sono pieno d’interrogativi.

   

Riccardo Cardellicchio

  

              

Fine quinta puntata

 


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