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In libreria/ Barbarah Guglielmana con Anna Venturini. “Andavo per nuvole e onde”
Anna Venturini e Barbarah Guglielmana
Anna Venturini e Barbarah Guglielmana 
03 Agosto 2018
 

La ricerca del confine: è forse questo uno degli elementi che più caratterizzano le poesie di Barbarah Guglielmana e le immagini fotografiche di Anna Venturini, che formano insieme il volume Andavo per nuvole e onde (La Vita Felice, marzo 2017), e che le segna come tatuaggi sotto pelle. La ricerca comincia già dalla copertina, dove spicca un elemento simbolo del viaggio, un faro, ma colto nel momento in cui viene colpito da un’ondata travolgente, come a suggerire che non solo la persona che viaggia, ma anche i suoi punti di riferimento, che per definizione dovrebbero essere “fermi”, non solo sono soggetti alle intemperie, ma di più, possono vacillare e addirittura mutare: anche se impercettibilmente, anche se con effetti a lunghissimo termine, la salsedine scava nella muratura dura e “impenetrabile” del faro e lo trasforma, senza fretta lo cambia. Così, in questo libro che racconta l’andare, e quindi il viaggio, attraverso parole e immagini è subito al centro il “disequilibrio”, perché andare è la costante ricerca di un equilibrio nuovo, che induce, nel frattempo, a vacillare, tra un passo e l’altro si rischia di cadere, e tutto porta a mutare.

Consapevoli di questo, già dalla prima foto che troviamo all’interno del volume, uno scatto dei binari della stazione di Pavia, città dove entrambe le artiste vivono e lavorano, si ha la sensazione netta della ricerca di quel confine non semplicemente come approdo, bensì come ostacolo da superare: i binari ampliano la prospettiva delle possibilità, molteplici direzioni che si aprono al lettore una volta superato proprio il primo limite, la grata che appare in modalità sfumata, un fantasma di sé, quasi la metrica di un realismo magico che non impedisce, bensì libera. La prima poesia che leggiamo è proprio legata a quell’immagine; è senza titolo ma non senza alternative, anzi, esprime bene le possibilità plurali di quei binari, e non solo nello spazio, ma perfino nel tempo: “immagini” della storia recente e passata del mondo, che la poetessa mischia con alcune della propria vicenda personale, reale o sognata, “scorrono” come recuperate da una lista segnata su un post-it attaccato al cruscotto di una macchina del tempo. E come solo la poesia ispirata è in grado di fare, “immagini” sognanti e morbide convivono con altre terribili e sferzanti: partendo da Pavia, Barbarah Guglielmana arriva in Siberia, «in un romanzo russo», e poi a «Praga, per la rivoluzione / e per un amore impegnato», a Brescia, «un giorno / a fermare quella bomba», a Sarajevo, e ancora in un’oasi in mezzo al deserto, e poi in una minestra di cipolle, e ancora «in un piatto di fagioli sudamericani / e in uno di crauti tedeschi del ’43», fino a elevarsi sulle ali di un gabbiano per lasciare al quotidiano la sofferenza che si può incontrare ogni giorno sull’asfalto, in un richiamo montaliano «di siringhe col male di vivere», per cercare altro, per perdersi «guardando i tuoi occhi».

E già così si giustifica il titolo del libro: un andare tra le parole dell’immaginazione, aeree come le nuvole, e la realtà ripresa nelle foto, concreta come le onde; e viceversa, anche le parole sono materiche come le onde, perché possono far male o far godere, e le immagini, invece, sono lontane come le nuvole, perché chiunque può vedere ciò che vede, dietro alla realtà immortalata che diventa illusione. È così l’andare tra lettura e visione, in questo libro, una libertà che permette di trovare limiti e confini e di superarli. Come anche nella poesia dal titolo “La fine dell’inizio dell’estate”, Barbarah Guglielmana usa spesso elenchi di fatti, di idee e personaggi per fissare dei confini, e per mostrare che subito si sciolgono, perché proprio i contenuti di quelle liste spingono da tutte le parti per uscirne. Girando quella stessa pagina, Anna Venturini risponde a quella visione poetica con due immagini contrapposte e perfettamente parallele, perché esprimono la libertà assoluta di un orizzonte senza confini (The World Breathes), dove la Terra sembra poter respirare all’infinito, ma sotto un cielo “finito” dentro l’infinito, e un respiro chiuso in infinite, forse, gocce d’acqua (The World in Every Drop), ma che si espande nell’infinitamente microscopico. Le immagini accompagnano i versi esplorando prospettive di confini, come limiti che incorniciano e insieme sono essi stessi lo spunto per essere superati: ne cercano i punti deboli, le smagliature, come anche nella foto intitolata Chatting at the Serpentine Lake, scattata a Londra; le risponde Barbarah Guglielmana con un elenco fitto di possibilità uguali e diverse di una situazione simile all’aria aperta, ma a Pavia, quale si legge nella poesia “Sulla panchina”.

Uno degli esempi più riusciti è forse la foto intitolata The Northern Window, scattata a Kautokeino, in Norvegia: l’immagine di una finestra evoca l’“odore” delle fiabe ambientate nel Nord Europa; il buio e le tendine nascondono un mondo che siamo liberi di immaginare. Non a caso, la poesia collegata a questa immagine è l’intima e malinconica Personali orizzonti. Quell’Andavo del titolo del libro, le due artiste, quindi, l’hanno veramente fatto: le foto sono scattate in giro per il mondo – Pavia, Londra, New York, Oslo… –, e le poesie sanno rispondere a tono – Pavia, Milano, Chiavenna, Berlino, Parigi… –. Quel confine al centro della ricerca è allora il punto e il momento del cambiamento, lo spazio-tempo superato il quale nel lettore cambierà qualcosa, anche inavvertitamente, anche dopo molto tempo, come nel caso del faro, insieme al cambiamento della fotografa e della poetessa.

Come ogni viaggio, anche questo “andare per nuvole e onde” termina in un posto che in qualche modo abbiamo bisogno di chiamare “casa”, anche se non usiamo quella parola, come fanno Anna Venturini con Looking Inside Your Place e Barbarah Guglielmana con “L’ocra dell’autunno”. Ma come entrambe ci suggeriscono da queste pagine, neppure la casa è un confine; non è un limite, è solo una tappa dell’andare, e questo vale per ogni viaggio, anche quello più lungo.

 

Riccardo Giuseppe Mereu


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