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Anna Lanzetta e Fiorella Menna: Pascoli, un percorso tra parole e immagini
Munch: L
Munch: L'urlo 
08 Maggio 2007
 

Quanti dubbi, quante delusioni, quanti sogni sperimentiamo ogni giorno; quante difficoltà e incomprensioni, per qualcuno anche forti traumi, tanto più forti in quanto vissuti in un’età delicata, come l’adolescenza, e ancor più fragile oggi, per mancanza di punti di riferimento sicuri. A volte, vengono meno proprio le sicurezze fondamentali, come la famiglia o la società, in cui sembra predominare il male.

Anche per Pascoli l’origine della sua sofferenza ha radici profonde, legate a traumi familiari come i numerosi lutti e a delusioni sociali come l’ingiustizia patita e il carcere.

Pascoli ci dà un’originale testimonianza di quella profonda crisi del soggetto che è tema di tutta la letteratura europea dell’epoca.

Ma, ci siamo chiesti: la crisi della società sarebbe stata così determinante nell’elaborazione della poetica di Pascoli senza l’esperienza lacerante dei traumi vissuti nell’adolescenza? Noi riteniamo di no e comunque, abbiamo preferito avventurarci su questo binario, indagando sui due versanti della vita del poeta: la felicità e il dolore, la spensieratezza e il disagio, il bianco e il nero.

Abbiamo tentato poi di costruire un percorso sinergico tra linguaggio poetico e linguaggio figurativo, poiché la Storia dell’Arte non è materia curricolare nel nostro Istituto. Con questa esperienza, abbiamo avuto l’occasione di arricchire l’orizzonte delle nostre conoscenze con gli elementi pittorici, cogliendone l’immediatezza espressiva attraverso la pittura dei Macchiaioli e quella en plein air degli Impressionisti, per approdare a quella dei Simbolisti che, con l’ uso particolare del colore, caricano la realtà di un proprio significato e comunicano, come fa Pascoli con il linguaggio poetico, la loro visione del mondo.

Per parlare di Pascoli abbiamo individuato alcuni temi che, secondo noi, sono i più rappresentativi della sua condizione esistenziale:

·         il mondo degli affetti: il "nido";

·         l'angoscia del vivere: il tema della morte, del dolore e del mistero,

temi che abbiamo elaborato attraverso la parola e l'immagine.

 

 

Il mondo degli affetti: il tema del nido

 

L'infanzia felice dell’attesa e delle illusioni

 

In relazione: Adriano Cecioni, La madre, 1880

 

Il poeta vive un'infanzia felice. Molto attaccato alla famiglia, di origine contadina, ha un bel rapporto con i suoi fratelli e le sue sorelle; era il quarto di otto figli.

In relazione: Cristiano Banti, Riunione di contadine, 1861

La persona a cui il poeta è più affezionato è la madre, di cui delinea un ritratto molto intenso nella poesia Mia madre:

 

Me la miravo accanto

esile sì, ma bella

pallida sì, ma tanto

giovane! Una sorella!

bionda così com’ era

quando da noi partì.

 

In relazione:Silvestro Lega, La Madre, 1884

Anche il ricordo dei suoi baci e del vezzeggiativo con cui lo chiamava -Zvanì-  basta a definire beati anche se fugaci quei giorni (Una voce).

La figura materna diventa, quindi, nell’ immaginario poetico di Pascoli, sinonimo di sicurezza e protezione dalle minacce del reale:

 

…Soave allora un canto

s’ udì di madre, e il moto di una culla 

                                (Il tuono).

 

A sette anni Pascoli entra in collegio insieme al fratello maggiore Giacomo e alla prima sorella Margherita. Sono gli anni più spensierati della sua vita, di cui sentiamo l’eco in alcuni versi della poesia L’aquilone:

 

… È questa una mattina

che non c’ è scuola. Siamo usciti a schiera

tra le siepi di rovo e d’ albaspina.

 

In relazione: Alfred Sisley, Frutteto in primavera, 1881

 

Sono le voci della camerata

mia: le conosco tutte all’ improvviso,

una dolce, una acuta, una velata…

 

Fondamentale per il poeta è la figura del padre con le sue attenzioni, il suo sorriso, la sua tenerezza e il senso di sicurezza che infonde alla famiglia:

 

Chinò mio padre tentennando il capo

con un sorriso verso lei…

Mio padre prese la sua bimba in collo,

…e la baciò, la ribaciò negli occhi…

                                 (Un ricordo)

 

Anche un uomo tornava al suo nido…

                                       (X agosto)

 

In relazione: Giovanni Fattori, Barocci romani ( part.)

Altrettanto importante è il suo paese natale, che egli ricorda spesso nelle sue poesie:

 

Sempre un villaggio, sempre una campagna

mi ride al cuore (o piange)…

sempre mi torna al cuore  il mio paese …

…Romagna solatia,

dolce paese…

                          (Romagna)

 

In analogia: Wassily Kandisky, Vecchia città II, 1895

La gioia e la serenità della campagna (luogo incontaminato, semplice e puro, in opposizione al caos della città moderna), che ritroviamo in molti altri versi di Pascoli, viene ben espressa dai dipinti dei Macchiaioli, col loro carattere denotativo o da quelli degli Impressionisti, per le connotazioni soggettive con cui ritraggono i giochi di luce nella natura.

In relazione: Camille Pissarro, Raccolto generoso

Camille Pissarro, Falciatura ad Eragny

 

Lungo la strada vedi su la siepe

ridere a mazzi le vermiglie bacche:

nei campi arati tornano al presepe

tarde le vacche.

                    (Sera d’ ottobre)

 

arano: a lente grida, uno le lente

vacche spinge; altri semina; …

                    (Arano)

 

In relazione: Giovanni Boldini, Bovi al carro

Ma il calore dell’abbraccio dell’ambiente familiare supera ogni altra esperienza:

 

Già m’accoglieva in quelle ore bruciate

 sotto ombrello di trine una mimosa,

 che fioria la mia casa ai dì d’estate

co’ suoi pennacchi di color di rosa.

…Era il mio nido…

                               (Romagna)

 

In relazione: Camille Pissarro, Orto e albero in fiore

 

 

Il nido violato

 

Dalla caduta delle illusioni all’angoscia del vivere.

 

In relazione: Eduard Munch, L’urlo, 1893

 

L’urlo” è un’opera simbolo del dolore.

«Una sera passeggiavo per un sentiero. Da una parte stava la città e sotto di me il fiordo. Il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando».

L’analogia suono-colore struttura la composizione: violente strisce ondulate, rosse, blu e gialle, generano il cielo e il mare. La figura umana è un’apparizione spettrale, delirante, dagli occhi vuoti.

 

 

La caduta delle illusioni

 

Ma da quel nido, rondini tardive,

   tutti tutti migrammo un giorno nero;

   io, la mia patria or è dove si vive:

   gli altri son poco lungi; in cimitero. (Romagna)

 

L’assassinio del padre, la morte della madre e dei fratelli, la dispersione della famiglia, la povertà, la necessità di lottare per vivere costituiscono una frattura rispetto al tempo felice dell’adolescenza e segnano la fine delle illusioni, come viene suggerito dalla poesia Novembre:

 

Gemmea l’aria, il sole così chiaro,

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l’ odorino

 amaro senti nel cuore…

 

La prima strofa della poesia produce una forte impressione che fa sembrare reale ciò che non è: l’illusione è creata sul piano delle sensazioni e delle emozioni.

In relazione: Claude Monet, Primavera, 1873

 

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante

sembra il terreno.

 

In relazione: Camille Pissarro, Neve a Louveciennes

Non ci sono più illusioni, le trame degli alberi secchi indicano la perdita dei sogni. La natura esprime tristezza, malinconia, sofferenza.

 

Silenzio intorno: solo, alle ventate,

odi lontano, da giardini ed orti

di foglie un cader fragile. È l’estate,

fredda, dei morti.

 

In relazione: Telemaco Signorini, Novembre, 1870

Il silenzio predomina e indica la solitudine, l’ abbandono, la morte, che pone fine al dolore e alle illusioni, che cadono come il grano sotto la falce:

In relazione:Vincent Van Gogh, Campo di grano con falciatore

Sembrava che la vita ispirasse conforto e fiducia, invece rivela la sua reale natura.

La poesia Novembre è innervata dalle figure dell’opposizione: suoni dolci vs suoni duri, uso dell’avversativa, ossimoro finale, quasi a voler tendere il linguaggio al massimo dell’espressività.

Il nido è stato distrutto materialmente, ma resta aggrappato al cuore del poeta che, infatti, cercherà di ricostituirlo, seppur diverso:

 

Dal selvaggio rosaio scheletrito

penzola un nido

Or v’è sola una piuma, che all’invito

del vento esita, palpita leggera

(Il nido)

 

L’assonanza tra scheletrito e nido proietta sul simbolo della famiglia la materialità della morte, ma la piuma che palpita leggera al soffio del vento indica la volontà di resistere, di sopravvivere.

 

 

L’ossessione della morte

 

L’ossessione della morte e le figure del padre e della madre (a cui sono dedicate le due raccolte poetiche, Myricae e Canti di Castelvecchio) popolano l’immaginario poetico di Pascoli.

Alla rievocazione della morte del padre si associano immagini che sottolineano il tema della violenza:

 

Ma uno squarcio aveva egli nel capo,

 ma piena del suo sangue era una mano

(Un ricordo)

 

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise”

(La cavallina storna)

 

Ora è là, come in croce, che tende

quel verme a quel cielo lontano

 (X agosto)

 

In particolare, la similitudine che associa la morte della rondine a quella del padre riassume le tre dimensioni della tragedia: si è consumata lontano dalla famiglia, “nido protettivo”anche per gli adulti; rievoca uno dei supplizi più atroci, la crocefissione, consumato a danno di un innocente, qui simboleggiato dalla rondine; segna la lontananza tra l’esperienza umana e l’Altro: il deittico quel più l’aggettivo lontano sembrano raddoppiare la distanza tra l’individuo segnato dalla sofferenza estrema e il cielo, verso cui o, contro cui, un uomo, che pure ha detto “Perdono”, addita le bambole, quasi in segno di sfida.

Sofferenza e dolcezza connotano, invece, la rievocazione della figura della madre e della sua scomparsa. Le parole che le dedica nei Canti di Castelvecchio sottolineano la particolare densità affettiva di quel rapporto:

 

«Io sento che a lei debbo la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata…, avanti i prati della torre. Ella stava seduta sul greppo: io appoggiavo la testa alle sue ginocchia. E così stavamo a sentir cantare i grilli e a veder scoppiare i lampi di caldo all’orizzonte…».

 

Gioia e dolore, dolcezza e angoscia si accompagnano al tema della presenza –assenza:

 

Sentivo una gran gioia, una gran pena,

una dolcezza ed un’angoscia muta.

- Mamma?- È là che ti scalda un po’ di cena.-

Povera mamma! E lei, non l’ho veduta”

(Sogno)

 

Ancora, il tema di una comunicazione mai interrotta:

 

O madre seppellita,

che gli altri lasci, oggi, per me; parliamo

(Colloquio)

 

di tante tante parole/non sento che un soffio…Zuanì…

(La voce).

 

Oppure la regressione al mondo dell’infanzia, quando la parola della madre si trasforma in canto:

 

Mi sembrano canti di culla,

che fanno ch’io torni com’era…

sentivo mia madre…poi nulla…

sul far della sera.

(La mia sera)

 

Nemmeno la presa di distanza dalla concezione religiosa della vita, di cui è invece portatrice la madre, può impedire di censurare questo aspetto della sua esistenza:

 

No…no… Dì le devozïoni!

Le dicevi con me piano piano… Piuttosto di’ un requie per noi!

(La voce)

 

Dovevi, o madre pia, dirlo a Dio padre,

che non potevi; e ti lasciasse

(Colloquio)

 

Il nido rimasto vuoto indica prospetticamente la casa dei morti: il cimitero.

Inquietudine e disagio segnano ormai l’esistenza del poeta che nei suoi versi esprime il rifiuto del mondo esterno e il rifugio nel mito del nido.

In relazione:Gustave Courbet, Mare in tempesta,L’onda,1869

 

 

Dalla sofferenza privata al dolore universale: la natura come simbolo

 

In età ormai matura, il poeta rielabora  i traumi subiti ricostruendo il nido familiare distrutto e trincerandosi nel culto delle memorie familiari, da cui non solo rimangono esclusi gli altri due fratelli, Raffaele e Giuseppe, ma anche Ida, quando decide di sposarsi. La campagna intorno al nuovo nido di Castelvecchio di Barga, che diventa la sua nuova patria  Maria, dolce sorella: c’è stato tempo che noi non eravamo qui?, fornisce nuova materia poetica, collegandosi idealmente con la campagna intorno a S. Mauro di Romagna.

La scelta del tema campestre o paesistico non avviene quindi indipendentemente dal trauma che condiziona tutta la vita di Pascoli, che lo sceglie sia perché al paesaggio campestre sono legati i ricordi della sua adolescenza felice, sia perché da quel paesaggio egli ora si sente definitivamente escluso. La frattura definitiva tra passato e presente implica la frantumazione delle rievocazioni in una serie di impressioni apparentemente slegate, per cui le immagini diventano il segno della felicità perduta e si caricano di un valore simbolico. La natura prende vita nelle forme verbali che la identificano e comunica con vario cromatismo realtà e stati d’animo, per cui il frinire delle cavallette diventa il suono di “finissimi sistri d’argento” e rievoca un’immagine di morte; un aratro senza buoi in un campo allude alla solitudine:

 

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero

resta un aratro senza buoi, che pare

dimenticato, tra il vapor leggiero.

 

E cadenzato dalla gora viene

lo sciabordare delle lavandaie

con tonfi spessi e lunghe cantilene

 

(Lavandare)

 

In relazione: Vincent Van Gogh, Paesaggio a Auvers, 1890

- Vincent Van Gogh, Le lavandaie, 1888

(Immagini in bianco e nero)

 

La parola poetica alterna le sensazioni di silenzio, solitudine, abbandono della prima strofa ai rumori, canti, voci della seconda, per riflettere specularmente nella terza, attraverso il madrigale (quando partisti, come son rimasta! / come l’aratro in mezzo alla maggese), l’immagine dell’aratro in quella della donna abbandonata.

Se il nido si associa al tema della casa come culla, protezione, sicurezza, la siepe diventa il baluardo del nido, disegna il confine tra il dentro, percepito come rassicurante, e il fuori, che rappresenta il pericolo, l’insidia, la violenza. Non limite visivo che suscita la meditazione sugli interminati / spazi… e sovrumani/ silenzi, e profondissima quïete di leopardiana memoria, ma siepe

 

che al campo sei come l’anello al dito…

…che il passo chiudi co’ tuoi rami

irsuti al ladro….

verde muraglia della mia città…

immobile al confine….

fuori, dici un divieto acuto come spine

dentro, un assenso bello come fiori

( La siepe).

 

Anzi, la siepe / dell’orto disegna una barriera difensiva contro la realtà di sofferenza (Nebbia) e dialoga con la siepe del camposanto dov’è sepolta la madre del pellegrino, da cui egli taglia il bordone che lo accompagna tutta la vita (Il bordone) .

In relazione: Alfred Sisley, L’orto, 1874

 

 

La novità del linguaggio e la percezione del mistero

 

In contrasto con l’indeterminatezza e vaghezza del linguaggio poetico leopardiano, Pascoli utilizza il linguaggio fonosimbolico dell’onomatopea (chiù dell’assiuolo, gre gre di renelle, don don di campane …) e i linguaggi tecnici, speciali: il critico G. Contini individua in queste scelte il sintomo di «un rapporto critico» fra «l’io e il mondo». Pascoli proclamò il fallimento della scienza positiva, che non era riuscita a squarciare il mistero e a sconfiggere la morte. Sempre Contini afferma: «Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo… in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi… tra l’ uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti». Ma Pascoli ha rotto la frontiera tra determinato e indeterminato: la precisione del tessuto linguistico rappresenta la rete entro cui imbrigliare una realtà che sfugge, che diventa incomprensibile e che solo il poeta-fanciullo può cogliere nelle sue valenze più nascoste, disvelandone gli aspetti illusori. Così il «pianto di stelle» nella notte di San Lorenzo sancisce la distanza tra il «Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale» e la terra, l’esperienza concreta degli uomini, «quest’atomo opaco del Male»: la sofferenza individuale si rispecchia nella tragedia dell’esistenza umana a cui la natura resta indifferente.

In relazione: Vincent Van Gogh, Notte stellata, 188

Il quadro è per Van Gogh ciò che la poesia è per Pascoli: un pretesto per stabilire il proprio rapporto con la realtà e le cose. Questo quadro è stato composto dopo una profonda crisi esistenziale: il turbinio vorticoso delle pennellate testimonia l’angoscia dell’artista e la profondità con cui egli apprezza la bellezza del mondo.

«Sarebbe così bello/ questo mondo odorato di mistero» (Colloquio), «Ma bello è questo poco di giorno/ che mi traluce come da un velo» (L’ ora di Barga): la nostalgia per un’adesione positiva al reale, nonostante la sua sostanziale inconoscibilità (confronta la «fronte/ bianca di sfinge» in Paese notturno), rimane una tensione presente nell’animo del poeta. Ma prevale la sensazione di inquietudine e mistero nella rappresentazione della realtà:

 

Venivano soffi di lampi

da un nero di nubi laggiù;

veniva una voce dai campi:

chiù…

(L’assiuolo)

 

La prepotente sinestesia (soffi di lampi) e l’oggettivazione della qualità cromatica (nero di nubi) ben sintetizzano il pericolo imminente, a cui fa eco la voce dell’ assiuolo, che si trasforma in un singulto e in un pianto di morte.

Ancor più in Scalpitio il risuonare di un galoppo da remote lontananze, induce un moto di sgomento. L’annuncio del temporale (nell’ omonima poesia), un bubbolio lontano, fa presentire qualcosa di tragico che sta maturando misteriosamente nel grembo della natura; all’effetto fonosimbolico anche in questo caso si unisce il forte contrasto cromatico, quasi espressionistico: rosseggia, affocato, nero di pece, stracci di nubi chiare, tra il nero, un casolare, un’ala di gabbiano.

La situazione drammatica si accentua ne Il lampo, in cui la natura acquista i connotati tragici della sofferenza umana: la terra ansante, livida, in sussulto; // il cielo ingombro, tragico, disfatto. E la tragicità è accentuata dal pauroso silenzio in cui l’azione avviene, il tacito tumulto, contrastato però dalla violenza delle allitterazioni di suono duro che percorrono tutto il testo.

L’apparizione della casa, rapida come suggerisce l’asindeto (apparì sparì) viene associata all’occhio che riesce per un attimo a guardare nel mistero che ci circonda, rivelando una realtà tragica (la notte nera).

La nebbia costituisce il simbolo della visione velata del mistero profondo che nasconde la realtà:

 

E guardai nella valle: era sparito

tutto! sommerso! Era un gran mare piano,

grigio, senz’onde, senza lidi, unito.

E ancora: …Vidi,

e più non vidi, nello stesso istante. (Nella nebbia)

 

Anzi, la nebbia diventa sinonimo di difesa contro la consapevolezza del dolore del vivere:

 

Nascondi le cose lontane,

nascondimi quello ch’e morto!

 

le cose son ebbre di pianto! (Nebbia).

 

In relazione: Cecconi, Nebbia

Per il critico G. Contini, Nebbia è una poesia «che può essere perfettamente citata come allegoria generale del mondo pascoliano».

In realtà, Pascoli giunge a indicare, attraverso la parola poetica, una via d’ uscita: se la vita dell’ uomo è segnata dal dolore, dal mistero, dalla morte e si è smarrito il senso della provvida sventura non resta che il legame di fraternità tra simili:

 

Uomini, pace! Nella prona terra

troppo è il mistero; e solo chi procaccia

d’aver fratelli in suo timor, non erra (I due fanciulli).

 

 

Conclusioni

 

Questo percorso ci ha consentito di conoscere Pascoli più da vicino e di scoprirne la profonda sensibilità di uomo e di poeta.

Scoprire, in fondo, che Pascoli non è solo il poeta “lacrimoso”, come spesso è stato definito, ma un uomo che, attraverso la poesia, denuncia una società che, allora come oggi, disattende le attese, specialmente dei giovani.

Noi ci siamo riconosciuti nelle ansie e nel disagio esistenziale dei momenti più bui della sua vita, soprattutto nello scontro tra illusione e realtà, una verità fortemente esplicitata da altri poeti prima e dopo di lui. Ma abbiamo anche colto i bagliori di una vita che deve e può continuare: alla fine di Temporale (Myricae) troviamo l’immagine dell’ala di gabbiano, che analogicamente col casolare si staglia sul nero di pece. Similmente in Temporale (Canti di Castelvecchio) appare una chioccia:

 

…passa sotto

l’acquazzone una chioccia.

Appena tace il tuono,

…tra il vento e l’ acqua, buono,

s’ode quel coccolare

co’ suoi pigolii dietro.

 

Ancora una volta, la natura (in questo caso il gabbiano e la chioccia) allude simbolicamente a una realtà profonda, ma indicando una possibilità positiva. Per questo ci sembra in sintonia chiudere la nostra riflessione con un dipinto di Van Gogh, Il seminatore, in cui i colori esprimono la forza vitale, il seminatore semina speranze per una vita migliore, mentre un enorme sole diventa il simbolo di spiritualità e vita.

In relazione: Vincent Van Gogh, Il Seminatore

 

 

Questa esperienza didattica è stata realizzata dagli studenti della classe 2ª C dell’ITIS “A. Meucci” di Firenze, nell’anno scolastico 2004-2005.

 

Le insegnanti coordinatrici:

Anna Lanzetta e Fiorella Menna

 

Immagini:

-Casa del poeta

-Adriano Cecioni, La madre, 1880

-Eduard Munch, L’Urlo,1893

-Vincent Van Gogh, Campo di grano con falciatore

-Vincent Van Gogh, Il seminatore


Foto allegate

Van Gogh: Il seminatore
Casa Pascoli: L
Adriano Cecioni: La madre
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