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Tasse e prostituzione. Dal caso di Parma un buono spunto per il legislatore
23 Giugno 2008
 

Alla vigilia del dibattito parlamentare sul disegno di legge sulla sicurezza dove è stato preannunciato un intervento anche sulla prostituzione, la notizia che arriva da Parma con la Guardia di Finanza che chiede il pagamento delle tasse alla giovane prostituta uruguayana, potrebbe essere un ottimo spunto e un buon punto di partenza.

Novanta mila euro è la cifra calcolata sulla base dei 357 mila guadagnati in quattro anni con la sua attività e siccome secondo le Fiamme Gialle, «il meretricio è un atto civilisticamente illecito», i guadagni «sono tassabili quali redditi diversi derivanti da proventi illeciti». L'avvocato della prostituta, Luca Berni, impugnerà il provvedimento: «Se si vogliono far pagare le tasse alle prostitute bisogna prima garantire quelle forme di tutela, regolarizzazione e assistenza che attualmente in Italia non ci sono. La Finanza precisa che la prostituzione non è reato, lo è invece lo sfruttamento. Ma la mia assistita lavora in proprio e non sfrutta nessuno».

È esattamente quello che come senatori Radicali eletti nel PD, abbiamo scritto in un disegno di legge depositato al Senato e ribadito in un ordine del giorno che il Governo non ha voluto prendere in considerazione.

In alcuni Stati europei, anche su pressione delle stesse organizzazioni dei cosiddetti sex workers (“lavoratori sessuali”), si è deciso di procedere alla legalizzazione della prostituzione ed alla trasformazione di questa attività in una normale professione, sotto forma di lavoro dipendente, indipendente o cooperativo, con i diritti e doveri che ne conseguono, compresi quelli relativi all’assicurazione previdenziale e di tassazione.

Questa misura ha innanzitutto permesso di separare la prostituzione volontaria da quella coatta: la prima è “emersa” ed ha trovato forme legali di svolgimento, minimizzando i costi che ricadono sulla società e sulle persone che svolgono l’attività. L’apparato repressivo si è potuto così concentrare in modo più efficace ed efficiente sulla lotta alla prostituzione coatta ed allo sfruttamento, compreso quello dei minori, delle persone minorate o tossicodipendenti.

In questo caso di cronaca, in cui la Guardia di Finanza ha ragione nel sostenere che trattandosi di attività illecita (anche se non perseguibile penalmente, ma comunque non riconosciuta civilisticamente), ma ha ragione anche il legale della donna quando sollecita che se l'attività non è un reato debba essere riconosciuta e a fronte del pagamento delle tasse debbano anche esserle riconosciute delle tutele che oggi non esistono.

Resta perciò valido l'invito fatto al Governo a riconoscere come professione l’attività di prestazione di servizi sessuali remunerati tra persone maggiorenni consenzienti e a disciplinarla e regolamentarla nel pieno rispetto dei diritti lavorativi attraverso interventi dei ministeri del Lavoro, Salute e Politiche Sociali e dell’Economia e Finanze.

 

Donatella Poretti


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