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Alberto Figliolia. “Collaborators” di John Hodge 
Ai Filodrammatici di Milano fino al 4 dicembre
24 Novembre 2016
 

L'oscura fascinazione che il potere esercita attraendo intelligenze, comprese quelle di artisti e uomini di scrittura, con ciò corrompendone l'innocenza, alias l'amore per la verità e il genuino anelito al bene comune, all'edificazione dell'umanità. Se poi quel potere è rappresentato da Stalin...

Collaborators di John Hodge – sceneggiatore e drammaturgo britannico, già noto per il suo adattamento cinematografico di Trainspotting dal romanzo dello scozzese Irvin Welsh – in scena al Teatro Filodrammatici di Milano è un'opera fiume che tratta (ma non solo) di quella zona grigia, così come la definiva e descriveva Primo Levi, in cui vittima (uno scrittore boicottato o costretto a scrivere secondo dettatura, a fare autocritica aut similia) e carnefice (il dittatore che blandisce, elargisce doni e favori, e tutto nelle forme del ricatto) paiono divenire complici. Complici complessi...

Si dà il caso che lo scrittore al centro dell'azione sia Michail Bulgakov, ossia un genio, l'autore de Il Maestro e Margherita, non uno qualsiasi, quindi la sua cooptazione risulta particolarmente gradita al regime e all'autocrate.

Nella realtà storica Bulgakov avrebbe voluto lasciare l'Unione Sovietica e in tal senso aveva indirizzato una lettera proprio a Stalin, il quale gli telefonò chiedendogli perché mai volesse proprio andarsene via... Forse che non si trovava bene in Russia? Il non detto di Stalin era chiarissimo. Peraltro Iosif Vissarionovič Džugašvili a suo modo amava Bulgakov – a quanto pare, aveva assistito a ben quindici rappresentazioni de I Giorni di Turbins, adattamento teatrale del romanzo La guardia bianca di Bulgakov.

Un rapporto che procedeva dunque in maniera ambigua, fra crudeltà, ammirazione nascosta, piaggeria, assimilazione, paura, arbitrio, violenza psicologica, in uno strano gioco condotto, come il gatto col topo, dal dittatore, che evidentemente scherzava con la mente e le ansie del tormentato autore.

Fu così che all'ex medico – Bulgakov come Čechov – venne commissionato nel 1939 un lavoro celebrativo sul giovane Stalin. Fra dubbi e ripensamenti l'impresa venne sostanzialmente condotta a termine da Bulgakov, se non che lo stesso Stalin ordinò che la pièce non sarebbe dovuta andare in scena dal momento che... i giovani sono tutti uguali, perché scrivere un testo sul giovane Stalin?

Intanto Bulgakov in segreto era riuscito a completare Il Maestro e Margherita, un cui abbozzo aveva già dovuto bruciare. Il romanzo vide la luce, dopo la circolazione sotterranea come samizdat, fra il 1966 e il 1967. L'autore era morto nel 1940 per una nefrosclerosi e non poté trar giovamento né mai vantarsi d'aver scritto quel capolavoro. Stalin sarebbe morto dopo di lui, nel 1953.

Torniamo a Collaborators, al suo claustrofobico dipanarsi fra la misera casa, in condivisione con altri, di Bulgakov e moglie, i tenebrosi locali della Lubjanka e il recesso del Cremlino dove Stalin e Bulgakov s'incontrano per la stesura della pièce, in un pericoloso (per Bulgakov) scambio di ruoli, in cui lo scrittore, senza più indipendenza creativa, in un totale spaesamento esistenziale e smarrimento di coscienza e dignità, diviene complice. Complice complesso... Un perdente a oltranza.

Così va nella fiction di Hodge. Quale fu, secondo la verità storica, il coinvolgimento reale, e fino a qual punto, di Bulgakov non è dato sapere fino in fondo. Vittima senza dubbio, il suo immenso talento sacrificato e celato, una vita spaccata fra desiderio di ribellione e inquietudine e timore delle conseguenze. Ricordarsi anche di Boris Pasternak o di Mandel'štam (deportato in Siberia e morto in un gulag), Majakóvski (suicida) e altri ancora...

Fame ed esecuzioni sommarie, penuria diffusa e umiliante, terrore, restrizioni d'ogni genere, privazione della libertà, tradimento e confessioni rese sotto tortura, censura, epurazioni, purghe e processi farsa, repressione dei contadini, piani quinquennali e deliri d'onnipotenza, homo homini lupus...

La parola a Bruno Fornasari che ha tradotto e curato la regia di Collaborators... «La compagnia è stata fin da subito consapevole del fatto che a noi oggi serva un incredibile sforzo di fantasia per immaginare cosa significhi rischiare la vita per un'idea, ma basti solo un po' di onestà per ammettere che abbiamo tutti inciso nel nostro DNA l'istinto di conservazione, la “spia rossa” che invita a essere servi volontari di chiunque minacci la nostra vita, i nostri cari, o anche solo la nostra immagine davanti ad ospiti importanti. […] O forse, a essere pessimisti, quello che il testo fa davvero è sedurci ad ammettere che siamo tutti molto più Stalin che Bulgakov, anche se risulta difficile accettarlo. Collaborators infatti ci mette comodi nei panni di Stalin mentre mettiamo in discussione l'etica di Bulgakov, quello che, storicamente, dovrebbe essere il nostro eroe. Sorridiamo del ghigno guascone del contadino diventato leader supremo, mentre gli effetti della sua politica appaiono inevitabili “danni collaterali”, dettati dalla ragion di stato che incombe sui non eletti […] Ci troviamo insomma a comprendere le ragioni del mostro proprio mentre vorremmo condannarlo senza appello. Che fare? Alla fine potremmo stare solo parlando di teatro ben scritto, ovviamente. Ma chi stabilisce la soglia di finzione? Dov'è che finisce l'illusione?»

Alla prima di martedì 22 era presente lo stesso John Hodge, che, caso curioso della vita, aveva intrapreso gli studi di medicina prima di passare definitivamente al teatro. Come Bulgakov, l'eroe suo malgrado, la vittima, il complice complesso. Sia in ogni caso onore al genio di Michail Afanas'evič e solidarizziamo con la sua figura di intellettuale, seppur umiliato (ma Il Maestro e Margherita parlerà in suo nome per sempre...).

Anche se Stalin, il potere, è lì, ognora... sornione, mellifluo, con l'accenno di un sorriso o un riso sguaiato, con la pipa in mano e sempre spenta. Anche questa un trucco, un'illusione...

 

Alberto Figliolia

 

 

 

Collaborators di John Hodge. spettacolo vincitore del Laurence Olivier Award 2012 come Best New Play. Teatro Filodrammatici di Milano, via Filodrammatici 1, Milano. Fino al 4 dicembre. Durata spettacolo 140' + intervallo.

Orari: lun riposo; mar, gio e sab ore 21; mer e ven 19,30; dom ore 16.

Info: biglietteria, tel. 02 36727550, biglietteria@teatrofilodrammatici.eu, www.teatrofilodrammatici.eu.

Traduzione e regia di Bruno Fornasari, con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi, Michele Basile, Marco Cacciola, Emanuela Caruso, Bruno Fornasari, Enzo Giraldo, Marta Lucini, Alberto Mancioppi, Daniele Profeta, Chiara Serangeli, Umberto Terruso, Elisabetta Torlasco, Antonio Valentino. Scene e costumi Erika Carretta | disegno luci Fabrizio Visconti | musiche originali Rossella Spinosa, eseguite da New MADE Ensemble | assistenti alla regia Chiara Serangeli e Filippo Bedeschi | assistente costumista Linda Muraro | équipe tecnica Giuliano Bottacin, Cristiano Cramerotti, Andrea Diana | realizzazione scene Silvia Trevisani | produzione Teatro Filodrammatici di Milano per il progetto “220 anni senza perdere il Filo…” promosso da Accademia dei Filodrammatici.


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