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Roberto Dell’Ava. Scherzare coi santi
23 Marzo 2021
 

 



 

Maurizio Cattelan, La nona ora, 1999. Lattice, cera, poliestere, roccia vulcanica, tessuto, pastorale in argento, tappeto, vetro. Collezione privata

 

 

Mettere nero su bianco le proprie opinioni senza la pretesa dell’oggettività, e, soprattutto, con il massimo rispetto per i musicisti di cui parlo. Ecco, è da molto che rimugino queste idee, a chi mi legge il compito di condividerle o rigettarle, per me un momento per fare il punto su alcuni protagonisti del jazz nazionale.

Nei giorni scorsi su Rai5 è andato in onda un filmato che celebrava i 60 anni di Paolo Fresu, un musicista che per i media nazionali e per una gran fetta di pubblico, incarna una delle figure chiave della musica jazz in Italia.

D’altro canto, sui social la figura del trombettista sardo è oggetto di ambivalenza nei giudizi: da un lato lodi e ammirazione dai toni acritici, dall’altro, al contrario, critiche serrate, dove spesso al di là della veridicità delle contestazioni, il confine della correttezza e del rispetto viene ignorato a favore di una acredine che, almeno a mio parere, può inficiare un giudizio che per alcuni motivi può essere condivisibile.

Ma andiamo per gradi, e iniziamo dalle premesse: per i media nazionali, e parlo di quelli non specialistici, il jazz italiano si condensa in poche figure rappresentative. Una situazione che inficia il duro lavoro ed il talento di molti, spesso oscurati dalle personalità dei pochi assurti alle cronache mediatiche. I nomi li conoscete tutti, ma ad alcuni di loro va però riconosciuto il ruolo di talent scout, scopritori di giovani e promettenti musicisti inseriti nelle loro formazioni e quindi lanciati verso palcoscenici più consoni ai valori effettivi, diversamente misconosciuti e destinati a rimanere fuori dai riflettori principali.

Altri due in particolare, hanno invece creato una originale diversificazione di progetti e, soprattutto, di pubblico. Parlo di Fresu e Bollani, che hanno una presenza massiccia e in vesti differenti sia nei media (radio, televisione), che nella organizzazione di eventi e nel rapporto con la politica. Nel corso degli anni hanno consolidato un pubblico vasto, che spesso ha fatto la felicità degli organizzatori di festival e dei responsabili dei club, ma che però, per molti motivi tra cui il caleidoscopico bagaglio di interessi dei due, ha creato una spaccatura del tutto evidente tra il pubblico degli appassionati di jazz e il pubblico che accorre ai concerti dei suddetti. Non è difficile constatarlo, non bastasse il contatto diretto del pubblico , sarebbe utile andare a leggersi i commenti sui social alle iniziative e alle esibizioni dei nostri eroi. Un fenomeno già descritto da un musicista attento e lucido come Roberto Ottaviano.

Fans agguerriti di Fresu che ignorano Lee Morgan (ma, a parte forse Miles, anche tutti i maggiori protagonisti dello strumento), così come adoratori di Bollani che al massimo si spingono al Koln Concert di Jarrett ma non conoscono Paul Bley e tantomeno Bill Evans. Piuttosto, per esperienza diretta, questo è un pubblico che segue Fresu ma anche Ludovico Einaudi, Bollani come Giovanni Allevi, in maniera indistinta e acritica. C’è da chiedersi se questa situazione, così evidente a chiunque sia appena addentro alle vicende del jazz nazionale, sia positiva perché comunque in qualche modo avvicina pubblico ad una musica ingiustamente trascurata o invece è foriera di pericolosi equivoci (sui quali sicuramente anche la critica ha le proprie responsabilità).

Mi chiedo se quella parte di pubblico adorante non sia attratta più dall’evento e dalla fascinazione degli artisti piuttosto che dalla musica, e me lo chiedo proprio perché nella maggioranza si tratta di persone colte e sensibili, alle quali probabilmente manca un input specifico a livello musicale. Non è mia intenzione in questo post mettere in discussione o sminuire la personalità e la caratura dei Fresu e dei Bollani, le loro peculiarità sono note a (quasi) tutti, mi limito ad osservare lo specifico e a trarne delle conseguenze.

Sicuramente a creare questo stallo molto hanno contribuito anche le loro attività: le presenze di Bollani in radio e televisione sono state numerose, ed il suo approccio di intrattenitore colto e faceto ha fidelizzato un pubblico molto variegato, che apprezza più il lato cabarettistico che non le musiche originali. Il pianista si è quindi ritagliato uno spazio che evidentemente lo appaga, ma che probabilmente non rende giustizia al ruolo che potrebbe ricoprire in un ambito più strettamente jazzistico. Lo affermo da appassionato, che crede nelle doti di Bollani, ma che però prende anche atto di una discografia che, salvo alcune eccezioni, difficilmente passerà alla storia della nostra musica se non in un ristretto contesto nazionale.

Per Fresu l’accentuata multiprogettualità, confluita in centinaia di album, collaborazioni (diciamolo, alcune abbastanza improbabili), formazioni sempre diverse e costante presenza nei festival nazionali (anche qui si potrebbe aprire un capitolo sulla deficitaria capacità visionaria dei vari direttori artistici) ha finito per inficiare e diluirne lo spessore strumentale che al suo apparire sulla scena, tanti anni fa, unitamente alla freschezza e allo spessore umano, faceva presagire traguardi solo parzialmente raggiunti. Scrivo quello che penso, da semplice appassionato che un tempo non perdeva l’occasione di un suo concerto ma che ora è piuttosto saturo dei troppi album e dei concerti, spesso ripetitivi a prescindere delle diverse formazioni. Non a caso, parlo sempre per i miei gusti, gli album migliori del nostro risalgono a decenni fa, mentre negli ultimi tempi ha accentuato uscite di sapore pop o riletture classiche.

Il Fresu “politico” poi non gli ha attirato solo simpatie ma spesso feroci critiche. Non entro nel merito, sta di fatto che la collaborazione con il ministro Franceschini ha prodotto per ora iniziative ferme al palo (il jazz a scuola) o altre che paventano voragini nel deficit pubblico (e in questo il ministro ha collezionato già un discreto curriculum). L’unica idea che ha funzionato è stata “Il jazz per L’Aquila”, ma anche in questo caso, al di là del successo di pubblico, malumori e critiche, seppur sottotraccia, non sono mancate tra gli stessi musicisti. Rimane per me inconciliabile il doppio ruolo di organizzatore e musicista, per evidenti motivi di voto di scambio, e questo dando per certa l’integrità morale di Fresu.

Tornando allo speciale di Rai5, dopo averlo visto sono andato a leggere i commenti su Facebook. Tutti largamente positivi, molti con toni di eccellenza assoluta. Sarà, non discuto i gusti, personalmente mi sono abbastanza annoiato: l’unica luce mi è parsa provenire dalle incursioni di Alessandro Bergonzoni, per il resto ho ascoltato il repertorio che ormai da diversi anni propone il nostro: canzoni in chiave jazz (posso dirlo? Faranno felici i molti ammiratori di cui sopra ma che palle!!!), quartetto d’archi più flicorno, trio jazz, duo con Di Bonaventura. Mancano a mio modo di vedere, idee, freschezza, ritmo, rinnovamento. E tutto dejà entendu, scorre così bene che l’effetto soporifero dopo un po’ prevale. 

Fresu difficilmente leggerà le mie righe, nel caso invece accadesse, spero che intenda il senso del mio ragionamento. Non ho nessun motivo di accanimento personale, il mio è un semplice parere di un appassionato che in lui ha creduto, inoltre, al di là di gusti e vedute, continuo a rispettarlo come uomo, musicista, organizzatore, propugnatore di iniziative (molto meno come poeta, spero mi perdonerà l’ardire).

Normalmente quando ci si incontra con altri appassionati viene naturale lo scambio di opinioni, che si tratti dell’ultimo album di Gino Paoli o del favoloso programma del festival di Roncofritto. Ufficialmente invece, almeno stando ai portali e ai magazine dedicati, regna un silenzio acritico e assoluto che però è ben diverso dal silenzio assenso. Basta infatti spostarsi sui social e li ecco che le critiche piovono come tegole ed i giudizi sono sprezzanti.

L’impressione è che mettere nero su bianco un parere non allineato è parecchio irritante per gli interessati e a volte foriero di effetti collaterali indesiderati per chi scrive. Peccato, comprendo che è più gratificante ricevere centinaia di Like acritici a prescindere. Ho sempre pensato che il mondo del jazz italiano è, nella migliore delle accezioni, una polveriera quiescente, dove rancori, incomprensioni ed antipatie covano sotto la cenere. Per mia fortuna non mi riguardano, la musica per me rappresenta solo una passione e non ho interessi materiali o posizioni di prestigio da difendere, quindi mi permetto di scrivere quello che penso, mi auguro in maniera corretta ed educata, senza pretese di oggettività ma solo di buon senso e passione.

 

Roberto Dell’Ava


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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