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Gino Songini. “Non c'è più religione” 
Eppure... sarebbe così utile studiarla!
Illustrazione di Paul Gustave Doré
Illustrazione di Paul Gustave Doré 
03 Novembre 2009
 

Senza la pretesa di possedere la verità rivelata vorrei anch'io dire la mia sulla dibattuta questione dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana. Le mie sono considerazioni personali che non partono da alcun pregiudizio ideologico e che almeno in questa occasione non intendono riguardare la controversa storia dell'insegnamento della religione nelle scuole italiane dall'unità d'Italia (1861) ai nostri giorni. Si tratta quindi di un discorso che, anche per ragioni contingenti, è destinato a rimanere incompleto, e ciò sia dal punto di vista storico-culturale che da quello pedagogico-didattico. Nessuna dogmatica affermazione quindi, ma soltanto semplici riflessioni legate all'esperienza e al purtroppo sempre insufficiente bagaglio culturale.

Dico subito che in linea di principio sono pienamente favorevole all'insegnamento della religione cattolica nelle nostre scuole (con l'esclusione della scuola materna). A sostegno di questa mia convinzione, che parte da un punto di vista totalmente e liberamente laico, voglio ricordare ciò che, se non l'avesse detto Benedetto Croce, filosofo laico per eccellenza, griderebbero i muri, le chiese, i campanili, le biblioteche, le tradizioni del nostro paese: «Non possiamo non dirci cristiani».

Troppo legate la nostra cultura e la nostra storia al cordone ombelicale del cattolicesimo, dai primi nuclei cristiani in Roma alla recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. Ma, tanto per entrare nel vivo dell'argomento, chiediamoci per esempio come può uno studente di liceo affrontare lo studio della Divina Commedia, opera come nessun'altra imbevuta di argomenti dottrinali e teologici, senza un'adeguata conoscenza della storia sacra e della dottrina della Chiesa. La risposta è scontata: non può, non è in grado. E non è solo questione di Divina Commedia. Gran parte della storia letteraria italiana, da Jacopone da Todi ad Alessandro Manzoni, passando per Machiavelli e Torquato Tasso, ruota inevitabilmente intorno a una dottrina che si può accogliere o respingere ma che, in un caso o nell'altro, bisogna prima conoscere. E che bisogna conoscere, è bene dirlo, anche nei suoi aspetti meno positivi o manifestamente negativi: dall'Inquisizione alla Controriforma, dalla condanna di Giordano Bruno a quella di Galileo Galilei. Purtroppo i nostri studenti non conoscono molto di queste cose. Provate a chiedere loro cos'è la Rivelazione (che pure è semplicemente il fondamento della dottrina cristiana). Se ne trovate uno su dieci che sa rispondere, e parlo di liceali pressoché maggiorenni, gridate pure al miracolo. Non parliamo poi di altre questioni. Provate a chiedere cos'è la Trasfigurazione (rappresentata tra l'altro sulle tele da sommi artisti) o che cosa significa Immacolata Concezione. Non è neppure il caso di parlare di Virtù teologali o cardinali. È già tanto se i nostri ragazzi sanno elencare, magari confondendosi e imbrogliandosi, i dieci comandamenti. Preso atto di tutto questo, è più che naturale che, per tornare a Dante, li sentiamo ripetere in coro: “A me la Divina Commedia non piace. È difficile e mi annoia”. Con quattro parole il Sommo Poeta, padre della lingua italiana, è tranquillamente liquidato.

Lo stesso discorso vale per le questione storiche. Ad esempio, le dispute dottrinali e i conseguenti grandi avvenimenti legati alla Riforma protestante non vengono pienamente compresi proprio per la mancanza di una adeguata preparazione religiosa di base. E così diventa difficile parlare della «giustificazione per grazia mediante la fede» sostenuta da Lutero o del suo rifiuto del magistero ecclesiastico in nome del «sacerdozio universale dei fedeli». Nebbia. Di fronte a questi argomenti i nostri ragazzi sbadigliano o si addormentano perché solitamente non capiscono neppure di cosa si parla. Eppure, lo sappiamo bene, la Riforma protestante ha avuto un'importanza storica straordinaria. È evidente che non è possibile conoscere chi si oppone alla dottrina cattolica se non si conosce nulla della dottrina cattolica stessa. Come si può parlare di Lutero (e qui chiudo col riformatore religioso tedesco) che rifiuta la tesi della messa come sacrificio e che accetta invece la consustanziazione se non si conosce neppure il significato di tali espressioni? E si potrebbe continuare con mille altri esempi.

A fronte di questo grande vuoto culturale, io ritengo che sia perlomeno ozioso parlare di “insegnamento delle religioni” e non di “insegnamento della religione cattolica”. Con tutto il rispetto per l'Islam, per il Buddismo o per il Confucianesimo, penso che sia prima necessario studiare, e studiare bene, la nostra storia religiosa. Ma davvero pensiamo che i nostri ragazzi, che non sanno distinguere tra Vecchio e Nuovo Testamento, possano interessarsi ai «5 pilastri dell'Islam»? O approfondire le distinzioni tra sciiti, drusi e ismailiti? Che si interessino alla dottrina dell'«armonia celeste» predicata da Confucio? Ma...

Se poi volgiamo lo sguardo a quella manna del cielo costituita dall'arte italiana, un patrimonio del quale andiamo giustamente fieri davanti al mondo, non possiamo non vedere come essa, ancor più della letteratura, abbia nei secoli trovato la sua fonte di ispirazione nella sacra scrittura e nella tradizione religiosa. Non c'è chiesa, non c'è cappella, non c'è museo che non rimandi a questo. Ha scritto giustamente qualcuno che i pittori italiani per secoli hanno intinto i loro pennelli nella tavolozza a colori della Bibbia. Scultori e architetti a loro volta hanno fatto a gara a ispirarsi alle Scritture e ai simboli della religione cristiana. Insomma, dai musei di Firenze alle basiliche di Roma, dal Sacro Monte di Varese (o da quello di Varallo) alle chiese di Napoli tutto ci parla di una tradizione religiosa divenuta storia e cultura del nostro paese. E la storia dell'arte italiana è davvero una strada lunga e ampia disseminata di capolavori di contenuto religioso che non basta guardare, ma che occorre comprendere nel loro significato, a volte anche rivoluzionario. Dalle Alpi alla Sicilia una serie infinita di opere d'arte ispirate al sacro accompagna chi vuole viaggiare e vedere. Ma, ripeto, non basta guardare, occorre anche capire e per capire è necessario conoscere.

Conoscere, e qui lascio l'arte per tornare alla storia, anche per condannare gli aspetti più oscuri e negativi del cammino della Chiesa, dalla corruzione dei papi alla persecuzione degli eretici, dalla simonìa dei vescovi alla barbarie dell'Inquisizione, ecc. Come si vede non mancano gli argomenti di studio, da condurre possibilmente con insegnanti di spiccata qualità professionale. Scelti dallo Stato? Scelti dalla Chiesa? Non saprei, l'importante è che siano preparati, aperti, generosi. Come don Mario Pella, il mio professore di religione di un tempo ormai lontano, un uomo che sempre ricordo con ammirazione per la vasta cultura e la profonda umanità.

Ma, obietterà qualcuno, come la mettiamo con gli studenti di fede islamica o di altre confessioni religiose? Dichiaro di essere impreparato a rispondere. Mi si permetta però a mia volta di formulare una domanda: sarebbe possibile durante una lezione di italiano (non durante l'ora di religione dalla quale sarebbero ovviamente esonerati) proporre agli studenti islamici lo studio del Canto XXVIII dell'Inferno nel quale Dante descrive con durezza Maometto condannato all'inferno quale “seminatore di scandalo e di scisma”? O dovremmo rinunciare, per evitare prevedibili problemi, allo studio della Divina Commedia?

E ancora: visto che il Corano, dopo avere descritto in alcune sure l'atrocità delle pene alle quali saranno condannati i più abietti peccatori, aggiunge che nessuna pena sarà pari a quella inflitta agli scultori (nell'Islam la scultura è vietatissima), potremmo proporre agli studenti islamici lo studio di Donatello, di Michelangelo e di Antonio Canova? O dovremmo abolire da tutti i nostri libri qualsiasi riferimento a scultori e sculture? Come si vede, non è solo questione di presepio sì o no nelle scuole elementari. I problemi ci sono, e per affrontarli e risolverli non sempre basta un atteggiamento “politicamente corretto”.


Gino Songini

(da 'l Gazetin, ottobre 2009)


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