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Lidia Menapace. Dei luoghi vivi e parlanti 
Sesto Fiorentino, 19 marzo 2014
30 Marzo 2014
 

Torno in Toscana, richiesta dall'Anpi, il 19 marzo, dopo alcune smentite e rinvii: viene rinviato dalla Regione l'evento in memoria di Teresa Mattei, per l'improvvisa scomparsa del presidente dell'Istituto storico. La commemorazione di Teresa si farà appena possibile. A Sesto scendo un paio di giorni più tardi, per un incontro su Donne e Resistenza. Quest'anno il tema è molto trattato e sentito: è una buona occasione per discutere i criteri della storiografia resistenziale, nella quale la presenza delle donne merita una considerazione specifica, non puramente aggiuntiva. Voglio dire che nel fatto che molte donne più o meno considerate ci siano state, muta la lettura generale di quell'evento e chiede un diverso racconto.

A Sesto la memoria è molto presente e viva, piazze e strade portano i nomi di tutti i fucilati, ricerche storiche precise rammentano che qui lavorò Ernesto Ragionieri, del quale si coglie l'eredità. In particolare mi colpisce il libro Fumo, l'ultimo della Caiani, un testo che racconta la storia di un partigiano vivente, che me lo consegna e del quale scriverò la recensione che merita appena avrò finito di leggerlo.

Ma quasi salto questa solenne e cara faccenda perché Sesto è la testimonianza di una straordinaria industrializzazione e di una non meno straordinaria conservazione critica della storia. A Sesto c'è la Ginori, il famoso marchio delle porcellane, che ho sempre pensato a Firenze. Invece i conti Ginori qui costruirono il grande stabilimento, uffici, villa, case per i lavoratori: la grande villa padronale, ora proprietà comunale, ospita tra l'altro una grandissima splendida biblioteca e segna l'appropriazione popolare di questa storia. Si tratta di una industrializzazione antichissima, del secolo XVIII addirittura, qualcosa che ricorda da lontano ciò che la aristocrazia mecenatizia e la borghesia illuminata fecero anche in Lombardia tra Beccaria e Parini e Manzoni: il Granducato però guida il progresso economico con tutte le sue durezze e malanni, ma anche con molto progressismo.

Tutta questa storia sembra raccolta e consolidata appunto nel Centro culturale del Comune con la sua biblioteca, enorme, grandiosa, molto ricca anche di testi antichi, e affollata ogni dove, vissuta, tutti gli scaffali sono aperti e accessibili, i libri consultati vengono a fine giornata deposti in appositi carrelli e il personale li ripone al loro posto, vi sono anche salette appartate nelle quali si può anche discorrere e incontrarsi. Insomma la biblioteca come pezzo vivente della storia cittadina. Pochi luoghi ho visto tanto ricchi di senso della storia, vivi e parlanti.

Quanti ce ne sarebbero di possibili in Italia, solo che si considerassero le innumerevoli “miniere” di cultura che il nostro paese alberga?

Ricevo da qui una ulteriore conferma che la cultura e la memoria sono un pezzo di economia della riproduzione e che non possono essere considerate come una risorsa economico-produttiva da sfruttare, rendendo tutto merce: la cultura fa parte di quelli che Marx avrebbe chiamato beni d'uso, deve essere lasciata e messa a disposizione di tutti e tutte, non appropriata da alcuni come privilegio, non venduta come risorsa turistica.

Si aprono prospettive di teoria politica ed economica e di mutazione sociale di grande portata in questo piccolo bel borgo toscano.

 

Lidia Menapace


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