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Marco del Ciello. La caduta di Tripoli, il futuro della Libia
22 Agosto 2011
 

Ieri sera gli insorti libici che fanno capo al National Transitional Council sono entrati a Tripoli, incontrando una debole resistenza. Secondo le ultime notizie disponibili, controllano la maggior parte della città e tutto lascia pensare che già nelle prossime ore potrebbero completare la conquista della capitale. Si pone quindi, a partire da oggi, il problema del futuro della Libia. Fare previsioni in questo campo è sempre molto difficile, ma i fatti degli ultimi mesi possono darci qualche indicazione utile in questo senso. Parlo solo degli ultimi mesi, perché per decenni questo paese è stato un oggetto misterioso, a causa del ferreo controllo del governo sull'informazione. Sapevamo che non si svolgevano elezioni, sapevamo che l'economia ruotava intorno alle esportazioni di gas e petrolio, sapevamo che la classe media era composta in prevalenza da funzionari dell'ampia burocrazia statale e sapevamo che Internet era molto poco diffuso. Qualcosa filtrava anche a proposito delle violazioni dei diritti umani e della persecuzione della minoranza berbera (su questo blog ci siamo occupati, ad esempio, della vicenda di Madghis Buzakhar), ma poco altro. Giudicando sulla base di queste scarse notizie, tutte vere, il futuro della Libia appariva cupo: non sembrava cioè che potesse esistere una classe dirigente alternativa al regime al potere. Difficile immaginare una rivolta, ancor più difficile pensare a un dopo Gheddafi che non fosse segnato da sanguinose guerre civili.

I fatti degli ultimi mesi hanno però smentito queste fosche previsioni: come avevamo anticipato, sempre su questo blog (“La rabbia e l'immigrazione”), il 17 febbraio la popolazione libica si è sollevata contro Gheddafi, seguendo il modello di Tunisia ed Egitto. Non solo, gli insorti sono stati capaci di mobilitare l'intera popolazione e di portare avanti la loro lotta per sei mesi, pur tra mille difficoltà. Abbiamo assistito inoltre a un utilizzo creativo e imprevedibile della rete per aggirare la censura (v. “Libya's 'Love revolution': Muslim Dating Site Seeds Protest”). Ma la cosa più interessante per provare a indovinare i prossimi sviluppi è osservare il modo in cui il National Transitional Council è riuscito a costituire in pochi giorni un governo provvisorio capace di gestire la guerra e di mantenere l'ordine nella città di Bengasi e in tutta la regione della Cirenaica (v. “Libya rebels isolate Gaddafi, seizing cities and oilfields”, ma anche “Benghazi blues”). Abbiamo infatti scoperto che esisteva un ceto di professionisti, soprattutto giudici e avvocati, pronti a governare con il consenso dei loro concittadini. Possiamo quindi noi, e possono soprattutto i libici, dormire sonni tranquilli? Purtroppo no: se il rischio peggiore, quello dell'anarchia, sembra almeno per il momento scongiurato, costruire o ricostruire istituzioni solide è un lavoro lungo, faticoso e dall'esito sempre incerto. Più preoccupante ancora è il fatto che la Libia si trova in un'area geografica politicamente molto instabile, stretta com'è tra Tunisia ed Egitto, e questo non può che influire negativamente sulle sue prospettive.

Una cosa è però certa: come europei non possiamo ignorare quanto sta succedendo in questi giorni a pochi chilometri dalle nostre coste. Storia, geografia e almeno tre questioni politiche chiave (immigrazione, energia, terrorismo) ci legano indissolubilmente agli abitanti del Nord Africa, arabi e berberi. In mancanza di un governo europeo e di una politica estera comune, tocca ora alle singole nazioni muoversi in ordine sparso e anche in questo caso, come per la crisi economica globale, si vedono bene tutti i limiti di un'Europa divisa, mentre per il momento possiamo solo immaginare le opportunità di cui godremmo con la federazione continentale che da sempre i radicali auspicano.

 

Marco del Ciello

(da Radicali Senza Fissa Dimora, 22 agosto 2011)


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