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Kierkegaard e il «Singolo» ovvero solitudine e responsabilità
Søren Kierkegaard
Søren Kierkegaard  
20 Ottobre 2008
 

1. Il «singolo»

 

La dimensione del «singolo» è fondamentale per comprendere la filosofia di Kierkegaard.

Il «singolo» è quella categoria con la quale devono fare i conti le realtà del tempo e della storia e anche quella del genere umano.1

Non si tratta solo di una categoria cristiana (anzi, Kierkegaard stesso la considera una categoria decisiva per il futuro del cristianesimo).

L’essere «singolo» si mostra come una categoria fondamentale per chiarire l’esistenza nella sua dimensione ultima.

La categoria del «singolo» è fondamentale se si vuole parlare di un cristianesimo autentico. L’esistenza è autentica solo se considerata come esistenza cristiana.

Ma che cos’è il «singolo»?

Ci soccorre Nicola Abbagnano che nel suo Dizionario di filosofia lo definisce in questo modo: «Sostantivamente e nel linguaggio comune è la persona o la cosa considerata separatamente da altre, per qualche sua nota distintiva».2

Nel linguaggio filosofico si ritrova il senso e la natura del parlare comune. Ma il «singolo» nel pensiero contemporaneo designa esclusivamente o quasi l’io o meglio la persona per quanto essa esprime di unico e inconfondibile.

Kierkegaard contrappone alla riflessione oggettiva la natura del «singolo» e considera l’esistente come valore singolare (realtà indialettizzabile).

«Kierkegaard affermava polemicamente contro Hegel il valore esistenziale del singolo: “l’esistenza corrisponde alla realtà singolare, al singolo (ciò che già insegnò Aristotele): esso resta fuori dal concetto e in ogni modo non coincide con esso”».3

L’esistenza nel suo valore precipuo è il «singolo» che è una realtà a-razionale.

Il «singolo» si trova più in alto dell’universale.

«In un genere animale vale sempre il principio: il singolo è inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica, appunto perché ogni singolo è creato a immagine di Dio, che il singolo è più alto del genere».4

Kierkegaard «Nel combattere l’atteggiamento speculativo insito nelle oggettivazioni della storia universale, si propone di rivalutare tanto la soggettività etica del singolo quanto l’elemento metastorico della salvezza insito nel rapporto religioso del singolo con Dio».5

Kierkegaard dunque reca un filosofare che non è oggettivo e sistematico come quello di Hegel (che egli pure conosce e apprezza) e pone l’esistenziale del «singolo» come categoria-base contro le generalizzazioni di Hegel (e degli hegeliani) in un atteggiamento di apertura verso la condizione esistenziale, qualitativa, paradossale, non-generalista del filosofare.

Il «singolo» di Kierkegaaard è la base della sua speculazione non-oggettivistica, del tutto soggettiva (anti-immanentistica e anti-trascendentale), che egli stesso definisce alla stregua di un «pensare religioso». Il «singolo» emerge come esistente nella decisione e nel salto (realizzandosi alfine sul piano della possibilità e della libertà). Il rapporto con Hegel e con il romanticismo dà a Kierkegaard l’occasione di caratterizzare l’esistenza contro la storia (intesa in senso universale).

La polemica nei confronti della filosofia sistematica dà invece a Kierkegaard l’opportunità di rivendicare i diritti della trascendenza (nei confronti dell’immanenza).

Kierkegaard si oppone alla visione hegeliana in senso oggettivo della storia universale.

«La polemica contro Hegel e contro l’etica estroversa e mondana sottintendono una polemica più vasta contro l’indirizzo generale della cultura del tempo. Hegel è il bersaglio diretto, ma i bersagli indiretti sono Goethe, le scienze naturali, il filologismo e lo storicismo, lo spirito borghese e il liberalismo, il socialismo e l’umanismo in genere, nel suo culto per la scienza, per la ragione, per la storia».6

Kierkegaard è uno di quei particolari pensatori che allontanandosi dall’indirizzo generale della cultura occidentale (culto e dominio della ragione, asservimento dell’esistente al pensiero) pone al centro la qualità, l’esistenza; l’essere e il nulla nelle loro caratteristiche concezioni fondanti.

In Kierkegaard «Non è possibile una filosofia della storia a partire dall’uomo, in quanto l’orizzonte dell’universalità è raggiungibile soltanto dal punto di vista dell’eterno, vale a dire di Dio».7 Dio è il Dio cristiano sempre e semplicemente in Kierkegaard.

L’universalità è comprensibile solo dal punto di vista dell’eterno (ancora contro Hegel). Il «singolo» nella filosofia esistenziale ha un suo spazio di possibilità e di libertà interiore. Nell’interiorità, il «singolo» trova la sua strada maestra verso la storia.

La filosofia sistematica è oggettiva; la storia (in essa) è universale e quindi non apre spazi alla libertà ed all’interiorità.

La soggettività muove all’umano. Dal «singolo» si sviluppa l’interiorità; la singolarità si perfeziona proiettandosi in Dio (cioè nel suo paradosso).

Nel paradosso divino la singolarità è realizzata.

La soggettività del «singolo» conduce a Dio attraverso uno scavo nel proprio essere.

Dalla soggettività deriva un compito esistenziale: l’essere nel tempo in un rapporto con l’eterno che è assoluto, cioè che è allo stesso tempo salto e paradosso dell’essere cristiani.

L’esistenza, di per sé, è priva di senso.

Il «singolo» sta in tensione tra finito e infinito e supera così i limiti dell’esistenza.

Grazie all’eterno esso travalica il confine della vita umana e cerca così il significato della sua stessa esistenza.

«La filosofia hegeliana appare a Kierkegaard l’antitesi del punto di vista dell’esistenza da lui vissuto, e un antitesi illusoria. Le alternative possibili dell’esistenza non si lasciano riunire e conciliare nella continuità di un unico processo dialettico. In questo, l’opposizione delle alternative stesse è solo apparente, perché la vera ed unica realtà è l’unità della ragione con se stessa. Ma nella ragione l’uomo singolo è assorbito e dissolto. Di fronte ad essa, Kierkegaard presenta l’istanza del singolo, dell’esistente come tale».8

Il «singolo» non è però un concetto peregrino o poco frequentato dalla tradizione filosofica.

Esso «Si contrappone all’universalità impersonale dell’Io di Fiche, dell’Assoluto di Schelling e dell’idea di Hegel ed esprime l’irriducibilità dell’uomo, della sua natura, dei suoi interessi e della sua libertà a qualsiasi entità infinita, immanente o trascendente, che pretenda assorbirlo. In secondo luogo il singolo si contrappone alla “massa”, al “pubblico”, alla “folla”, in quanto in sé, non riducibile a quella dell’unità indifferenziata del numero. In questo senso Kierkegaard contrappone la comunità nella quale il singolo è alla folla il cui il singolo è un nulla».9 Il «singolo» è l’uomo finito, il contingente esistenziale. Nella sua contrapposizione al sistema hegeliano, Kierkegaard si dimostra coerente con le proprie idee.

Infatti «Opporre l’esistenza al pensiero, non è soltanto opporre il movimento alla stasi, ma anche la differenza all’identità. L’esistenza è qualità, discontinuità; contraddizione, dilemma, salto, paradosso. All’immanenza, alla continuità, alla sintesi della dialettica hegeliana, si oppone la trascendenza, il salto, il dilemma della dialettica qualitativa».10 In pratica: un pensare che è concreto e affascinante. Qualità e dilemma costituiscono il fulcro di tutto questo filosofare. Ed inoltre «Alla conciliazione si oppone l’esasperata separazione. Il particolare, l’individuo, il singolo, l’istante non sono momenti di un sistema meditativo, ma sono l’assoluto immediato. Alla sistemazione totale si pongono le briciole filosofiche, all’Aufhebung il dilemma e il paradosso».11 Il tipico pensare di Kierkegaard è ad un tempo filosofico e religioso.

«Nella dialettica esistenziale tra momento filosofico e momento cristiano le due espressioni di filosofia e di cristianesimo assumono in Kierkegaard un significato diverso rispetto a quello tradizionale».12 Nell’orizzonte del momento che è aperto al nulla il «singolo» è finito e contemporaneamente non-finito.

Disperazione e paradosso ci portano di fronte a una dimensione esistenziale dell’io inteso come «essere-se-stessi». Ma «essere-se-stessi» significa avere coscienza di trovarsi nell’orizzonte dell’attimo (il tipico momento che è aperto al nulla).

Il «singolo» che è l’unica realtà originaria è e contemporaneamente non è.

La fede, per Kierkegaard, si fonda sul paradosso (che per se stesso presuppone la realtà del «singolo») e non su di una verità concettuale. «Il filosofare che non sia ad un tempo fede non è un filosofare autentico».13

Il termine «concettuale» indica quindi una realtà opposta a quella del «singolo». Fede e peccato sono due momenti opposti di uno stesso processo esistenziale. Si può così parlare di fede quando il singolo supera ogni tentazione di fondarsi sul piano del sacro, del divino, su certezze che sono proprie del piano del finito. Si può invece parlare di peccato quando il singolo sente il bisogno di certezze che si presentano nella veste di leggi ben determinate.14 La fede è soltanto una verità che si fonda sul paradosso. Si tratta di una dimensione di verità che si basa sul «singolo» (e non su un concetto generale); essa è così intrinsecamente sacrale.

Nietzsche e Kierkegaard parlano dunque di una verità sacrale che investe il «singolo» fino a trasformarlo. Il paradosso è per Kierkegaard non speculativo ma esistenziale.

«Nel contesto categoriale si perde l’autentico volto del paradosso perché questo decade a oggetto del pensiero logico».15

Cristianesimo e teologia sono i due cardini del filosofare kierkegaardiano; in essi si svolge la vicenda del «singolo», esistenziale e divina. In essi si consuma la certezza e la dissoluzione; in essi si resta ammirati della tristezza del mondo e della povertà dell’uomo. In questi due esistenziali il «singolo» consuma la propria esperienza di umanità e di vita alla ricerca di una dimensione che sia autentica e sacrale ad un tempo; quotidiana ed eterna.

 

 

2. La solitudine

 

In Kierkegaarsd c’è un’unità di fondo tra il momento del pensiero e il momento della fede. Egli dice nelle Briciole filosofiche «Di voler formare se stesso solo per danzare agilmente al servizio del pensiero».16 Ma per far questo Kierkegaard vuole essere da solo; da solo in compagnia della sua esistenza. Ciò costituisce il «paradosso assoluto». La passione per il pensiero contiene la passione per la verità e la passione per la fede.

Kierkegaard aspira solo alla passione per il pensiero (paradosso assoluto). E danzerà da solo. La solitudine è dunque una caratteristica della passione per il pensiero. Danzando da solo Kierkegaard forma se stesso. Esclude cioè in questo modo qualsiasi compagno d’avventura. Occorre ballare da soli per conquistare il pensiero (e quindi la verità e la fede). Soltanto da solo il «singolo» uomo conquista la fede; il «singolo» (da solo) giunge – ballando - alla fede (che è compresa nel pensiero). L’importante è essere da soli in questa avventura esistenziale.17

Il «singolo» è per natura da solo. La solitudine è necessaria per arrivare alla fede; la solitudine danzante è una pantomima buona per acquisire il credere. Da solo il «singolo» - danzando - crede e conquista il pensiero. La solitudine è una condizione esistenziale fondamentale e basilare. Soltanto in virtù della solitudine-esistenziale si arriva a credere veramente ed a capire le cose del mondo. L’uomo danzante è naturaliter solo. Ma ci potrebbe e ci può essere un compagno di danza?

Dove Kierkegaard lo andrà a cercare?

«L’unica compagna di danza è la morte».18 Questa soltanto è un «abile ballerina».19

Nel corpo di fila dello spettacolo della solitudine-esistenziale l’unica ballerina possibile (che accompagni il «singolo» nella sua rappresentazione dell’esistente) è la pura morte.

(Vicino e in prossimità del paradosso ci sta così la fede).

Il «singolo» (privo di compagnie umane) danza la sua esistenza indifferenziata con la morte e solo così trova la fede. L’uomo nella vita è sempre da solo con la morte. Questa è la molla della fede. La danza porta direttamente al cristianesimo.

Amici dell’uomo in questa avventura sono la solitudine e la morte.20 E se c’è qualcun altro? Come si risponde? “A tutti gli altri possibili compagni di ballo Kierkegaard risponderà: «Io non ballo».21 Gli altri uomini (la gente) non sono necessari per la conquista della fede; il suo raggiungimento è un fatto solitario compiuto in compagnia del nulla.

«Solo la passione per il paradosso può aiutarlo a danzare questa danza della solitudine»:22 il paradosso conduce a danzare da soli con la morte alla ricerca della fede. Il paradosso diventa così condizione essenziale per trovare la fede. Il paradosso è: ballare da soli con la morte (per la fede cristiana). Ciò porta al pensiero ed alla verità.

La morte è di-per-se compagna d’avventura in questo ballo del mondo.

Essa è la condizione essenziale (esistenziale) per conquistare la fede.

Ciò è una semplice pantomima del tragico. La rappresentazione della danza del paradosso (senza la logica e l’esistenza) per il gran ballo della fede.

Il paradosso celeste che porta alla verità: la morte e il paradosso come «compagni di viaggio».

La passione (per il paradosso) «Si rivela come il fondamento del suo filosofare».23 La morte implica e produce e conduce alla fede.

Tutti i pensatori privi del paradosso sono mediocri compagni di gioco e mediocri compagni di ballo. Solo chi ha in sé il «paradosso» può danzare con il «singolo» in compagnia della morte. La morte è il paradosso centrale della fede; tutti gli uomini non sono compagni di ballo perché privi del paradosso. Kierkegaard afferma ancora che il paradosso consiste nell’«unire» ciò che è contraddittorio. La fede esistenziale (che si fonda sul paradosso) è una particolare realtà oggettiva che non può mai presentarsi sotto l’aspetto di un oggetto determinato posto nello spazio e nel tempo (altrimenti la realtà esistenziale del paradosso decade a realtà logica).

I pensatori occidentali (da Socrate in poi) rimangono sul piano del tempo (ragione) mentre Kierkegaard vuole filosofare sotto l’angolo visivo dell’eterno.

«Il paradosso esprime … “il rapporto tra uno spirito esistente, conoscente e la verità eterna”».24 L’aspetto filosofico del filosofare di Kierkegaard è il rapporto intercorrente fra tempo ed eterno; l’aspetto teologico invece è quello di un Dio che è come Gesù nel tempo e come Cristo nell’eterno. Il fondamento del «singolo» come «essere-se-stesso» è espresso dalla coscienza di essere senza certezze (legate al tempo). E quindi tale coscienza esprime la coscienza di essere liberi.

Il «singolo» nell’«essere-se-stesso» è in uno stato di disperazione.

Il «singolo» (solo, con la morte) danza e si trova disperato.

Il «singolo», danzante con la morte, è solo. Disperato e ballerino.

«Ficco il dito nella vita, ma non sa di niente» dice Kierkegaard nella Ripetizione.25

Il protagonista della Ripetizione  «Si lamenta che se la vita deve essere presa così com’è sarebbe meglio sapere prima veramente com’è. Ma egli stesso riconosce che ciò non è ovviamente possibile. La vita è come tale una continua prova».26

La vita è una «continua prova» per il «singolo» che nel suo «essere-se-stesso» è disperato.

Il «singolo» (disperato) è sempre messo alla prova dalla vita.

In questo si evince la forza e la pregnanza della presenza di Dio.

«L’autentica presenza del divino consiste nell’aver coscienza di essere abbandonati in un mondo privo di certezze. Di conseguenza consiste nel fare affidamento solo sulla propria decisione quando questa è aperta al nulla».27 L’uomo è solo, abbandonato in un mondo ormai privo di certezze (e se ne ha coscienza: questo è Dio) e danza in compagnia della morte per trovare la fede. In un mondo privo di certezze l’uomo è lasciato a se stesso e da solo cerca la fede; arriva a trovarla esibendosi in una immaginaria danza col nulla.

Quindi: nessuna certezza esistenziale e il niente universale sono i due compagni di tutta la vita dell’uomo. L’uomo, il niente e la fede.

La fede è stare in compagnia del niente in un mondo privo di certezze (e da soli, senza nessun altro).

La presenza del divino consiste nell’affidarsi solamente sulla propria decisione (quando questa è pronta e aperta al nulla).

L’uomo, tramite una decisione aperta al nulla, ha coscienza della presenza (accanto a sé) del divino. L’uomo decide (e coabita col nulla in una danza irreale e sempiterna), e trova così la fede; e trova così la presenza di Dio.

Nel mondo c’è solo la propria decisione (aperta al nulla): nessuna certezza, solitudine, e la ricerca della fede cristiana stando in compagnia del nulla.28 L’uomo non ha certezze; è abbandonato; è solo col niente e, se ne ha coscienza, può accedere al divino.

Col nulla e senza alcuna cosa certa; si è abbandonati e da soli in questo modo si arriva alla fede se si fa affidamento solo sulla propria decisione.29

Quella di Kierkegaard è una verità esistenziale. Tempo ed eterno sono legati a livello di fondamento.

Il «singolo» giace dimenticato in un mondo pieno di insicurezze (dove tempo ed eterno sono, alla radice, legati ). Ciò costituisce la sua verità esistenziale.

In sostanza: il «singolo» è solo col nulla e trova la via d’accesso alla fede nella danza.

Esso fa affidamento solo sulla propria decisione in un mondo privo di certezze.

Come esempi del «singolo» (che trova la fede nel nulla che lo contiene) Kierkegaard fa quelli di Giobbe ed Abramo.

La verità esistenziale suddetta è una semplice verità cristiana (che non conosce la fede e il trionfo). Il pensiero di Kierkegaard (che pure vive nell’Ottocento) è presente nella cultura del Novecento. Kierkegaard e Nietzsche infatti scavano a fondo nella cultura nichilista del loro tempo.

L’uomo è solo, sofferente, abbandonato, senza certezze ed è se stesso (danzando di fronte al nulla trova la fede che cerca). Il mondo dell’uomo è cristiano.

Ed è privo di cose certe. Indubitabili.

Il «singolo» (solo) è sofferente (e ciò lo fa grande perché solo così è e può essere se stesso).

Il «singolo» è se stesso solo di fronte alla sofferenza.

Il «singolo» nella sua solitudine ha una via d’accesso alla fede e la sfrutta (se la vuole sfruttare); è importante il suo essere se stesso soltanto nel suo essere da solo. E nella sua sofferenza.

Lo stare «da solo» del «singolo» è la via perfetta alla fede cristiana. Il suo baedeker, la sua vera e concreta condizione esistenziale.

 

 

3. La «responsabilità»

 

L’esistenza è «scacco della ragione».30 L’esistenza è apertura al mistero che trascende l’esistente. E’ trascendenza di se stessa con il mistero sempre davanti.

«L’esistenza è l’uomo singolo, impasto di finito e infinito, temporale ed eterno. L’esistenza è interiorità, soggettività, passione».31

Il «singolo» uomo è composto di finito e infinito. E si trova (esistenzialmente) insieme al nulla.

La sua sola esistenza è apertura al mistero, trascendenza.

Ma il «singolo» è soprattutto soggettività. Tale soggettività assieme alla morte cerca la fede e la trova nel paradosso (che è Dio: Gesù uomo e Cristo Dio).

L’intimità è quel rapporto spirituale nel quale si scopre la relazione tra il «singolo» e «Dio» nella dimensione necessaria del paradosso.

Dio può dunque essere raggiunto dall’uomo solamente nel paradosso. Approfondendo la propria intimità (cioè danzando l’esistenziale danza con la morte ) in un mondo brullo e privo di punti certi si raggiunge la fede cristiana.

La propria intimità porta al paradosso; la soggettività del «singolo» conduce a Dio attraverso uno scavo del proprio essere.

La trascendenza è ricercata dal «singolo» nell’immanenza. Dio viene cercato nel mondo. Mondo che è privo di certezze e nel quale Dio viene trovato negli esistenziali del salto e del paradosso che sono la fonte della fede cristiana.

Il «singolo» decidendo arriva al paradosso (che è Dio) e trova la sospirata trascendenza nella sua intimità.

La decisione del «singolo» (il suo movimento) è il modo che esso ha per avvicinarsi al senso della vita.

Il «singolo», decidendo, evoca il senso della vita che sta cercando.

Ciò ha un valore che è solo religioso. La normale decisione del «singolo» ha, quindi, una valenza che è religiosa.

Il «singolo» si trova a stare nell’esistenza in maniera religiosa.

Cerca la fede (che trova nel paradosso) e non ha alcuna certezza; decide, di conseguenza, e si trova nel nulla da cui deduce la fede ed il credere nella sua alternante vicenda umana.

In pratica, il «singolo» per trovare il senso cui anela deve porsi sul piano religioso.

L’uomo singolo è, naturalmente, davanti a Dio.

Suo malgrado, l’uomo, è sempre nel piano della religione.

Dunque, il «singolo» è peccatore.

E’ libero e ne è cosciente grazie all’angoscia del suo peccato. Il «singolo» è sicuramente colpevole davanti a Dio e vive in uno stato di continua prostrazione. L’esistenza è il mondo interiore del «singolo»: la sua soggettività, la passione, l’individualità. Il «singolo» con la sua intimità è davanti a Dio; l’unica sua esistenza è di faccia all’assoluto. La fede nasce così dalla sua individualità e sbocca nel mare magnum del paradosso.

Dal di dentro alla contraddizione in un solo salto.

Questo è un itinerario della soggettività per arrivare così alla fede; una via della ricerca intima che trova il suo sbocco nel paradosso.

Dalla ricerca si arriva così alla contraddizione: l’intimità e la fede come baluardi contro la mancanza di senso.

In se stesso il «singolo» cerca e trova il paradosso (e la fede); l’esistenza è l’intimità angosciata che sceglie (e decide) nella sua libertà alla scoperta di una fede che intravede nell’aiuto della grazia divina.

L’esistenza, dunque, coinvolge il «singolo» nella sua dimensione etica. La responsabilità è una faccenda interiore che conduce il peccatore davanti al suo Dio e conduce il «singolo» – solo - a conoscere la fede e la redenzione.

Il «singolo» è coinvolto nell’etica e nella responsabilità.

L’angoscia dell’esistenziale conduce all’etica.

Decidendo, il «singolo» arriva alla beatitudine eterna.

L’etica è un esistenziale.

Mediante possibilità e libertà si ha la responsabilità.

Ciò conduce Kierkegaard a distruggere le assolutizzazioni di Hegel.

È, il suo, un recupero della qualità, del soggettivo, della passione.

Kierkegaard si muove in direzione di una storia che pone la contingenza degli eventi nell’incommensurabilità tra tempo ed eternità.

La responsabilità distrugge quindi le assolutizzazioni hegeliane: il «singolo» essere umano è immerso nella finitezza.

Il «singolo» essere umano è solo nel peccato; in uno stato di angoscia e in una condizione di finitezza. La possibilità concerne il futuro: essa da luogo alla responsabilità che si raggiunge solo nella dottrina cristiana (in virtù, precisamente, della grazia divina).

La responsabilità è. In sé. Insita nella soggettività.

Nell’interiorità del singolo esistente si trova la radice della responsabilità, della fede e della solitudine.

Il «singolo» si trova nel piano etico e vi sta unicamente ai fini della fede cristiana. Sul piano della dottrina cristiana solitudine e responsabilità del «singolo» sono le due matrici della decisione (che conduce alla fede) in un mondo che non ha nessuna certezza e che è aperto all’implausibilità del nulla.

Il nulla e la fede.

La solitudine e la responsabilità sono due aspetti della soggettività.

La solitudine, infatti, implica la responsabilità.

Il «singolo» (solo e responsabile) nel nulla della sua esistenza (aperta all’eterno) va incontro alla fede nella giostra gioiosa del credere umano.

Nell’etica si consuma la via del «singolo» verso la sua solitudine, responsabilità e danza (col nulla ). La singolarità, per Kierkegaard, è l’etica, l’interiorità, la soggettività.

Il «singolo» opera nella dimensione della responsabilità: la responsabilità è una categoria a lui immanente.

La responsabilità é l’interiorità ed è anche la soggettività.

Ma responsabilità è soprattutto individualità. E’ la presenza del «singolo» essere umano a se stesso e l’apertura di esso a Dio. La consapevolezza di se stesso e la ricerca della fede.

Il «singolo» è responsabile verso se stesso e verso la sua scelta di ricerca divina.

La responsabilità è duale: verso se stessi e verso Dio. La solitudine è solo verso se stessi.

La solitudine è una categoria immanente al «singolo» uomo. Solitudine e responsabilità conducono all’interiorità, alla soggettività e alla singolarità.

Solitudine è: interiorità e soggettività. Responsabilità è: decisione e solitudine.

E’ la fede che si annuncia al «singolo» con le sue trombe dell’amore e della certezza.

In virtù della grazia divina il peccatore è emendato ed è portato di fronte a Dio (al Dio cristiano semplicemente).

La solitudine è la vicinanza della morte. La responsabilità è la vicinanza della vita sempiterna. Solitudine è la ricerca di una sistemazione. La responsabilità è la ricerca dello stare da soli e del salto. La solitudine e la responsabilità accompagnano il «singolo» uomo nel suo cammino verso la fede (e verso la vita). Questi sono due esistenziali che lo conducono a braccetto nella bocca della fede e dell’etica. Sono due certezze. Due verità. Due condizioni esistenziali in un'unica e per un'unica condizione irrazionale.

La fede è la convergenza e lo scopo di queste due condizioni.

Il «singolo» è esistenzialmente cristiano in virtù delle sue due condizioni di vita: solitudine e responsabilità - le basi di Dio nel mondo.

 

 

4. «Come un semplice forse»

 

«Molti temi (dell’opera di Kierkegaard)… costituiscono una precisa antitesi polemica ai temi (dell’idealismo romantico)… la difesa della singolarità dell’uomo contro l’universalità dello spirito; quella dell’esistenza contro la ragione; delle alternative inconciliabili contro la sintesi conciliatrice della dialettica; della libertà come possibilità contro la libertà come necessità; e infine della categoria stessa della possibilità sono punti fondamentali della filosofia kierkegaardiana che nel loro insieme costituiscono un’alternativa radicalmente diversa da quella sulla quale l’idealismo romantico aveva indirizzato la filosofia europea».32 Kierkegaard difende la singolarità dell’uomo sopra tutto. Il «singolo» è solo e responsabile. Lo spirito è assoluto e onnicomprensivo. Ma dove si pone il «singolo»? Qual’ è la sua possibilità di essere nel magma dell’esistenza mondana? A ciò risponde lo stesso Kierkegaard in questa maniera: «Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra la saggezza e la stupidaggine, tra il qualche cosa e il nulla come un semplice forse».32 L’esistenza è dunque come un semplice forse. Una possibilità, un tentativo.

Il «singolo» vive nel regno del nulla e dell’idea-di-fare: nello stato libero dell’ingegno.

Luigi Pareyson chiosa a tutto ciò in questo modo: «Esistere è essere davanti a Dio, ma davanti a Dio si è con la coscienza del peccato. Esistere è scegliersi, ma ci scegliamo come peccatori. Esistere è essere “individuo”, ma si è tanto più individuo quanto più vi si sceglie, quanto più si è in rapporto con Dio e cioè quanto più si è e ci si sente peccatori».33 Il «singolo» danza con il nulla ed esiste solo in quanto è davanti a Dio. Trova la fede ed abita con la coscienza del peccato.

Solitudine e responsabilità sono le due caratteristiche del «singolo» posto di fronte a Dio (cioè alla fede): il nulla e l’etica.

Il «singolo» responsabile e solo è con Dio nella certezza del nulla.

In un mondo senza sicurezze, il «singolo» non trova altra alternativa che danzare con la morte in un mimodramma della fede e della speranza, del peccato e della grazia. Si è tanto più «singolo» quanto più si è in rapporto con Dio.

Il «singolo» è il soggetto della fede cristiana. Dove essere in rapporto con Dio vuole dire sentirsi peccatori.

Il «singolo» sta in un mondo di possibilità. Un mondo certamente cristiano. Senza certezze e senza futuro. Come un richiamo. Come una speranza. Come «un semplice forse» nelle forche caudine del nulla (e dell’incomprensibilità).

 

 

5. Conclusione

 

L’uomo è solo; «singolo», credente e responsabile. L’uomo è piccolo e smarrito nel cosmo.

«La chiave dell’interiorità kierkegaardiana… è nella consapevolezza non soltanto del vuoto e dello smarrimento dell’uomo nel cosmo ma anche nell’avvertenza… dell’insidia dell’io e del fascino della soggettività immediata… La sua soggettività è alla seconda potenza, quella della scelta assoluta dell’assoluto, la quale poi diventa… la soggettività (o dialettica) alla terza potenza in quanto ognuno non può ignorare Cristo e deve pronunciarsi sull’uomo-Dio…Kierkegaard non nega affatto la verità oggettiva (di una struttura ontologica delle cose in sé) né rispetto al mondo e neppure rispetto a Dio: essa è… il terminus a quo della verità esistenziale… mentre la soggettività è il quomodo dell’impegno stesso nel rischio della scelta».34 L’uomo è solo davanti a Dio; è responsabile davanti a Dio. «Poiché il cristianesimo esige che l’uomo si ponga, cioè esista, come singolo davanti a Dio egli deve indirizzare ogni suo atto a Dio».35

«Si tratta allora di passare nella fondazione della verità che salva (l’esistenza) dal rapporto formale astratto al rapporto personale concreto con Dio come padre: l’uomo può così entrare nell’eternità. Si tratta ancora e soprattutto di ammettere che Dio stesso nel cristianesimo si è messo in rapporto diretto e personale con l’uomo: Dio entra (bliver til) nel tempo».36

La base della filosofia di Kierkegaard è certamente l’esistenziale del «singolo». Esso fornisce le coordinate della pura esistenza stessa. Ma esso possiede anche delle proprietà. E cioè alcune regole che lo caratterizzano. Esse sono la solitudine e la responsabilità. Quella di Kierkegaard è una filosofia prettamente cristiana. Il «singolo» è - solo e responsabile - piccolo e stranito nella aspettativa del Dio cristiano; nel paradosso; nelle regioni della fede e della coscienza. La ricerca di Kierkegaard ci conduce ad intravedere nel «singolo» l’antesignano del perfetto credente. Dio è luce, salvezza e perdono. L’uomo «singolo» gli si fa incontro danzando insieme alla cosa meno importante della vita: la morte. E, danzando da solo, lo ricerca e lo tampina.

Dio è amore.

Kierkegaard filosofa solo in funzione di Dio.

Il «singolo» non è che un soggetto di questo filosofare, ed un soggetto morale.

La sua solitudine e la sua responsabilità lo portano all’incontro con il trascendente.

«Il cristianesimo e il divenir cristiano è stato il compito della mia vita, perché con pietà profonda io capivo che anche la vita più lunga non era di troppo per quel compito».37 Il cristianesimo è la ragione per Kierkegaard. L’uomo «singolo» deve giungere alla fede cristiana; per questo è solo e perciò è responsabile. Quello che conta è soltanto questa vita e questo «singolo».

«Quando [Kierkegaard]… parla di esistenza non pensa ovviamente a una categoria astratta ma solo e sempre alla esistenza concreta, quella propria del singolo. L’esistenza si addice appunto solo al singolo. Egli parla di “mia” esistenza».38 Ora, Kierklegaard è un filosofo dell’esistenza.

L’esistenziale del «singolo» è al centro del suo filosofare sulla vita e sulle sue contraddizioni. La vera e unica realtà è quella di Dio: non ci sono alternative, non ci sono emendamenti. Il «singolo» solo e responsabile davanti a Dio, cerca la fede e la trova nel paradosso. La vita si apre così al controsenso. Il cristianesimo di Kierkegaard inizia là dove termina la filosofia di Hegel: nel concetto di ragione che assolve e giustifica se stessa e che comprende e classifica l’esistente e l’inesistente: Kierkegaard ha buon gioco nel criticare Hegel e la sua filosofia.

Il «singolo» non è racchiudibile nelle categorie della ragione necessaria e nelle distinzioni della storia universale. Quello che conta è Dio.

Il «singolo» si pone da solo di fronte all’assoluto e responsabilmente lo comprende e lo raggiunge. Tutto il resto non è che cattiva esistenza. Male.

Tutto il resto non è che «scacco della ragione».

 

Gianfranco Cordì

 

 

1 Cfr. S. Kierkegaard, Il punto di vista della mia attività di scrittore, appendice «Il singolo».

2 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino 1968 (Definizione di A.M. Moschetti e G. M. Pozzo).

3 (781) S. Kierkegaard, Diario, X2, A, 328.

4 Ibid., X2, A, 426.

5 A. Rizzacasa, Kierkegaard. Storia ed esistenza, Edizioni Studium, Roma 1984, p. 9.

6 R. Cantoni, Filosofie della storia e senso della vita, La Goliardica, Milano 1965, pp. 145-146.

7 A. Rizzacasa, op. cit., p. 14.

8 N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, («Filosofia del romanticismo, Filosofia tra il secolo XIX e il XX»), UTET, Torino 1969 (Ristampa aggiornata della Seconda edizione interamente rielaborata), p. 184.

9 Ibidem, p. 198.

10 L. Pareyson, Studi sull’esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1971, p. 90.

11 Ibidem, p. 89.

12 G. Penzo, Kierkegaard. La verità eterna che nasce nel tempo, Edizioni Messaggero, Padova 2000, p. 55.

13 «Dato che decade a mera ricerca scientifica»; ibidem, p. 55.

14 Cfr. Ibidem, p. 56. Il mondo del finito offre delle certezze al singolo uomo; il peccato non è che un allontanarsi dal divino per avvicinarsi ad una di queste certezze.

15 Ibidem, p. 71.

16 S. Kierkegaard, Briciole filosofiche, Queriniana, Brescia 1987, p. 40.

17 Il «singolo» ballando giunge al pensiero.

18 G. Penzo, op. cit., p. 71.

19 Ibidem.

20 L’azione del «singolo» è il ballo stesso. Il fine della danza è trovare la fede.

21 G. Penzo, op. cit., p71

22 Ibidem.

23 Ibidem.

24 Ibidem.

25 S. Kierkegaard, La ripetizione, Lettera dell’11 ottobre.

26 G. Penzo, op. cit., p. 125.

27 Ibidem.

28 L’uomo, in compagnia del nulla, decide: questo atto lo conduce a Dio. L’uomo è solo; danza e trova la fede: decidendo nel e col nulla.

29 Se si fonda il proprio agire su certezze viene meno la possibilità di un colloquio diretto tra il «singolo» e Dio. Un mondo privo di certezze (di cui si ha coscienza) dove il «singolo» fa affidamento solo sulla propria decisione rende possibile un colloquio diretto tra lo stesso «singolo» e Dio. In un mondo dove regna l’incertezza, con la sola compagnia del nulla - da soli - il «singolo» cerca la fede e ivi trova un colloquio diretto tra se stesso e Dio. Il «singolo» con la morte giunge finalmente e direttamente a Dio. In tale compagnia del nulla non vi è alcuna dimensione concettuale della legge. L’impatto col divino è, in tal caso, indiretto. Per Kierkegaard è diretto (sempre senza precisamente mettere in campo la dimensione concettuale). Il «singolo» dialoga direttamente con Dio in un mondo incerto e mortale (facendo affidamento solo sulla propria decisione); tutto questo grazie al nulla. Il nulla fa dialogare direttamente il «singolo» e Dio (al di là di ogni dimensione concettuale). Il «singolo» decide. È abbandonato e ne ha coscienza. Tutto ciò in realtà è la presenza diretta del divino.

30 A Rizzacasa, op. cit., p. 38.

31 R. Cantoni, op. cit., p. 139.

32 N. Abbagnano, Storia della filosofia, cit., p. 181.

33 L. Pareyson, op. cit., p. 92.

34 Dalla Introduzione di Cornelio Fabro alle Opere di S. Kierkegaard, Sansoni, Firenze 1972, p. XLI.

35 Ibidem, p. LI.

36 Cfr. Ibidem.

37 S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, in Opere, cit., cap. V, S 2, S, V, IV, 301, p. 257.

38 G. Penzo, op. cit., p. 40.


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