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Gianfranco Cordì: Introduzione a Spinoza che scrive il "Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene"
Benedict Spinoza
Benedict Spinoza 
03 Agosto 2007
 

Nel 1852 E. Boehmer pubblicò un Sommario del Trattato di B. de Spinoza su Dio, l’uomo e il suo bene, che aveva trovato inserito in una copia dell’edizione nederlandese scritta dal Colerius della Korte, dog waaragtige Levens-Beschryving van benedctus de Spinosa (Breve ma veritiera descrizione della vita di Benedictus de Spinosa), con il titolo di Koerte Schetz der Verhandeling van benedictus de Spinosa: over God; den Mensch, en deszelfs wel-stand.

È la prima notizia che abbiamo dell’esistenza del Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene che Spinoza, stando alla datazione fornitoci dallo stesso Bohemer, avrebbe scritto nel 1661.

Nel 1862 il giurista e poeta A. Bogaers annunciò l’esistenza di un secondo manoscritto di sua proprietà dal titolo: Korte verhandeling/ van/ GOD /de MENSCH / en deszelus / WELSTAND.

Il Breve Trattato, dunque, costituisce sicuramente la prima opera sistematica di Baruch Spinoza.

La prima edizione attendibile dell’opera vide poi la luce nel 1862.

E fu curata da J. Van Vloten.

È certo che, dal punto di vista storiografico, l’opera fu composta originariamente in latino da Spinoza e che per quanto riguarda la Korte verhandeling si tratta solamente di una copia nederlandese proprio di quell’originale latino andato perduto.

In quest’opera il ventinovenne filosofo di Amsterdam mette a punto dunque quella che sarà poi l’impalcatura teorica definitiva del suo pensiero.

L’amore, egli dice, può e deve fare da tramite ai fini della perfezione.

L’amore è il mezzo attraverso il quale l’uomo può elevarsi al sommo bene.

Che resta sempre Dio.

Sia la Natura che l’uomo tendono (attraverso il conatus) al costante perfezionamento.

La Natura unisce in se tutte le cose; quindi la Natura unisce in se Dio e l’uomo.

L’uomo (di suo) non è che una parte della natura.

E visto che tutto dipende da una causa (la quale è Dio stesso), tutte le cose (Natura e uomo tra esse) dipendono da Dio e tendono verso di Lui perché «è evidente che nessuna cosa potrebbe tendere alla propria distruzione per sua natura, ma che, al contrario, ciascuna cosa possiede in sé un conato sia a conservarsi nel suo stato, sia a portarsi ad uno [stato]… migliore» (p. 175-6).

«Tutte le cose e le azioni esistenti nella Natura sono perfette» (p. 183) perché sono state create da Dio.

Ora: Dio per Spinoza è «un essere del quale viene affermato tutto, cioè infiniti attributi, ciascuno dei quali è infinitamente perfetto nel suo genere» (pp. 137-8).

E «Tutto ciò che Dio fa è compiuto e prodotto da lui come dalla causa sommamente libera. Dunque, se prima Dio avesse fatto le cose diversamente da come sono adesso, allora dovrebbe certamente seguire che egli, in qualche tempo, è stato imperfetto; ma questo è falso. Infatti, visto che Dio è la causa prima di tutto, deve esserci in lui qualcosa attraverso cui fa ciò che fa e non omette di farlo. Poiché diciamo che la libertà non consiste nel fare o non fare qualcosa, e poiché abbiamo anche mostrato che ciò che fa compiere a Dio qualcosa non può essere altro che la sua stessa perfezione, concludiamo che se non ci fosse la sua perfezione a farglielo compiere, le cose non esisterebbero o non sarebbero potute arrivare ad essere, per essere ciò che sono» (p. 175).

Le cose devono, dunque, il loro essere dalla perfezione di Dio.

Nella Natura inoltre non esistono cose contingenti ovvero «cose che possono accadere e anche non accadere» (p. 177). Tutto necessariamente dipende dalla perfezione di Dio.

«Poichè» - dice Spinoza come abbiamo già detto - «tutta la Natura è solo un’unica sostanza, e la sua essenza è infinita, tutte le cose sono unite mediante la Natura, e in una sola realtà, cioè Dio» (p.319).

Per cui sia il conato di ogni cosa a conservarsi nel proprio stato sia quello rivolto al portarsi in uno stato migliore sono ancora ed entrambi Dio.

Ma come avviene questo costante perfezionamento?

Spinoza afferma che «l’ultimo fine che cerchiamo e il più nobile che conosciamo è la vera conoscenza» (p.223).

E che «La conoscenza è ciò che causa l’amore» (p. 317) cioè che «Quanto più è eccellente la cosa conosciuta, tanto più è e deve essere grande l’amore» (p.225).

E Spinoza non ha perciò alcuna difficoltà ad ammettere, riassumendo tutto questo, che: «se usiamo bene il nostro intelletto, non potremo fare a meno di amare Dio» (pp. 230-1).

L’amore, dunque, attraverso la conoscenza conduce tutte le cose a Dio; conduce tutte le cose alla suprema perfezione.

Ed egualmente per Spinoza vale anche che la conoscenza, attraverso l’amore, conduce altresì tutte le cose a Dio.

Il punto centrale di tutto il discorso che Spinoza fa nel Breve Trattato è riposto tutto, dunque, in quest’ultima affermazione: «L’amore nasce dal concetto e dalla conoscenza che abbiamo di una cosa e, a seconda che la cosa si mostri più grande ed eccellente, anche l’amore è in noi sempre più grande. Possiamo scioglierci dall’amore in due modi: o attraverso la conoscenza di una cosa migliore, o attraverso l’esperienza che la cosa amata – che prima era ritenuta grande e magnifica – trascina con sé molto male e molta sventura» (p.225).

Solo dall’amore verso Dio noi non potremo mai scioglierci.

Per Spinoza nessuno può sfuggire all’amore di Dio e nessuna cosa può sfuggire a Dio.

Nel Breve Trattato Dio è comunque inevitabile.

Ma, per il resto delle cose?

Il fine dell’uomo è la vera conoscenza.

Da conoscenze imperfette l’uomo passa a conoscenze sempre più perfette.

E quindi: ad amori sempre più perfetti.

Se la cosa amata in questo momento trascina con se male e sventura noi ci difendiamo spostando il nostro amore su un'altra cosa; cosa che riteniamo più grande e magnifica.

Evidentemente, ci diremo: noi non avevamo conosciuto abbastanza bene quella prima cosa. Conoscendone una migliore, nello stesso momento, noi ne staremo quindi conoscendo una che è anche meglio della precedente.

Questa conoscenza più vera trascina con sé il nostro amore dalla prima alla seconda cosa.

Più si conosce e più si ama.

L’amore per Spinoza è l’anticamera della felicità.

«Dal non amare l’oggetto che solo è degno di essere amato – cioè Dio – ma le cose che per propria costituzione e natura sono instabili, seguono necessariamente (poiché l’oggetto è sottoposto a molti accidenti e alla stessa distruzione) l’odio, la tristezza, ecc., e seconda del cambiamento dell’oggetto amato» (p. 263).

Così come Dio è inevitabile anche l’amore, per Spinoza, è comunque.

Esso è una leva che innalza l’uomo a Dio.

L’amore tra la Natura e l’uomo è il punto di vista di Dio intorno al suo proprio stesso essere.

Dio è la Natura.

Anche la Natura dunque è inevitabile per Spinoza.

Ed il Breve Trattato, con la sua proposta di ricerca di una perfezione per l’uomo e per le cose, ci mostra in questo modo tutta la spietatezza di un ragionamento che non ammette repliche.

Dio comunque, l’amore comunque, la Natura comunque…

Spinoza a 29 anni inizia il percorso della sua filosofia ponendo degli assiomi di per se inconfutabili. Se la Natura è Dio e se Dio è la Natura tutto, in qualche modo, è già stato detto da Spinoza.

Anche l’errore è previsto e voluto da Dio.

Dunque: l’errore non esiste.

E se l’errore non esiste tutto è giusto ma tutto è anche implacabilmente programmato già di per sé.

La ragione spinoziana si rivela perciò fin da subito quasi affine all’intelligenza di un softwere.

E Spinoza, in qualche modo, il primo prototipo di un vero e proprio filosofo della ricorsione.

 

Gianfranco Cordì


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