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Carlo Forin: La mia lettura di Bernart de Ventadorn in "Canzone di Primavera"
14 Gennaio 2009
 

Caro Carlo,... se ho ben capito tu proponi una lettura e un'analisi archetipica della celebre poesia di Bernart de Ventadorn intinta nella primaverile fioritura che Tellusfolio ha di recente ospitato in “Discorso amoroso”. Entri, con fiducioso slancio, in una poesia (celebrata) come fossi intento ad uno scavo archeologico sulla lingua, sulla lingua con cui si parla di amore dalla notte dei tempi, dal primo bacio, dalla prima nostalgia divorante dell’essere lontano dalla donna amata. Una bella impresa che merita la pubblicazione: ogni variante e dis-lettura del sacro, anche del sacro amor da lontano che Ventadorn incarnò, mi trova complice. L'originalità fa il resto. Poi staremo a vedere cosa ne dicono i fini custodi della storia letteraria. Avranno dei dubbi sul metodo? Sul contenitore on line? Chissà.

 

                                            Claudio Di Scalzo

  

 

Canzone di primavera

 

 

Quando erba nuova e nuova foglia nasce

e sbocciano i fiori sul ramo,

e l’usignolo acuta e limpida

leva la voce e dà principio al canto,

gioia ho di lui, ed ho gioia nei fiori,

e gioia di me, e più gran gioia di madonna:

da ogni parte son circondato e stretto di gioia,

ma quella e gioia che tutte l’altre avanza.

 

Tanto amo madonna e l’ho cara,

e tanta reverenza e soggezione ho per lei,

che di me non ardii parlare mai

e nulla chiedo da lei, nulla pretendo.

Ma ella conosce il mio male e il mio duolo

e quando le piace mi benefica e onora,

e quando le piace io sopporto la mancanza dei suoi favori,

perché a lei non ne venga biasimo.

 

Mi meraviglio come posso resistere

che non le manifesti il mio talento:

quand’io veggo madonna e la miro,

i suoi begli occhi le stanno cosi bene!

A stento mi tengo dal correre a lei.

Così farei, se non fosse per timore,

chè mai vidi corpo meglio modellato e colorito

agli uffici d’amore così tardo e lento.

 

Sola vorrei trovarla

che dormisse o fingesse di dormire,

per involarle un dolce bacio,

poiché non ho tanto ardire da chiederglielo.

Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:

fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.

Intenderci dovremmo a segni copertamente ,

e poiché ardir non ci vale, ci valga scaltrezza.

 

S’io sapessi gettar l’incantesimo,

i miei amici diventerebber bamboli,

si che niuno saprebbe immaginare

né dire cosa che ci tornasse a danno.

Allora so che potrei rimirare la più gentile

ed i suoi occhi belli e il fresco viso,

e baciarle le labbra per davvero

si che per un mese ve ne parrebbe il segno.

 

Ahimè, come muoio dal fantastichare!

Spesso vanisco tanto in fantasie,

che briganti potrebbero rapirmi

e non m’accorgerei di che facessero.

Per Dio, Amore, ben facile ti fu soppraffar me

scarso d’amici e senza protettore!

Perché una volta madonna così non diristringi

prima ch’io sia distrutto dal desìo.

 

 

 Bernart  De Ventadorn

 

da Tellusfolio/critica della cultura/discorso d’amore di lunedì 22.12.08

 

Se la mia sensibilità letteraria è bassa, e scende da normale fino ad analfabeta, quella archeologica va invece da normale in su.

Così riconosco subito in questa poesia un 95% di sema storico, che è un canto trasparente di gioia pulita d’amore ad una donna, e un 5% di sema archeologico segnalato da due ‘per Dio’, che possono sfuggire scambiati come interiezioni di maniera.

Non è così!

La prima volta Bernart esprime l’archetipo con:

 

Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:

fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.

 

Le due espressioni ‘fugge il tempo’ ‘per Dio’ si chiariscono con diu, lungo tempo in latino.

Commento: In sumero DI U, dio tutto: due espressioni sinonime ai moderni. Non così agli antichi per i quali tutto era uno e gli dèi erano molti, sette almeno quelli con la parola che crea, il ME.

Avvertito da questo ‘campanello d’allarme’ vado a rileggere il testo dall’inizio per rivederlo meglio col parametro del tempo. Se questo tema era già stato lanciato, allora l’ipotesi del seme archeologico prenderà consistenza.

 

Infatti, la composizione è compatta: parte con Quando e chiude la prima parte con

 

A stento mi tengo dal correre a lei.

Così farei, se non fosse per timore,

chè mai vidi corpo meglio modellato e colorito

agli uffici d’amore così tardo e lento.

 

Il corpo, la persona, piace proprio perché quasi distratto e restio all’amore subito: lento agli uffici d’amore. Lui vuol correre ed il suo corpo è lento: questa antitesi è archetipica.

 

Archetipo si esprime temporalmente con l’endiadi ‘inizio-fine’, un obiettivo di vita totale. Rivediamo il passo con quest’ottica, partendo un po’ prima:

 

Sola vorrei trovarla

che dormisse o fingesse di dormire,

per involarle un dolce bacio,

poiché non ho tanto ardire da chiederglielo.

Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:

fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.

 

Sono tentato di strapparle un bacio, visto che l’attimo che fugge segna che il mio tempo è così breve che io mi vedo già in Dio senza aver neanche provato l’amore carnale.

Se potessi fermare il tempo per gli altri mentre corre per noi, in modo da non recare un danno d’immagine all’amata, io non avrei ritegno:

 

S’io sapessi gettar l’incantesimo,

i miei amici diventerebber bamboli,

si che niuno saprebbe immaginare

né dire cosa che ci tornasse a danno.

Allora so che potrei rimirare la più gentile

ed i suoi occhi belli e il fresco viso,

e baciarle le labbra per davvero

si che per un mese ve ne parrebbe il segno

 

Le segnerei le labbra per un mese, tanto forte è il mio impulso d’amore per lei.

Questo tempo che si ferma per tutti e continua solo per i due che si baciano fotografa il “bacio archetipico”.

E conclude

 

Per Dio, Amore, ben facile ti fu soppraffar me

scarso d’amici e senza protettore!

Perché una volta madonna così non diristringi

prima ch’io sia distrutto dal desìo.

 

Conclude rivolgendosi a Dio! come Amore. Sopraffatto dall’immensità dell’impulso d’amore, viene bloccato dalla certezza della sua impotenza sociale, per Dio. Qui il –per Dio- collocato così, è proprio un interiezione di disappunto massimo.

-Perché non sparisci prima che io mi distrugga dal desiderio?-

Formidabile! Altro, che il 5% di archetipo!

Invoca la sparizione dell’amata prima di sparire dal tempo.

 

Diu rivela esplicitamente il tempo come tutto-niente sentito in un punto DI U, il Valore-Dio Tutto.

 

Dio in italiano viene espresso dunque in modo archetipico con una parola sola, in latino diu, che il latinista traduce laicamente con ‘lungamente’; omette il sema temporale divino, divus, diva, divum. L’ablativo maschile di uo di Meillet cerca appigli incerti indoeuropei, mentre facile è la connessione di uo - di u con crasi U, confermata dall’avverbio diu à DI U  

 

Avendo avuto la ventura di due pagine mie della stessa Febbre d’amore che ha raccolto la canzone di Bernart non posso dimenticare di far memoria della mia Rosa mistica come archetipo dell’Amor sacro RU SHA, Sacro Utero sumero accado.

 

 

                                                      Carlo Forin

 

 

 

 


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