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Vangelo della risurrezione con due esempi di laicità
14 Maggio 2007
 

Come si intitola questa rubrica? Rimeditazioni. Questa volta rimeditiamo la Pasqua appena trascorsa, il suo vangelo, il vangelo della risurrezione. Una piccola osservazione soltanto, marginale, ma a cui non voglio rinunciare. Le vere protagoniste del vangelo della risurrezione sono le donne: loro, che sono le uniche a non essere fuggite durante la passione a differenza degli altri, degli stessi apostoli, dello stesso Pietro, sono le prime a conoscere la risurrezione. Quelli che saranno gli annunciatori ufficiali e i propagatori titolari del vangelo - vangelo di vita, vangelo di risurrezione - hanno il vangelo annunciato loro dalle donne, annunciato dalla Maddalena. Bisognerebbe non averlo mai dimenticato. Coloro che hanno responsabilità di governo nella vita della Chiesa, sono uomini che devono sapere di aver sempre qualcosa da imparare, magari dall’ultimo e più negletto dei fedeli. Dobbiamo soprattutto imparare ad ascoltare. Una Chiesa pervasa, sì, dalla gloria della risurrezione, che ridonda su di lei, come sul mondo tutto, ma anche, e anzi proprio per questo, una Chiesa umile. È bello che sia il vangelo di Pasqua ad insegnarcelo.

Cerchiamo ora di ricrearci nella fantasia la scena, di risentire in noi l’aura di tremebonda gioia, la gioia sorta in cuore ai discepoli radunati a porte chiuse nel Cenacolo “per paura dei Giudei” alla vista del loro Signore e Maestro risorto e riapparso. Riappare, il Maestro, e augura a loro la pace. Augura e promette quella pace che già in altra occasione aveva promesso di dare a loro dicendo: “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace. Non come il mondo dà la pace, io do la pace a voi”. Notiamo subito una cosa: non come il mondo…

Infatti io mi domando: quale mai pace ha dato agli apostoli ed ai discepoli se quasi tutti finirono o crocefissi o bruciati o decapitati, o comunque martirizzati, e la loro vita da allora in poi fu un camminare continuo di prova in prova, di persecuzione in persecuzione? Sarebbero stati molto più in pace se li avesse lasciati alla loro vita di prima, ai loro campi, alle loro reti, ai loro vari mestieri, invece che tirarneli fuori, trascinandoli in quella strana avventura e mandandoli in giro per il mondo. A che fare, poi, nel mondo, ce lo ha detto il brano evangelico della II domenica di Pasqua con le parole: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e saranno ritenuti a chi li riterrete”. Dunque sarebbero rimasti molto più in pace e tranquilli nella loro vita di prima, dentro il loro piccolo guscio. Evidentemente è destino delle grandi verità cristiane, delle grandi parole cristiane di andare incontro ai più grossi equivoci. Sentono parlare di pace, nel vangelo, gli uomini che vogliono rimanersene tranquilli e indisturbati nei loro interessi, sentono il Cristo augurare la pace, e vengono a prendersela, come se quella fosse la pace che loro si aspettano e che spetta a loro. Disilludiamoci, Cristo non è venuto a darci di queste paci. La pace superficiale ed esterna che cerchiamo il cristianesimo non è in grado di fornircela direttamente e difatti non l’ha fornita mai. Non è affar suo, strettamente parlando, anche se è affar nostro, di noi cristiani nella vita, di noi cristiani nel mondo, portare nella vita, portare nel mondo il segno inconfondibile e discriminante, il contraccolpo della pace che il Cristo ci ha promesso.

La pace di Cristo, la pace cristiana, non è la pace del rinunciatario, non è la pace di chi si rifiuta e sottrae alle lotte ed agli impegni della vita, soprattutto alle lotte ed agli impegni di una vita che abbia accettato il cristianesimo, non è una pace che stia al di qua della vita con le sue guerre, bensì attraverso e al di là di queste, una pace spirituale e invisibile. È, oltre tutto, la pace di chi si ritiene mobilitato per reprimere e sconfiggere il male che sta attorno a lui e che sta in lui stesso come in ognuno di noi, non la pace di chi lo accetta e accetta se stesso supinamente così com’è, cioè così come si trova nel momento in cui si accetta. È la pace di chi non disarma di fronte a se stesso, di chi si giudica, di chi si confessa, cioè di coloro ai quali sarà possibile rimettere i peccati secondo la consegna che abbiamo visto del Cristo agli apostoli. Io sento, io so che la mia vita, che la pace della mia vita è legata alla fedeltà ch’io serbo alla scelta che un giorno ho dovuto fare, se pur l’ho fatta. Posso illudermi, per un momento, di trovare una pace nell’abbandonarmi alla vita, dimenticandomi di essa, ma per accorgermi quasi subito, a mie spese, che si tratta di una falsa pace, di un abbandono fittizio, perché il peso di quella scelta mi perseguita e non mi permette di vivere come tutti gli altri.

Proprio come diceva il Savonarola, apostrofando, nella persona del diavolo, tutti quelli che lo invitavano a cedere: “Io non voglio tuoi consigli né tua pace, poiché la tua pace è senza pace, e la tua guerra non rompe la mia pace”.

* * *

Con la scomparsa di Beniamino Andreatta ho perso un grande amico. Un’amicizia nata nei fervidi anni milanesi del dopoguerra suoi e miei. Ho ancora viva negli occhi l’immagine del suo matrimonio con Giana, celebratosi nella Cappella Imperiale accanto a S. Ambrogio a Milano, in cui ebbi l’onore e la gioia di essere il primo dei testimoni (tale è infatti la vera funzione del cosiddetto celebrante, dacché i veri ministri del matrimonio stesso sono gli sposi).

Chi erano i suoi testimoni? Pasquale Saraceno e Carlo Bo, non per una sua mania di grandezza, come qualcuno avrebbe potuto sospettare, ma per un senso alto di sé e del suo destino che lo contraddistingueva e che il resto della sua vita è lì a testimoniare. In lui si univano due aspetti apparentemente contrastanti: una grande fantasia, che si esprimeva anche nella varietà e ricchezza dei suoi approcci culturali e letterari e, d’altro canto, da uno spiccato senso del dovere verso la società e credo di non sbagliare nel riconoscere in tutto questo un degno lascito delle sue ascendenze mitteleuropee. Un esempio di vera laicità fu il suo comportamento da Ministro del Tesoro quando non si fermò di fronte a potentati come il Banco Ambrosiano e il vaticano IOR. Parrà strano, ma a guardar bene non lo è, che esempi del genere debbano venire da cattolici come lui e come lo era stato De Gasperi quando seppe dire no ad una alleanza con gli eredi del fascismo voluta da Pio decimo secondo. Sarebbe interessante conoscere come viene trattato questo episodio nell’istruttoria in corso per la sua beatificazione.

 

Camillo de Piaz

(da Tirano & dintorni, maggio 2007)


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