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Obama e Raúl Castro: incontri e disincontri 
di Carlos Alberto Montaner
(14ymedio.com)
(14ymedio.com) 
22 Febbraio 2016
   

A marzo Obama si recherà all'Avana. Il viaggio rientra nella sua svolta politica rispetto all'isola. Vuole, come sosteneva Giovanni Paolo II, che “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”.

Questo comprende, come ha spiegato El Nuevo Herald, l'ingresso nel paese di corrispondenti indipendenti che non siano intimiditi dalla polizia politica. Obama lo annovererà tra le sue richieste?

Poche ore prima della notizia, il Dipartimento di Stato ha annunciato che si sarebbero riaperti i voli commerciali – fino a un centinaio al giorno – e che era stata autorizzata l'installazione di un'assemblatrice di trattori.

La Casa Bianca vuole ostacolare qualsiasi involuzione delle misure adottate se a partire dalle elezioni di novembre dovesse vincere un candidato avverso ad avere buone relazioni commerciali con il regime cubano.

Molto rilevante è che il portavoce del Governo nordamericano abbia dichiarato che Obama non pensa di fare visita a Fidel Castro. È un gesto con il quale desidera sottolineare la sua scarsa connessione ideologica con la dittatura. Dopotutto, lui è nato dopo i fatti di Baia Cochinos e la sua formazione è successiva alla caduta del muro di Berlino. È il primo presidente realmente post-sovietico degli Stati Uniti.

Al di là della curiosità antropologica che può suscitare una visita al vecchio despota, che non è più un capo di Stato, ma un signore infagottato in una tuta da ginnastica che dice cose strampalate, ritirarsi con lui e ascoltare le sue infinite sciocchezze (aggravate oggi dall'età e dalla malattia), fa parte di un noto rituale politico che, in maniera subliminale, trasmette un messaggio di solidarietà o, quanto meno, di indifferenza nei confronti della seconda più antica dinastia militare del pianeta. La prima è quella di Nordcorea.

Obama non vuole commettere questo errore. Incontrerà, invece, i membri della “società civile”. Questa espressione include l'opposizione. Magari parlerà con la giornalista Yoani Sánchez, con gli oppositori García Pérez “Antúnez”, Cuesta Morúa, Antonio Rodiles, con le valorosissime Dame in Bianco, che ogni domenica sfilano pacificamente mentre la polizia politica le insulta e le aggredisce. Lo scopo è ovvio: dare appoggio al pluralismo democratico.

Raúl Castro, da parte sua, sente di prendere parte a un gioco contradditorio e pericoloso. Obama ha unilateralmente dichiarato la fine della Guerra Fredda nei Caraibi

Raúl Castro, da parte sua, sente di partecipare a un gioco contraddittorio e pericoloso. Obama ha unilateralmente dichiarato la fine della Guerra Fredda nei Caraibi, per quanto L'Avana continui con i preparativi del combattimento.

Le attività del Foro di San Paolo, la strategia anti-nordamericana dei paesi che, capeggiati da Cuba, costituiscono il Socialismo del XXI secolo, il trasferimento di armi in Corea del Nord, in violazione degli accordi delle Nazioni Unite, e l'appoggio incondizionato in Medio Oriente a organizzazioni terroristiche come Hezbollah, sono tutti sintomi di quella vecchia mentalità sovversiva anti-yankee a cui i Castro non hanno mai voluto rinunciare.

Il generale James Clapper, Direttore della US National Intelligence, lo ha annunciato ufficialmente lo scorso 9 febbraio di fronte al Comitato Senatoriale delle Forze Armate: dal punto di vista dello spionaggio, Cuba era uno dei quattro paesi più pericolosi per gli Stati Uniti. Gli altri tre erano Russia, Cina e Iran.

Qualche ora dopo, l'isola restituiva un missile nordamericano portatore di segreti tecnologici che, “per errore”, era stato inviato all'Avana da un aeroporto europeo. Nei 18 mesi di durata di questo “errore” il razzo è rimasto nelle mani dell'intelligence cubana. In questo periodo, credono gli esperti, il Governo di Raúl Castro avrebbe avuto il tempo di copiarlo, venderlo o condividerlo con i propri alleati antiamericani.

Che cosa farà Raúl Castro di fronte al rametto di ulivo consegnatogli da Obama? Cancellerà i tratti distintivi della Rivoluzione cubana e ammetterà di aver vissuto nell'errore per quasi tutta la sua esistenza?

Non credo. Per 60 anni, da quando insorse nella Sierra Maestra sequestrando alcuni marines nordamericani, il suo leitmotiv è stato combattere contro Washington e cercare di distruggere l'ingiusto sistema di produzione capitalista, nella convinzione che i mali di Cuba provenissero dall'impresa privata degli yankee.

In seguito la vita gli ha dimostrato il contrario: i mali cubani sono la conseguenza del fatto che non c'è abbastanza capitalismo, né Yankees, né sufficiente democrazia, carenze particolarmente critiche quando la generosa vacca venezuelana agonizza, munta senza sosta né clemenza in mezzo agli orrori del socialismo reale e a un'orgia di corruzione cui i padroni dell'Avana non sono estranei.

Un insigne esperto in sviluppo internazionale che preferisce restare nell'anonimato mi ha detto: “Se Raúl pretende di superare la crisi economica e sociale che Cuba sta attraversando, le sue timide riforme non serviranno a nulla se non inizia il gioco politico e stabilisce un regime di libertà, per quanto questo comporti la perdita eventuale del controllo dello Stato”.

E ha poi concluso: “Finché esisterà un partito unico e finché le grandi iniziative imprenditoriali saranno nelle mani di una piccola camera burocratica che prende le decisioni, il paese continuerà a sprofondare”.

Questo tutti i suoi compatrioti lo sanno. Perciò scappano.

 

Carlos Alberto Montaner

(da 14ymedio.com, 20 febbraio 2016) 

Traduzione di Silvia Bertoli


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