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“Africa” la mostra fotografica di Sebăstiao Salgado a Reggio Emilia 
La scommessa di tre giovani in prima fila per l’integrazione accolta dal grande Maestro
27 Febbraio 2019
 

Sarebbe potuto sembrare solo un altro sogno di quei giovani intraprendenti del “Binario 49”, in quel di Reggio Emilia. Invece, ha finito col diventare una mostra fotografica entusiasmante a firma del grande Sebastião Salgado: opere non ancora viste, in Italia, cedute senza costi direttamente dall’artista coinvolto, per appoggiare il sogno.

Binario 49” è un Caffè Letterario, e ancor prima un Centro ricreativo, nato dalla volontà di tre giovani che hanno voluto seguire una semplice idea, rivelatasi vincente: combattere il brutto con il bello. Così, ristrutturando un edificio dismesso di un quartiere degradato della loro città, Reggio Emilia, hanno dato vita sei mesi fa a questo luogo d’incontri, dove si può socializzare, leggere, seguire corsi e laboratori pratici di vario tipo, assistere ad una pièce teatrale (molto successo, ha avuto, quella dedicata alla figura di Sandro Pertini nel mese di settembre scorso) e anche incontrare validi avvocati di strada, per ricevere dritte su permessi di soggiorno, sfratti, diritti del lavoro ecc. Con una dozzina di soci, volontari come loro, tre giovani hanno puntato su questo progetto, partecipando al bando indetto dal Comune per rivitalizzare quel quartiere senza nome, la cosiddetta “zona stazione”: cinquemila abitanti, di cui l’80% immigrati, una cinquantina di nazionalità differenti e le consuete, quanto tristi, storie di decadenza, di emarginazione, di povertà.

Il primo ostacolo ad organizzare appuntamenti di valenza è stato quello posto da chi ci ha fatto subito notare come “lì, i reggiani non verranno”, raccontano Khadija Lamami, Claudio Melioli e Alessandro Patroncini (bancaria la prima, dalle fiere origini marocchine, astrofisico Claudio e il terzo con esperienze specifiche nel campo sociale). E non si può dire che non vi siano difficoltà: il quartiere è un agglomerato di condomini alti, di troppo cemento, il tipico aspetto delle periferie di ogni città del nostro mondo d’oggi; inevitabile ovviamente anche la criminalità e il verificarsi di reati, ma anche di colpevoli omissioni amministrative e dell’indifferenza che è sempre causa di un inasprimento del vivere.

«Pensare a portare qui, al Binario, una mostra di Salgado ci è parsa un’idea che sapeva di speranza, di incitamento al nostro fare e alla fiducia di chi ci segue, di chi pian piano si è avvicinato a questi spazi, a queste opportunità: i ragazzi che vengono qui a studiare, accedono all’aula di informatica, al doposcuola… gli abitanti del quartiere che frequentano i laboratori artigianali, le donne di tante nazionalità che, divertendosi, hanno aderito ai corsi di cucina… ma anche i reggiani che hanno cominciato a varcare la barriera apparentemente chiusa del quartiere, a partecipare a spettacoli e musica live», continua Khadija.

Ed ecco, da questi semi, nascere il sogno della mostra fotografica: Claudio, che come operatore sociale ha lavorato una decina d’anni in Brasile, contatta qualche sua conoscenza a Vitòria, stessa zona dove vive il Maestro, e prova a chiedere che lo si appoggi in questa iniziativa, tentando di far arrivare un messaggio a Salgado. E sì, qualcuno ce la fa e una domenica mattina a Caludio arriva davvero la chiamata che al Binario tutti aspettavano: – Sono Salgado. So che stavate cercando di contattarmi; in cosa vi posso aiutare?

L’aiuto è il regalo di un’intera mostra, Africa: cento fotografie originali, che restituiscono con Arte e Anima trent’anni di viaggio in un continente violentato e defraudato. Cinquanta foto ora sono esposte al Binario 49 (in Via Giuseppe Turri, 49) e le altre cinquanta allo Spazio Gerra (Piazza XXV Aprile, 2) nei fine settimana dal 9 febbraio al 23 marzo (venerdì-sabato e domenica h 10-12 e h 16-20). Presso il Binario trovano spazio gli scatti dedicati al periodo di spostamenti fatti da Salgado fra il 1975 e il 2005 in Mozambico, Malawi, nell’allora Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), in Ruanda, Angola, Namibia, Zimbabwe e Sudafrica. Tanti intensi ritratti, come pure scene di vita comunitaria e paesaggi che immortalano luoghi incontaminati e desolati.

Allo Spazio Gerra è allestita la parte della mostra dedicata ai réportages nelle Regioni dei Grandi Laghi e sub-sahariane, Mali, Etiopia, Sudan, Somalia…

«Questa è la mia fotografia», racconta Salgado in una recente intervista, «ritrarre persone e paesaggi, rispettando ciò che ho di fronte e mostrando una storia. Non sono spinto dall’idea di fare foto belle o di diventare famoso, ma da un senso di responsabilità: io scrivo con la macchina fotografica, è la lingua che ho scelto per esprimermi e la fotografia è tutta la mia vita. Non penso troppo alla luce e alla composizione, il mio stile è dentro di me, la mia luce è quella del Brasile, quella che porto dentro di me da quando sono nato.

Questa visione di Salgado è evidente anche negli scatti più incentrati sui segni terribili delle guerre, su ciò che la violenza dei conflitti armati lascia in eredità negli occhi, nel corpo e nel cuore di chi li vive. Foto di tanti e tanti esuli di ieri, che sono come quelli di oggi e dei giorni che verranno… Esule si ritiene Salgado stesso, che all’età di vent’anni abbandonò la sua Terra per andare a studiare in Europa. «L’esule ci ricorda sempre cosa c’è alla radice delle migrazioni», afferma in un’intervista.

«E gli esuli della mia mostra “Africa”, nel loro partire, raccontano decenni di sofferenza assoluta di un continente derubato: non dimentichiamo gli enormi rischi che corrono, il fatto che si giochino la loro stessa vita!»

È proprio in nome di un continuo recupero del senso di umanità che ci accomuna tutti, noi esseri umani, che Salgado ha dunque deciso di supportare questa bella iniziativa: «Voglio aiutare chi osa andare controcorrente, porre un freno al dilagare dei sentimenti di paura e di ostilità verso i migranti, da parte dei Paesi che li ospitano. Aiutare a ricordare che siamo tutti quanti figli di popoli che arrivarono, di migranti che partirono: nulla è statico al mondo. E fortunatamente non esiste una legge biologica che ci renda razzisti per sempre».

Insomma: la scommessa è partita. Ed è già vincente, a voler restare ai numeri dei visitatori, dall’inaugurazione che ha visto partecipare Juliano, il figlio di Salgado (autore, con Wim Wenders del pluripremiato film Il sale della Terra) fino ad ora: nel raffinato Spazio Gerra, museo civico d’arte contemporanea di Reggio Emilia, così come al Binario 49.

La cultura si ribalta, la periferia assurge a centro.

Chissà che anche la periferia del mondo possa aiutarci a comprendere qualcosa che ci renda più attenti al prossimo, che ci faccia più umani. Orientare il senso comune e la politica verso interventi che riportino alla centralità della nostra essenza, quella che ci rende più simili che estranei gli uni agli altri.

 

Annagloria Del Piano


Foto allegate

Claudio Melioli, Alessandro Patroncini e Khadija Lamami
Sebastiao Salgado
 
 
 
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