Venerdì , 29 Marzo 2024
VIGNETTA della SETTIMANA
Esercente l'attività editoriale
Realizzazione ed housing
BLOG
MACROLIBRARSI.IT
RICERCA
SU TUTTO IL SITO
TellusFolio > Critica della cultura > Arte e dintorni
 
Share on Facebook Share on Twitter Share on Linkedin Delicious
Maria Paola Forlani. Bellini e i belliniani 
Dall’Accademia dei Concordi di Rovigo
24 Marzo 2017
 

Promossa dal Comune di Conegliano e da Civita Tre Venezie, la mostra “Bellini e belliniani. Dall’Accademia dei concordi di Rovigo” a cura di Giandomenico Romanelli (catalogo Marsilio) prosegue le esplorazioni sulle trasformazioni dei linguaggi della pittura veneziana e veneta negli anni magici tra Quattro e Cinquecento.

Il più grande rinnovatore della pittura veneziana di cui ricorre il quinto centenario della morte è, certamente, Giovanni Bellini (Venezia, 1425/30 – ivi, 1516), talvolta detto «Giambellino». Educatosi nella bottega paterna, egli sente però il bisogno di più ampie conoscenze, di studi approfonditi sui maggiori artisti apportatori di novità rinascimentali, sia su quelli che hanno lasciato tracce a Venezia, come Andrea del Castagno nella Cappella di San Tarasio in San Zaccaria, sia su quelli che operano fuori, da Piero della Francesca e di Roger Van der Weyden (che può aver visti a Ferrara) al Mantegna, i rapporti col quale si fanno poi più stretti per il matrimonio di quest’ultimo con la sorella di Bellini, Nicolosia.

Dunque il ceppo da cui proviene e prende le mosse è quello di Jacopo. Da lui, disegnatore sublime e pittore di vaglia con incarichi ufficiali, nascono Gentile e Giovanni. Ma già il fratello, egli pure Giovanni, è pittore, seppur di non chiarissima sostanza. Anche il figlio di una sorella di Jacopo esercita la professione, si tratta di quel Leonardo che si afferma come miniaturista di gran classe.

Famiglia–laboratorio, quindi, anzi due. Se infatti Gentile, che sale a chiara fama per le sue scene “storiche”, cioè i grandi teleri con le vite dei santi e gli episodi di storia veneziana oltre che per la sua attività di ritrattista, erediterà la bottega paterna. Giovanni ne apre una in proprio.

La definizione di atelier, o laboratorio o bottega, nasce proprio dal fatto che quella dei Bellini dovette essere un’azienda ben strutturata, ricca di presenze come aiuti, collaboratori, discepoli, allievi e garzoni, il cui ruolo e le modalità di esercizio della comune professione si viene di recente illuminando anche se ancora persistono incertezze e zone d’ombra che non sempre risulta agevole dissipare. Chi faceva e cosa? Con quale grado di autonomia, con una divisione del lavoro orizzontale o verticale?

È quello che i curatori e gli studiosi si sono chiesti affrontando la questione proprio dei belliniani, quindi l’insieme del mondo composito formatosi, da dentro o da vicino, attorno al capo bottega, riprendendone, di certo con la sua approvazione e forse collaborazione, moduli, tipologie, strutture compositive, linguaggio, tematiche.

Per la mostra di Conegliano i curatori lo hanno fatto partendo dalle collezioni della pinacoteca annessa all’Accademia dei concordi di Rovigo che formatasi per generosa donazione soprattutto dei conti Casilini nel primo Ottocento, riflette con fedeltà il gusto e le mode dell’epoca, anche nella riscoperta dei cosiddetti primitivi oltre che agli artisti quattrocenteschi, una moda che ebbe proprio a Venezia, tra i suoi più ascoltati seguaci, personalità tra loro agli antipodi sociali e culturali ma convergendo in questo gusto collezionistico, quali Carlo Lodoli e Leopoldo Cicognara.

Ecco allora alle prese con personalità che escono dalla bottega di Bellini, ovvero che questa bottega frequentano per poi affrancarsi, ovvero ancora che utilizzano materiali di laboratorio (schizzi, disegni, modelli, cartoni, spolveri…) per trarre copie o rielaborazioni dai prototipi belliniani.

I nomi sono più o meno celebri oggi, ma non sono nomi da poco, non sono insomma, dei dilettanti che si rivolgono alla pittura, ma personaggi ben inseriti in un mercato che fu florido, articolato e con solidi legami con una committenza di differente composizione e possibilità economiche. Lo si riscontra nei prodotti finiti, con eccellenze e magari qualche caduta qualitativa.

I nomi: Girolamo da Santacroce, Marco Bello, Nicolò Rondinelli, Pasqualino Veneto, Francesco Bissolo, Bernardino Licino… Ma anche personalità della statura di Andrea Previtali o, seppur di certo non belliniano in senso proprio, il grande Palma il Vecchio, fino a Tiziano, che per quella bottega passò traendone tutto il succo che ne poteva spremere. E forse non si può dimenticare che anche Cima da Conegliano e Giorgione e Sebastiano del Piombo rappresentano altri possibili esiti del magistero belliniano.

Nella collezione rodigina spicca la raffinata tavoletta della Madonna con il Bambino, opera firmata dal maestro «IOANNES BELLI / NVS».

Giovanni Bellini è considerato a ragione, l’inventore di immagini per la devozione privata (Andachtsbilder), un genere pittorico intimo che avrà enorme risonanza nella pittura veneta tra fine del Quattrocento e la prima metà del secolo successivo. In particolare le sue Madonne con il bambino, così innovative nello stile, anche se tradizionali nel soggetto e nel significato, diverranno i soggetti più replicati da scolari ed epigoni. Dal sapore familiare e coinvolgenti emotivamente, le Madonne belliniane si caricano di una valenza simbolica allusiva al destino del Salvatore: il parapetto marmoreo sul quale il Bambin Gesù viene adagiato anticipa sia il sepolcro che l’altare, evidenziando così metaforicamente la funzione salvica ed eucaristica di Cristo.

Anche l’Imago Christi, tra i modelli belliniani per la devozione privata ebbe una particolare fortuna compositiva, soprattutto, nel Cristo portacroce, documentata da una serie di esemplari autografi e dalla ricca produzione degli artisti operanti nell’orbita belliniana. L’esemplare rodigino appartiene alla produzione tarda di Giovanni: la resa morbida della materia pittorica e la trattazione atmosferica della luce sono il risultato delle contaminazioni con i pittori della nuova generazione, in particolare con il tonalismo giorgionesco. Il ritratto di straordinaria umanità che ci restituisce l’artista è teso a concentrare la nostra riflessione sul volto sofferente di Cristo. Lo sguardo intenso, magnetico, con gli occhi arrossati, esprime un dolore interiorizzato e portato con estrema dignità. Superba è la resa della veste candida e luminosa aperta sul collo e increspata sulle braccia.

 

Maria Paola Forlani


Foto allegate

Articoli correlati

 
 
 
Commenti
Lascia un commentoNessun commento da leggere
 
Indietro      Home Page
STRUMENTI
Versione stampabile
Gli articoli più letti
Invia questo articolo
INTERVENTI dei LETTORI
Un'area interamente dedicata agli interventi dei lettori
SONDAGGIO
TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA?

 72.7%
NO
 27.3%

  vota
  presentazione
  altri sondaggi
RICERCA nel SITO



Agende e Calendari

Archeologia e Storia

Attualità e temi sociali

Bambini e adolescenti

Bioarchitettura

CD / Musica

Cospirazionismo e misteri

Cucina e alimentazione

Discipline orientali

Esoterismo

Fate, Gnomi, Elfi, Folletti

I nostri Amici Animali

Letture

Maestri spirituali

Massaggi e Trattamenti

Migliorare se stessi

Paranormale

Patologie & Malattie

PNL

Psicologia

Religione

Rimedi Naturali

Scienza

Sessualità

Spiritualità

UFO

Vacanze Alternative

TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
Sede legale: Via Fontana, 11 - 23017 MORBEGNO - Tel. +39 0342 610861 - C.F./P.IVA 01022920142 - REA SO-77208 privacy policy