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“Lasciatemi morire”, di Piergiorgio Welby
30 Novembre 2006
 
Immaginate, se potete, questa scena: un malato di distrofia muscolare progressiva, dopo anni di calvario, chiede che si ponga fine al suo tormento, alla sua tortura; e chiede la fine dell’accanimento terapeutico cui è sottoposto; e chiede il distacco dal ventilatore polmonare che lo tiene in vita. È consapevole che questo “distacco” non lo libererà dal tormento che patisce se non a prezzo di un ulteriore dolore, di altro tormento, di un supplemento di tortura; e chiede pertanto la sedazione terminale, se possibile orale. In modo da poter farla finita con dignità e senza una inutile sofferenza.
Immaginate ora un notaio chiamato a raccogliere la volontà di questo malato: chiede un cenno di consenso, che certifichi che ha ben capito la conseguenza della sua richiesta; vuole la certezza che il malato sia in grado di “intendere”, anche se gli è impedita la possibilità del “volere”. Immaginate che questo malato, prigioniero da anni di un corpo che non è più il suo e lo mortifica giorno dopo giorno, ora dopo ora, per esprimere il suo consenso, muova ripetutamente le ciglia: l’unica possibilità per comunicare il suo Sì.
Immaginate la moglie del malato che “traduca” al notaio quel gesto quasi impercettibile, e significa consenso; e che il notaio voglia essere davvero certo di quel che gli viene assicurato sia. E immaginate allora questo malato, che per anni ha comunicato solo con la voce metallica di uno speciale computer, rendersi conto di quello che gli viene ancora una volta chiesto; e che con un tremendo, supremo, incredibile sforzo di volontà riesce ad emettere per una, due, tre volte un faticoso, rantolante, ma chiarissimo Sì.
Avete compreso, evidentemente, che si sta parlando di Piergiorgio Welby. Il nostro compagno Piergiorgio: “Il Calibano”, autore di raffinati, splendidi editoriali che tante volte abbiamo pubblicato su Notizie Radicali. Questo straordinario, splendido compagno che ha fatto della sua malattia, del suo essere, un soggetto politico; e che sta conducendo con rigore e lucidità una straordinaria, splendida battaglia politica.
Mentre cercate di immaginare la scena in qualche modo descritta, prendete Lasciatemi morire, il libro di Welby; un libro – significherà pur qualcosa – che in pochi giorni ha esaurito la prima tiratura, e la casa editrice, la Rizzoli, ne sta già predisponendo una seconda: altre 4-5 mila copie, che prevedibilmente saranno vendute in un battibaleno come le altre, nonostante le poche recensioni e segnalazioni; e che librerie, anche “impegnate” e “politicamente corrette”, lo espongano con pudore in angoli poco frequentati. Prendetelo, questo straordinario libro, e andate a pagina 97.
«Com’è difficile vivere e morire in un Paese dove il Governo fa i miracoli e la Conferenza episcopale “fa” le leggi. Come è difficile parlare di eutanasia e libertà civili in un Paese dove i soli autorizzati a parlarne con autorevolezza sembrano essere Mastella e Ratzinger…».
Meglio non potrebbe essere descritta e raccontata la situazione in questo Paese. Lo diceva, del resto, Gaetano Salvemini, a proposito dei clericali: che vogliono condannare quel che per loro è “peccato” come se fosse un reato; e considerano il reato un qualcosa emendabile come un “peccato”. E più di recente, non più di una settimana fa, i reverendi padri della CEI, riuniti in cenacolo, hanno ammonito che l’eutanasia è un qualcosa di diabolico. E qual è la sorte a cui venivano condannati “posseduti” e streghe, maghi e fattucchiere? Il rogo e il fuoco purificatore; la sofferenza infinita, salvifica; e pazienza che al condannato non importa un fico secco d’essere salvato in questo modo. “Dio lo vuole!”.
Piergiorgio Welby l’ha detto mille volte: lui a questa funzione purificatrice del dolore e della sofferenza, non crede. Lui questo cilicio che non ha scelto di indossare, se lo vuole strappare di dosso e intende mettere la parola fine a un dolore e a una sofferenza che non ha scopo e ragione. Ha resistito fin che ha potuto. Ora rivendica il diritto di poter dire: basta! Lui e solo lui, nessun altro che lui, può dirlo, ha il diritto di dirlo.
Sospirano. Dottoreggiano, ipocriti! In nome della sacralità della vita, condannano a una morte con tortura e dolore. Tommaso Moro: la chiesa cattolica lo ha proclamato santo; è diventato il patrono dei politici. Nell’opera più famosa di Moro, Utopia, si legge:
«Nella migliore forma di repubblica i malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, molesto agli altri, gravoso a se stesso, sopravvive insomma alla propria morte, lo esortano a morire liberandosi lui stesso da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsene strappare dagli altri… sarebbe un atto religioso e santo».
Accade di scoprirsi il ciglio inumidito da una lacrima, nell’ascoltare una particolare poesia che evoca immagini o ricordi; può accadere vedendo una scena di un film, Schindler’s List di Steven Spielberg, per esempio. O leggendo le pagine di Lasciatemi morire di Welby. Questo diario che non è un semplice diario, riesce e sa parlare al cuore, alle viscere; colpisce e sa colpire duro; e ti esce una maledizione, un’invettiva, contro i dogmi e i pregiudizi – e chi li incarna - che condannano Piergiorgio; si è come presi da un senso di cupa e sorda rabbia, man mano che si scorrono le pagine, e ti stupisci al tempo stesso che da queste pagine che raccontano di sofferenza e dolore vi sia anche tanta lucida serenità. Andate a pagina 42, dove Piergiorgio confida il suo I have a dream. È una pagina datata 20 luglio 2002, più di quattro anni fa:
«Ho sognato che il Parlamento aveva approvato la legge sull’eutanasia. Ho sognato che la mia domanda per ottenere l’eutanasia era stata approvata. Ho sognato che il mio pneumologo e un medico sconosciuto entravano nella mia stanza e salutavano la sola persona alla quale avevo chiesto di essere presente… Prima di addormentarmi chiedevo al mio amico di recitarmi quei versi di Luzi sui quali abbiamo passato interi pomeriggi… Poco dopo si è qui come sai bene, / fila d’anime lungo la cornice, / chi pronto al balzo, chi quasi in catene. / Qualcuno sulla pagina del mare / traccia un segno di vita, fugge un punto. / Raramente qualche gabbiano appare”. Chi pronto al balzo, chi quasi in catene. Ecco, io finalmente, sto per compiere il mio ‘balzo’».
Al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Welby ha tra l’altro scritto:
«…Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una ‘morte dignitosa’. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere ‘dignitosa’; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili…In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non ‘esista’; vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore del medico di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir  praticati atti eutanasici senza il consenso informato dei pazienti coscienti…».
La dottoressa Michela Paschetto tempo fa ha realizzato un sondaggio i cui risultati sono stati pubblicati su Torino medica”, organo ufficiale dell'Ordine dei medici. Da questa inchiesta emerge che tre infermieri su quattro dicono sì all'eutanasia, il 74 per cento degli interpellati; e il 44 per cento si è trovato più volte di fronte a pazienti che hanno chiesto espressamente e ripetutamente di morire perché venisse posto fine alle loro atroci e senza speranza sofferenze. L'83 per cento di questo 74 per cento è favorevole alla "dolce morte" passiva, il 46 per cento anche a quella attiva. Il 76 per cento degli infermieri interpellati invoca il testamento biologico; e l'8 per cento si dice disposto a praticare l'eutanasia anche illegalmente, senza richiesta esplicita del paziente. 37 infermieri su 100 si dicono disposti ad aiutare il loro paziente a mettere fine a un calvario, anche ricorrendo al suicidio assistito. La maggioranza degli interpellati ha fra i 30 e i 40 anni, lavora in terapie intensive, lungo-degenze e chirurgie. Molti sono cattolici: «il 76 per cento degli infermieri che crede è favorevole all'eutanasia volontaria. Il contatto quotidiano con il dolore ha messo in crisi le loro convinzioni», dice la dottoressa Paschetto, che aggiunge: «La mia convinzione dimostra quanto gli infermieri vivano e ‘sentano' il problema. Oltre il 50 per cento dice di essersi documentato molto, partecipando a convegni, leggendo libri e articoli».
I risultati del sondaggio torinese confermano quelli emersi da un'indagine del Centro di Bioetica dell'Università cattolica di Milano: il 4 per cento dei rianimatori interpellati ha ammesso di praticare la cosiddetta "iniezione letale": e lo fa senza legge, senza ordine, senza controllo, senza "governo", sulla base di quello che dice loro la coscienza. Coscienza che senz'altro sarà più che rispettabile, ma si sarebbe assai più garantiti e tutelati se ci fosse una legge che regolamenta e "governa". I sondaggi dicono che solo 8 italiani su 100 pensano che bisogna prolungare la vita del malato terminale, ignorandone la sofferenza, e si dicono contrari all'eutanasia; gli altri 92, con varie sfumature, ritengono che sia necessario superare l'attuale normativa repressiva.
In un altro paese, con altri mezzi di informazione, con altri giornalisti e anchormen, attorno a questo libro si sarebbe acceso un grande dibattito; ci si sarebbe confrontati con rispetto e rigore; le motivazioni dei favorevoli e dei contrari sarebbero state messe a confronto leale, e patrimonio per una comune riflessione. No: di Welby non si deve parlare. Quello che dice non si deve conoscere, della sua sofferenza non bisogna sapere. Lui, va esorcizzato, con il silenzio.
Negano, e negando condannano.
Leggere e diffondere Lasciatemi morire è una sorta di dovere morale; l’augurio è che chi lo legge venga afferrato da un senso di dolente, non rassegnata indignazione. Perché Welby chiede a tutti noi risposte, impegno, consapevolezza. Nella post-fazione Marco Cappato scrive:
«Quando i radicali erano accusati di strumentalizzare il malato Coscioni, Luca rispondeva che era lui a strumentalizzare i radicali. È ora il tempo della “strumentalizzazione” di Welby. Per il diritto di tutti: affinché la politica la smetta di sottrarsi alle proprie responsabilità…».
Se la politica ha un senso è quello indicato da Cappato; Welby, come Coscioni, fa ed è politica. Con buona pace dei cacasenno, degli ipocriti, dei sepolcri imbiancati: quelli per i quali questioni come queste, che riguardano la vita e la morte, non sono politica; perché di “altro”, chi fa politica, secondo loro deve occuparsi. Vadano al diavolo, davvero.
 
Gualtiero Vecellio
(da Notizie radicali, 29 novembre 2006)

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