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Francesco Pullia. La nonviolenza di Danilo Dolci e il potere creativo del comunicare
01 Giugno 2011
 

A distanza di ventitré anni dalla prima uscita, torna in libreria per le edizioni Sonda, con una nuova veste grafica e una prefazione di Daniele Novara, Dal trasmettere al comunicare, uno dei testi più intensi di Danilo Dolci (1924–1997, foto). Partendo dalla radicale distinzione tra “dominio” e “potere”, si analizza la contrapposizione tra gestione univoca, unidirezionale del magma delle informazioni (il trasmettere) e partecipazione dialogica, relazionale, nonviolenta, che valorizza al massimo ogni individualità (il comunicare).

«In un mondo sempre più massificato», si domanda l’autore, «come conseguire l’aprirsi di ognuno all’ancora misterioso comunicare Il trasmettere è direttamente collegato al virus del dominio, fa da sostrato allo strumento mediatico che «penetra suadente senza spargere sangue» e «può contribuire a desertificare la terra». È per sua natura violento e soggiogante, spegne quella sete di conoscenza che si esprime nell’ascolto dell’“altro”.

Il comunicare implica, al contrario, libertà di scelta, fermento produttivo, accrescimento di realtà, sottrazione all’accettazione passiva del dato trasmesso e codificato, risveglio ad una condizione di fecondità.

Bisognerebbe riscrivere nei vocabolari le voci “comunicare” e “comunicazione”, annota polemicamente Dolci, anche se il problema non sta tanto nel mutare il significato di un verbo o di un termine, quanto nel «riuscire a dirottare l’attuale tendenza del mondo».

La riflessione di Dolci scaturisce, d’altronde, dal costante impegno nonviolento, maiuetico, che caratterizzò la sua vita. La nonviolenza è per lui capitinianamente (e si sa quanto Dolci e Capitini furono in stretto rapporto) arricchimento corale, afflato di compresenza, diuturna creazione del nuovo.

Il comunicare si configura, in questa visione, come una relazione cui ciascuno concorre con il proprio apporto, contribuendo alla realizzazione di una società aperta, policentrica, affrancata da remore accentratrici, come una possibilità di provocare cambiamenti. Non a caso, l’autore mette in luce quanto sia in sé contraddittoria l’espressione “comunicazione di massa”.

«Come si può pretendere», annota, «che gente ridotta per secoli o millenni poltiglia dolente, possa un mattino svegliarsi libera, capace di esprimersi creativamente, di organizzarsi coordinandosi? La massa può esistere finché viene pensata così, quando ciascuno viene forgiato numero, molecola uniforme, finché viene praticamente impedito a ognuno di concepirsi come creatura autonoma». E provocatoriamente arriva ad affermare che «la comunicazione di massa non esiste».

Il comunicare, che s’appella al “potere”, alle “potenzialità” di ciascuno di noi, sviluppa, dunque, “l’individualità creaturale” ed è antitetico al “dominio” della trasmissione. Va ricordato, a questo proposito, che Dolci fu il primo a concepire, con la “radio dei poveri cristi”, la trasformazione dell’emittenza radiofonica in strumento d’informazione democratica, a servizio della gente.

Il 25 marzo 1970, intorno alle 19:00 circa, il segnale radiofonico di Radio Libera Partinico ruppe per la prima volta il monopolio di stato sulle trasmissioni via etere con un forte messaggio di denuncia. A due anni dal terremoto del 1968 le zone della Valle del Belice, dello Jato e del Carboi giacevano, infatti, nel più completo dimenticatoio. Non una sola casa era stata ricostruita, il dominio mafioso e clientelare aveva attinto a piene mani dai soldi destinati alla ricostruzione.

Quel segnale segnò l’inizio di una nuova stagione dei media, con decine di radio e televisioni “libere” che, grazie all’azione politica dei radicali e allo strumento referendario, saranno successivamente riconosciute nel 1977 dalla Corte Costituzionale come una legittima declinazione di un diritto sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione («Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»).

Così il Giornale di Sicilia, il 26 marzo 1970, riportava l’avvenimento:

«Due collaboratori di Danilo Dolci, Franco Alasia e Pino Lombardo, si sono chiusi nei locali del “Centro studi ed iniziative” (a Partinico, n.d.r.). Hanno una radio di notevole potenza con la quale trasmettono notizie e documentari fonici sulle condizioni dei terremotati sui 98,5 mhz della modulazione di frequenza e sulla lunghezza d'onda di m 20.10 delle onde corte. L’emittente può essere udita su tutto il territorio italiano e da molte località all’estero. A quanto hanno annunciato, la possono captare anche negli Stati Uniti. È questa la nuova forma di protesta escogitata per presentare all’opinione pubblica le condizioni delle genti delle valli del Belice, del Carboi e dello Jato dopo il tragico terremoto del 15 gennaio 1968 e dopo che sono passati inutilmente due anni senza l’avvio della promessa ricostruzione».

Fu una straordinaria testimonianza di satyagraha, di affermazione della “forza della verità” che, nonostante fosse durata appena ventisette ore, per l’intervento della polizia e dei carabinieri, lasciò un segno profondo.

Dolci, da nonviolento, non aveva fatto mistero dei suoi propositi alle massime autorità dello stato e alle forze dell'ordine. Anzi, le invitò pubblicamente ad agire secondo un “vero senso del dovere” in nome di un interesse più alto riguardante le popolazioni del territorio.

L'utilizzazione da parte di Dolci delle tecnologie radiofoniche nasceva da una seria e articolata riflessione sul ruolo politico e sociale dei mezzi di comunicazione, come quella che, appunto, si ritrova nelle pagine del prezioso libro riproposto in questi giorni. Commentando l’art. 21 della Costituzione, dai microfoni della radio, Dolci interrogava gli ascoltatori: «Cosa significa 'tutti'? Vi deve essere esclusa la gente che lavora più faticosamente? Vi deve essere esclusa la gente che più soffre? Il diritto-dovere alla verità, da esigenza morale, diviene via via nella storia, riguardandola nelle sue linee essenziali pur tra contraddizioni, diritto-dovere anche in termini giuridici. Il diritto alla comunicazione, alla libertà di espressione, all'informazione, non vi è dubbio sia determinante allo sviluppo di una società democratica: deve essere garantito attraverso i moderni strumenti audiovisivi che il progresso scientifico e tecnologico ci mette a disposizione».

La comunicazione comporta un attivo dialogare, la corresponsabilizzazione di un “tu”, reagisce al virus del “dominio” che attacca la vita bloccandone lo slancio propulsivo. Non si può comunicare «senza la voluta partecipazione dell’altro, dell’altra. Penetrare l’altro, l’altra, senza la sua essenziale volontà, non è comunicare: si chiama stupro».

 

Francesco Pullia

(da Notizie Radicali, 1° giugno 2011)


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