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Annalisa Miani. Paolo Ruffilli in Un'altra vita 
Niente stona nell'orchestrazione intensa della caducità
17 Luglio 2010
 

Di questo volume Un’altra vita di Paolo Ruffilli (Fazi Editore) che racchiude venti racconti colpisce non tanto l’evolversi delle vicende, quanto la raffinata capacità di penetrazione dell’animo umano – soprattutto femminile – sincopata dal ritmo musicale della prosa. Di fatto quest’ultima fatica di Paolo Ruffilli ricorda in qualche modo i Four Quartets eliotiani, per la sua struttura a spirale, per il rimando alle diverse stagioni che scandiscono il tempo della narrazione e si spiegano in movimenti, quasi a riprodurre, appunto, uno spartito musicale. Si inizia dall’estate, la stagione del corpo, della pelle, dell’amore, per finire con la primavera, a chiudere un ciclo annuale di vita, senza soluzione di continuità. È un libro dall’architettura ben congegnata: ogni sezione/stagione si compone di cinque racconti e ogni racconto racchiude otto capitoli o movimenti, che confluiscono nell’armonia dell’opera. In calce ad ogni racconto una dedica agli scrittori prediletti. Il meccanismo della scrittura degli Autori cui Ruffilli si ispira emerge in ogni singolo racconto, che si connota delle loro cadenze; ciò testimonia la maestrìa tipica dei grandi scrittori nell’entrare materialmente – cioè a dire, con la scrittura stessa – nei panni di un altro. E d’altro canto il riferimento agli scrittori tanto amati è naturale per l’Autore. Da giovane leggeva tutto quello che gli capitava; nato come narratore orale, Ruffilli ancora bambino amava raccontare storie ai suoi compagni della scuola elementare, inventando trame e conclusioni sul momento, come un contastorie di ottocentesca memoria. Non gli risulta affatto difficile entrare nello spirito dei grandi scrittori che ama, ben coniugandolo alla sua innata capacità di penetrazione nella quotidianità comportamentale delle persone, dovuta ad una incessante curiosità per l’animo umano. La sua attenzione ai Grandi della letteratura ha portato Ruffilli ad interessarsi a vicende apparentemente normali, ma che sotto il suo tocco magistrale diventano significative. Ruffilli si definisce «uno che ascolta le storie degli altri» e si dice «incapace di scrivere sulla base di un evento di cronaca», al contrario «curioso soprattutto di ascoltare quello che dicono le donne». Anche quando non dicono. Non si ritiene autore autobiografico, benché consapevole che il pubblico sia portato a credere che quanto legge lo sia: anche nella quotidianità si tende a cercare il gossip, che spesso è illazione. In realtà per Ruffilli non è così. Ci sono fatti che affondano nell’esperienza di chi scrive, ma questo non significa che tutto ciò che emana da uno scrittore sia autobiografico. Scrivere per Paolo Ruffilli è sempre stata un’ossessione di tipo musicale. Le ossessioni sono una condanna, ma anche una salvezza. Nel contrasto tra istinto e ragione l’Autore esercita la ragione per spiegare quello che fa, ma se ne dimentica mentre lo fa. L’illustre interlocutrice Isabella Panfido segnala la presenza, nel libro, di affondi di straordinaria intuizione nell’animo umano, soprattutto quello femminile. Le storie d’amore sono sempre uguali a se stesse, ma qui è lo stile a renderne interessante la trattazione. Questo è un libro che parla d’amore senza passione, perché anche quando parla di amore fisico, la fisicità è un elemento mancante, così come la passionalità. D’altronde l’Autore dichiara come l’amore in sé sia fuoco, ed il fuoco non si può giammai rappresentare con il fuoco: occorre prenderne le distanze per focalizzarlo. La passione, essendo i protagonisti in età matura, è superata da una visione in un certo senso più distaccata ma anche più completa dell’amore; è un amore ‘di ritorno’, un’ultima chance. L’Autore non era tanto interessato all’aspetto erotico della questione, pur ripetutamente sottinteso: l’amore maturo rappresenta un rilancio della vita, una possibilità di rimettersi in gioco e rinnovare le proprie prospettive. Nella prosa un ritmo incalzante, una struttura sintattica che si frange in anacoluti e che conferisce quell’andamento danzante: per l’Autore la scrittura è sempre stata un’ossessione di tipo musicale. E le ossessioni sono una condanna, ma anche una salvezza.

Se una catalogazione risultasse necessaria, sarebbe difficile annoverare quest’opera come una semplice raccolta di racconti. Tecnicamente infatti questi venti racconti non ‘raccontano’ molto, nel senso che non c’è un plot, una vicenda che si evolve. Ci sono invece un lui e una lei senza nome che, anche quando si incontrano e tra loro scoppia la scintilla, sembrano fissi in un quadro di genere, ineluttabili nelle loro parole emozioni azioni. Mille dubbi tormentano i due soggetti riguardo il loro incontro: sarà la persona giusta, fidarsi o no, abbandonarsi all’istinto di confessare tutto, se si può azzardare un parallelo con gli amori raccontati nelle indimenticabili canzoni di Lucio Battisti. I tormenti sono intesi e sottesi, espliciti e sottaciuti. I personaggi si amano, entrano ed escono dai caffè, con magistrali scorci di natura nello sfondo. La natura è presente nel mare, nel bosco, fa da sfondo silente al dimenarsi interiore delle anime. Ma vince e permane la sensazione di fissità, che va al di là della volontà dichiarata. Una stagnazione inevitabile.

Il nucleo fondante dell’opera è costituito dall’intenzione di indagare sul mistero dell’amore. Paradossalmente, al termine della lettura ci si ritrova talmente incantati e dimentichi da non notare che l’Autore non ci ha fornito la sua risposta al dilemma, ‘limitandosi’ a dare diverse interpretazioni della realtà dell’amore, il cui senso ultimo sta a noi decifrare. Paolo Ruffilli crede nell’amore in un’ottica emblematica, mitica, come energia in divenire, ci crede da scettico, da convertito in un certo senso, ma anche da fondamentalista dell’amore.

Nel contrasto tra istinto e ragione l’Autore esercita la ragione per spiegare quello che fa, ma se ne dimentica mentre lo fa. Egli conferma che in amore sia inevitabile l’avvolgersi su se stessi degli amanti nel loro recitare la parte degli amanti. Le vicende dell’amore sono sempre le stesse, nonostante le variazioni di luogo situazione momento stagione; in ogni amore c’è una causa scatenante, che diventa la leggenda di quell’amore. Ci sono dei meccanismi ripetitivi, in cui lo scrittore interviene a cogliere gli elementi che gli permettono di raccontare l’amore come flusso, energia in accadere. Ma quel che rimane è sempre un lui e una lei. L’assenza del nome rende molto più semplice l’identificazione. Infatti chi legge è portato ad identificarsi se ha meno elementi che lo spingono a fare il contrario; e come parlar d’amore se non nell’ottica del mistero: l’amore è per antonomasia un enigma di non facile decifrazione. Gli amanti provengono da mondi remoti e diversissimi, parlano lingue differenti spesso discordanti, però si incontrano e cercano un terreno comune, e l’innamoramento porta quella giusta dose di follia che permette agli esseri umani di incontrarsi. È questa un’operazione misteriosissima. Non sempre l’amore è quello che lega un lui e una lei: talvolta è un punto di partenza, ma in seguito può allentarsi; in altri casi un incontro nasce per altre ragioni, a volte l’amore si scatena, a volte, inspiegabilmente, no. Le coppie che incontriamo in questo ‘viaggio sentimentale’ sono formate da persone mature. Quali i motivi del loro nuovo rilancio emotivo? forse si sentono appassire, stanchi di una routine che nulla ha più di emozionale. Certo è che incontri che comunemente si attribuiscono al caso si rivelano poi per così dire fatali, perché molto di ciò che noi siamo sfugge al controllo della nostra coscienza. Nel colpo di fulmine due sconosciuti non si incontrano a caso, si incontrano perché entrambi stanno andando nella stessa direzione. L’amore deflagra, ci si conosce all’improvviso, ma sembra di conoscersi da sempre.

 

Annalisa Miani


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