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Veglia ecumenica di preghiera “Per il cessate il fuoco immediato nella striscia di Gaza!”
05 Gennaio 2009
 

Non importa chi tu sia:

uomo o donna

vecchio o fanciullo,

operaio o contadino,

soldato o studente o commerciante;

non importa quale sia

il tuo credo politico

o quello religioso;

se ti chiedono qual è la cosa

più importante per l’umanità

rispondi: prima

dopo

sempre la pace!

(Li Tien Min)

 

 

«È una bestemmia dire che la nonviolenza

possa essere praticata solo dagli individui

e mai dalle nazioni, che sono composte di individui».

(Gandi, Harijan – 12 novembre 1938)

 

 

 

Se viene la guerra

 

Se viene la guerra

non partirò soldato.

 

Ma di nuovo gli usati treni

porteranno i giovani soldati

lontano a morire dalle madri.

 

Se viene la guerra

non partirò soldato.

 

Sarò traditore

della vana patria.

 

Mi farò fucilare

come disertore.

 

Mia nonna da ragazzino

mi raccontava:

Tu non eri ancora nato. Tua madre

ti aspettava. Io già pensavo

dentro il rifugio osceno

ma caldo di tanti corpi, gli uni

agli altri stretti, come tanti

apparenti fratelli, alle favole

che avrebbero portato il sonno

a te, che, Dio non voglia!,

non veda più guerre”.

 

Dario Bellezza

(1944 - 1996)

 

 

 

In un sermone di Natale sulla pace, nella chiesa battista Ebenezer di Atlanta, 1967 –quattro mesi dopo King sarà ucciso– M. L. King predica sulla pace. «Il nostro mondo è malato di guerra», dice. E proprio a causa di questa grave malattia King propone di studiare seriamente il significato della nonviolenza. La sua predicazione diventa un corso di non violenza in quattro punti.

«Vorrei suggerire in primo luogo, dice King, che, se vogliamo avere pace sulla terra, le nostre fedeltà devono diventare ecumeniche… devono trascendere la razza, la nostra tribù, la nostra classe, la nostra nazione, e questo significa che dobbiamo elaborare una prospettiva mondiale». Qui M.L. King anticipa temi molto cari al movimento New global.

«Nessun individuo può vivere da solo», continua King; «nessuna nazione può vivere da sola; e qualora cercassimo di farlo, avremmo sempre più guerre nel mondo… Siamo tutti prigionieri di un’inevitabile rete di reciprocità, siamo legati in un unico tessuto del destino: quello che colpisce uno direttamente, colpisce tutti indirettamente. Siamo fatti per vivere insieme a causa della struttura d’interdipendenza che lega la nostra realtà. Vi siete mai soffermati a pensare che non potete andare al lavoro al mattino senza manifestare la vostra dipendenza dalla maggior parte del mondo? Vi svegliate al mattino, andate nella stanza da bagno, e prendete in mano una spugna, che vi è stata data dall’abitante di un’isola del Pacifico. Prendete una saponetta, e questa vi è stata data in mano da un francese; poi andate in cucina per bere il vostro caffè al mattino, e quello che vi viene versato nella tazza proviene da un sudamericano…» M.L. King, grande predicatore, continua in questa riflessione sulla dipendenza mondiale e finisce dicendo: «Non avremo pace sulla terra finché non riconosceremo questo fatto fondamentale: la struttura della società è interdipendente».

Il secondo punto della sua predicazione sulla nonviolenza è sui mezzi e sui fini. Dice King: «...non avremo mai pace nel mondo finché gli uomini non riconosceranno dovunque che i fini non sono separati dai mezzi, perché i mezzi rappresentano l’ideale nel suo farsi e il fine nel suo evolversi, e alla fine non si potranno raggiungere buoni fini attraverso mezzi cattivi, perché i mezzi rappresentano il seme e il fine rappresenta l’albero [qui ci sarebbero interessanti spunti sulla nuova tendenza di far guerra al terrorismo usando mezzi cattivi per un fine buono, ma riascoltiamo King] …tutti i grandi geni militari del mondo hanno parlato di pace… i capi del mondo di oggi parlano con grande eloquenza della pace. Ogni volta che lasciamo cadere una nostra bomba in Vietnam, il presidente Johnson parla con grande eloquenza della pace… essi parlano della pace come una meta lontana, come il fine da ricercare… ma la pace non è la meta lontana… ma è il mezzo attraverso il quale vi arriviamo. Dobbiamo perseguire fini pacifici attraverso mezzi pacifici… mezzi distruttivi non potranno mai portare a fini costruttivi».

Il terzo punto del sermone di King riguarda il fatto che l’idea nonviolenta si fonda sul carattere sacro di ogni vita umana. Dice King: «Un giorno qualcuno dovrà ricordarci che, anche se posso esserci differenze, i vietnamiti sono nostri fratelli, i russi sono nostri fratelli e i cinesi sono nostri fratelli: e un giorno dovremo sederci insieme alla tavola della fraternità». Qui si comprende quanto sia legato alla sua fede ci credente anche la sua scelta nonviolenta. Ma è un punto che possiamo approfondire in seguito. Riascoltiamo King: «Non abbandoneremo mai il nostro privilegio di amare. Ho visto troppo odio per voler odiare io stesso… In qualche modo dobbiamo essere capaci di stare saldi di fronte ai nostri più accaniti avversari e dir loro: “Noi contrapporremo alla vostra capacità di infliggere la sofferenza la nostra capacità di sopportare la sofferenza…” Fateci quel che volete, e non cesseremo di amarvi [leggevo in questi giorni il Diario di Ety Hillesum e aveva annotato queste parole: ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale] …gettateci in prigione», dice King, «noi continueremo ad amarvi; bombardate le nostre case e minacciate i nostri bambini e noi continueremo ad amarvi; …vi stancheremo con la nostra capacità di soffrire e non conquisteremo la libertà solo per noi stessi ma anche per voi». È chiaro come in queste parole emerge tutta la strategia nonviolenta che King e il movimento desegregazionista ha utilizzato.

Al quarto punto della sua predicazione, M.L. King mette in conto anche la delusione e la difficoltà. Gli anni prima della sua uccisione sono molto difficili. Anni duri, di crisi. King dice che il sogno che aveva annunciato nel 1963 a Washington nel suo grande discorso, quel sogno «ho cominciato a vederlo trasformare in un incubo… Sì, sono personalmente vittima di sogni rinviati, di speranze deluse, ma nonostante questo io concludo oggi dicendo che ho ancora un sogno perché non si può rinunciare alla vita». M.L. King affida la sua stanchezza e le sue delusioni alla sua fede, al Cristo risorto: «La Pasqua ci ricorda», dice King, «che la verità, frantumata a terra, risorgerà».

 

Ho scelto questo messaggio di King perché riassume l’ampiezza della lotta per la pace di King. Egli non è solamente preoccupato della desegregazione dei neri, ha un progetto ampio che riassumo brevemente i tre punti e un quarto che vi dirò alla fine a parte.

 

Il primo punto è la strategia nonviolenta: forme di protesta non violenta, una disciplina della nonviolenza che ha lo scopo, dice K, di creare nella mente del nero una nuova immagine di se stesso. Una strategia, una disciplina, un metodo che è sì «passivo fisicamente, ma è fortemente attivo spiritualmente; non è aggressivo dal punto di vista fisico, ma dinamicamente aggressivo dal punto di vista spirituale». È un’alternativa alle sommosse violente, ma anche al male equivalente della passività.

Una strategia che si traduce praticamente nei boicottaggi degli autobus a Montgomery nel 1954; nei sit-in di protesta nei ristoranti per soli bianchi a Greensboro nella Carolina del Nord (1960). Nei viaggi della libertà, i freedom riders che, senza paura (lo spiritual: We are not afraid), attraversano le aree più calde del razzismo. Oppure i Breadbasket, le borse della spesa (Chicago), il boicottaggio di quei negozi che attuavano discriminazioni salariali per i neri. Le grandi manifestazioni massa utili a far sentire la pressione sul governo.

 

Accanto alla strategia nonviolenta un’analisi attenta della situazione sociale ed economica della sua America e del mondo. King sa che il problema dei neri è solo una lente di ingrandimento che permette di vedere i mali della sua società e del mondo. Specialmente negli ultimi anni, guarda caso gli anni in cui anche molti bianchi liberals si allontanano da King, gli anni delle sommosse nelle zone industriali del Nord; negli ultimi anni King lega il problema del razzismo alla lotta contro la povertà e alla opposizione al militarismo. Razzismo, povertà e militarismo. King riflette sulla struttura del potere economico del capitalismo e si rende conto che fatto in quel mondo non può che produrre i tre mali del razzismo, della povertà e del militarismo.

Dice King: «…un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato… quando vi dico di mettere in questione l’intera società, questo significa giungere a capire che il problema del razzismo, il problema dello sfruttamento economico e il problema della guerra solo legati assieme…».

Ancora King: «Mi sembra assolutamente ovvio che lo sviluppo degli strumenti umanitari per affrontare alcuni problemi sociali del mondo ci proteggerà dalla minaccia della violenza molto meglio dei provvedimenti militari che abbiamo adottato… quando svanisce la saggezza politica, cresce il militarismo irrazionale». Ho ovviamente scelto questi passi per condividere con voi la grande attualità di M.L. King.

 

Strategia nonviolenta, quindi, analisi complessa della società americana e al terzo punto ho deciso di mettere le riflessioni che M.L. King fa sul pacifismo.

Anche queste mi sembrano molto attuali. King non difende un pacifismo dottrinario. Dice: «Non vedo nella posizione pacifista una posizione senza peccato, ma come il minor male possibile nelle circostanze date». In King c’è la consapevolezza di aver fatto un’opzione per la pace non di tipo ideologico. Non ha la pretesa di un perfezionismo etico, sa che le sue scelte sono un male minore, non il bene. Il suo è un pacifismo intelligente, potremmo persino dire utilitarista. Dice King: «Noi stavamo prendendo i nostri giovani neri rovinati dalla nostra società per mandarli ad ottomila miglia di distanza a garantire delle libertà nel Sud Est asiatico che essi non avevano mai trovato nel Sud Ovest della Georgia o ad Est Harem. Così ci siamo ripetutamente confrontati con la crudele ironia di vedere alla TV ragazzi bianchi e neri che uccidono e muoiono insieme per una nazione che non è capace di metterli a sedere insieme nelle stesse scuole».

 

Ho lasciato per ultimo un punto che a me sta molto a cuore. Il fondamento della lotta per la pace di M.L. King è la sua fede in Dio e nel suo Figlio incarnato Gesù Cristo. Dice King: «Cristo mi dava lo spirito e la motivazione…» e aggiungeva: «coloro che protestano non devono odiare i loro avversari, ma, mentre con le loro rivendicazioni cercano giustizia, devono lasciarsi guidare dall’amore cristiano. E la giustizia in realtà è l’amore in azione».

 

Fonte: sito battista fiorentino

 

(da Newsletter Ecumenici, 4 gennaio 2009)


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