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2 giugno, Festa della Repubblica e della Costituzione. Scriviamo al Presidente Napolitano
30 Aprile 2008
 

Intervenendo in una lista di discussione, uno dei componenti ha formulato la proposta che riportiamo di seguito.

 

 

Cari tutti, non vedo perché non sia possibile, con un mese di tempo, scrivere tutti personalmente una lettera, su carta, busta e francobollo, al Presidente della Repubblica, del tenore di quella che riproduco qui sotto.

Se anche non si ottiene quest'anno la parata civile, si dice quel che è giusto, in tanti.

Enrico Peyretti

Mir-Mn Torino

 

Caro Presidente Giorgio Napolitano,

per la festa della Repubblica e della Costituzione, il prossimo 2 giugno, mentre La ringrazio per il Suo impegno, La prego anche di ascoltare un cittadino impegnato nella cultura di pace, che è l’essenza della cultura politica.

Tra tutte le festività nazionali, l’unica totalmente civile, disarmata, a-militare, è proprio il 2 giugno. È il giorno in cui, nel 1946, gli italiani – per la prima volta le italiane – votarono scegliendo la Repubblica ed eleggendo l’Assemblea Costituente, con la scheda democratica, che è l’opposto di qualunque arma e con qualunque arma è del tutto incompatibile.

Perciò, la parata militare, per quanto si tenti di farla apparire ingentilita, è la manifestazione più impropria e più contraddittoria con il significato bello di questa giornata festiva.

Tra le giornate storiche nazionali, quella a cui l’esercito fu totalmente e giustamente estraneo, fu proprio il 2 giugno 1946. Ciò è fuori di ogni dubbio. Del 2 giugno l’esercito non ha alcun merito, né alcuna parte in esso. Davanti alla scheda, l’esercito deve ritirarsi.

Allora, l’ostinazione a celebrare militarmente questa giornata civile, può essere spiegata solo con l’idea distorta, arcaica e nefasta, di voler vedere nell’esercito, nelle armi omicide, ripudiate dalla Costituzione come mezzo di risoluzione delle controversie, il simbolo più alto e felice della nostra nazione, della vita popolare, delle istituzioni civili e politiche.

Questa idea è assurda, indegna della Repubblica. È vero tutto il contrario, per chi sa guardare le cose con mente libera dalle contaminazioni storiche, sempre tragiche, tra politica e violenza, e con lo sguardo nuovo e coraggioso di chi è consapevole che o l’umanità abolisce la guerra o la guerra abolisce l’umanità.

Ci sono esperienze storiche, programmi, strategie, mezzi e disponibilità, se la politica volesse conoscerli e sceglierli, per difendere i veri diritti senza abbassarsi nella vergogna e nel crimine della guerra, ingiustificabile, che tutto offende e nulla difende.

La politica è convivenza e comincia soltanto dove non c’è violenza, né segnali di violenza, come sono le armi, capaci solo di uccidere persone e distruggere lavoro, negazione della convivenza e della politica.

Le armi non sono mai una gloria, mai motivo di festa, di gioia, di unità popolare. Anche quando sono state necessarie per la difesa del diritto e la liberazione dalle tirannie, perché non erano predisposti mezzi nonviolenti, sono state motivo di tristezza e segno della mancanza di modi umani di difendere e affermare l'umanità.

Ci si rende conto che questa evoluzione necessaria dell’umanità incontra tante difficoltà e lentezze. Ma almeno a livello di simboli, di feste, cioè nei giorni di speranza e di sguardo più libero e alto, cioè più intelligente, dovremmo esprimere visibilmente questo bisogno, desiderio, dovere. Tanto più oggi che, nel ritorno spaventoso delle guerre di dominio e di vendetta, che fomentano e poi utilizzano il terrorismo, e di minacce peggiori, il nostro Paese resta ancora troppo allineato alle politiche violente e minacciose, mentre sperpera vergognosamente immense risorse, sottratte al diritto dei poveri, in armamenti spaventosi e pericolosi, semi di altre guerre. In questo, Lei, Presidente, ha un compito.

Consideri, signor Presidente, l’idea di introdurre nel 2 giugno questo segnale di avanzamento nella civiltà delle relazioni umane: che sia una festa civile, a-militare, a cui i soldati potranno partecipare in borghese e senza armi, come i cittadini, perché in quella occasione non hanno alcun titolo né merito maggiore, e non esprimono la civiltà costituzionale.

Sappia che i cittadini più leali e più liberi da idee violente, come da interessi particolaristici o oscuri, vogliono e attendono che l’Italia abbia un cuore e anche un volto di pace, cioè di risoluzione attiva e civile, vitale e non omicida, dei conflitti umani. Non un volto armato, segno di un cuore non pacifico.

Potranno irritarsi i mercanti di morte, che hanno interesse a esibire e vendere armi omicide e affascinarne quella parte di popolo che, ingannata, non riesce a riflettere. Ma non avranno ragione di dispiacersi i militari democratici, se riflettono sul vero significato di questa festa.

In questo 2 giugno, dica, per favore, agli italiani, una Sua parola nuova su questo tema essenziale. I simboli sono realtà forti e incisive. Il 2 giugno deve rappresentare e incoraggiare le arti popolari della vita, del vivere insieme nell’intera umanità, e non le arti disumane della morte. La pace giusta e stabile si fa solo coi mezzi della pace.

Cordialità sincere, con fiducia ostinata, contro la cupa tristezza dei tempi violenti.

Enrico Peyretti

 

 

Mentre preciso che per inviare la propria lettera basta indirizzare a: Presidente della Repubblica – Quirinale – 00187 Roma, informo, per quanti ritenessero buona e utile l'iniziativa, che può ovviamente essere ripresa e divulgata su siti e blog e che si può liberamente aderirvi sia riproponendo pari pari e sottoscrivendo il testo di Peyretti che adattandolo o sostituendolo con uno proprio. Io ad esempio invio oggi la mia letterina al Presidente anteponendo al testo sopra riportato la seguente considerazione:

«...so bene che ha già ricevuto il testo che segue, vuoi dall'amico stimato Enrico Peyretti da Torino, vuoi da altri cittadini singoli od organizzati che aderendo alla sua proposta hanno inteso esprimere, con semplicità, le loro convinzioni. Non accolga però questa mia come rituale ripetizione, adesione formale o, peggio, con qualche fastidio o imbarazzo. Un Suo altrettanto stimato predecessore ebbe a solennemente dichiarare: «Svuotare gli arsenali, riempire i granai!», per auspicare/sollecitare un'inversione di rotta rispetto all'affidamento a strumenti che, da tempo, tutti consideriamo “chincaglieria della storia”. Parole semplici, semplici parole. Ma Lei sa meglio di me quanto possano essere efficaci semplici gesti e parole... Voglia pertanto ricevere anche questa mia soltanto, così com'è semplicemente, quale dialogo di un cittadino col suo presidente, nel giorno in cui insieme festeggiano proprio il rapporto che li unisce.

[...]

Morbegno, 30 aprile 2008

Enea Sansi»


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