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Crisi Governo Prodi. Giovanni Sarubbi intervista Lidia Menapace 
"Non siamo abbastanza attrezzati per la costruzione di una politica di pace"
30 Gennaio 2008
 

Secondo te perché è caduto il governo Prodi? A parte i numeri risicati al Senato quali i motivi veri che hanno spinto Mastella, Dini, Fisichella a cambiare idea proprio nel momento in cui c'era da rinnovare le nomine dei principali enti pubblici?

Come dico, si è suicidato, cioè è caduto per interne contraddizioni, era un governo di coalizione, senza discriminanti politiche chiare, e dopo un primo momento durante il quale ha agito come governo di coalizione, cioè che decide col metodo del consenso, si è trasformato dopo la prima crisi in un governo del Presidente che ha governato con rara durezza e senza tenere conto delle minime prudenze politiche, venendo anche meno a una affermazione più volte fatta, quella cioè di voler governare secondo la democrazia multilivello: invece ha irritato e interrotto qualsiasi rapporto relazione dialogo conflitto paritario con qualsiasi movimento di cittadinanza, dal dal Molin alla Tav alla questione dei rifiuti a Napoli. In questo senso Prodi si è dimostrato per la seconda volta non adatto a guidare un esecutivo composito e attraversato da interessi contraddittori ecc. In questo contesto gli interessi particolari si sono affacciati e hanno contrastato e ricattato il solo presidente Prodi, sicché il suo governo è diventato ben presto un vecchio tri- o quadripartito come quelli della DC, cioè un governo come una SpA, dove chi ha il pacchetto che fa la maggioranza può ricattare: che ciò sia poi avvenuto per oscure trame mastelliane o per ambizioni di Dini o per altre ragioni personali di Bordon o di Fisichella non so e certo ci saranno state anche le nomine che se mal gestite possono essere diventate una delle ragioni del crollo.

Da un punto di vista di sinistra quali sono i risultati del governo Prodi?

Non esiste un programma per un governo di sinistra. Il Prodi era un governo di coalizione tra borghesia (si sperava illuminata e preoccupata dei rischi mortali della situazione internazionale ecc.) e la costellazione delle sinistre: l'esperienza si è bloccata proprio quando passando attraverso il difficile e contrastato processo di costruzione di una Sinistra, erano state poste alcune questioni di programma, finalmente avviato a una fase di risarcimento sociale e della ricostruzione dello stato sociale: A mio parere questa è stata la questione che ha indotto i poteri forti a far cadere il governo attraverso chi ci stava. È in corso infatti un tentativo di trasformazione dallo stato sociale allo stato assistenziale, nel quale la Confindustria può anche sganciare graziosamente dei soldi, ma non vuole che siano per diritto contrattuale e non revocabili. La cosa più di sinistra è stata certo il ritiro dall'Iraq, e subito dopo l'interposizione in Libano.

Sulla questione dirimente della pace e della guerra il governo Prodi ha fatto peggio di quello Berlusconi con il 23% di aumento per le spese militari ed il rafforzamento di tutte le missioni militari, dal Kossovo, all'Afghanistan, al Libano. E poi c'è la questione della base di Vicenza e di quella di Sigonella. Non era meglio, come sinistra, rompere prima su queste questioni piuttosto che subire i ricatti continui della destra che alla fine è riuscita comunque a far cadere il governo?

Il governo Berlusconi aveva il progetto della privatizzazione della Difesa e per questo ha addirittura ridotto le spese militari e favorito al massimo la Finmeccanica diventata per propria dichiarazione il pilastro del bilancio dello stato: le spese militari sono messe nel bilancio dell'industria e sviluppo, non in quello della difesa. Distinguo fortemente tra Iraq, Afghanistan e Libano. Dall'Iraq siamo venuti via, in Libano siamo andati sotto N.U. e UE per una operazione di interposizione che ha respinto senza scontri Israele entro i suoi confini e non ha escluso nessuno tra i Libanesi: dunque una operazione di polizia internazionale che non contraddice l'art.11. Restano come vergogna Kossovo e Afghanistan, ma qui alla sinistra mancava e manca una procedura politico-diplomatica da porre sul tappeto, sicché non si va da nessuna parte, cioè alla rovina. Non credo che dovessimo rompere, ma tenere fino alla caduta di Bush, del resto con l'elettorato ci eravamo impegnati a durare e a sostenere il governo, almeno così era per me.

Anche nell'agenda per la verifica di governo che Rifondazione voleva proporre, se non ci fosse stata la crisi, la questione della guerra era all'ultimo posto. Quali sono le priorità della sinistra oggi? È possibile ragionare in modo “normale” in una situazione di crisi generalizzata del sistema sociale occidentale nel quale la guerra non è affatto una questione secondaria?

Per me la questione della costruzione di una politica di pace (che non esiste finora) è molto importante, ma credo che a sinistra non abbiamo prodotto alcuna strumentazione adeguata. Una politica di pace implica una idea del concetto di difesa e una idea dello stato, questioni sulle quali ho cercato invano di ottenere attenzione. Sicché non piacendomi fare la Cassandra né quella del “l'avevo detto io!” taccio e brontolo. Anche perché il governo Prodi non è stato affatto ricattato dalla destra sulla guerra, ma era a maggioranza convinto (quasi tutti i Ds e quasi tutta la Margherita) che le guerre sono inevitabili e le armi servono, e sono anche posti di lavoro ecc. e ci vogliono le missioni e tutto. Il pacifismo è una opzione molto minoritaria in parlamento e debbo dire ancor più di quanto non mi sarei aspettata.

C'è chi parla di “due destre”, da un lato quella che fa capo a Berlusconi, dall'altra quella che fa capo a Veltroni. Si pensi al dibattito sugli extracomunitari, al razzismo-nazismo sempre più prepotente della Lega o di Forza Nuova ma anche alle stesse dichiarazioni ed azioni di Veltroni sindaco di Roma, all'islamofobia, alla mancata chiusura dei CPT. Che ne pensi?

Sono due grossi partiti tendenzialmente di destra l'uno e di centro l'altro, con frastagliate commistioni, insomma come repubblicani e democratici negli USA. La questione mi sembra anche un po' nominalistica, ma lascia aperto un problema enorme, quello cioè di costruire una cultura (la sconfitta più grave è stata quella culturale) di sinistra nella crisi della globalizzazione e della democrazia tradizionale, avviata a diventare molto autoritaria (quello che chiamo “fascismo del XXI secolo”). E tutto ciò senza fare i testimoni a parte. In genere non mi piacciono le semplificazioni e di Tommaso d'Aquino apprezzo molto il detto distingue frequenter, “ricordati di fare le debite distinzioni”.

Molti compagni della sinistra sono convinti che la cosiddetta “cosa rossa” abbia sostanzialmente fatto il “ruotino di scorta” ad una operazione “neo centrista” se non proprio di destra. Cosa possono fare i partiti della cosiddetta “cosa rossa” in questo frangente per riscattarsi davanti al proprio elettorato? C'è un progetto sociale vero da proporre al paese oppure la sinistra è condannata ad oscillare perennemente fra “riformismo-opportunismo” ed “estremismo”?

A mia volta sono convinta che sulla Sinistra non si possa traccheggiare e tentare operazioni “furbe”: avere una Sinistra è necessario come il pane e chi non ci sta esce dalla storia, sono disponibile a qualsiasi cosa pur di fare una politica di unione e accordi e alleanze e fusioni e stati generali e insomma qualsiasi cosa.

Non credo però che questa operazione possa essere condotta dai gruppi dirigenti dei quattro partiti, né per la verità dalla cosiddetta “società civile”. L' Italia è piena di iniziative di cittadinanza, distribuite in tutto il territorio e molto politiche, ricche di valori e di fantasia. Credo che tali iniziative siano importanti e che arricchiscano la politica di altri elementi soggetti riflessioni e impegno.

C'è chi parla di “liste elettorali della sinistra della nonviolenza” come alternativa alla “cosa rossa”. Come giudichi tale proposta?

Bisognerà vedere come sarà la legge elettorale: non credo comunque che favorirà liste minori e che frammentino ulteriormente la scena politica italiana.

L'efficacia di una proposta politica è nelle sue possibilità aggregative e di conquista di consenso, non nel rompere ciò che c'è, comunque auguri a chi ci vuol provare.

Un altro mondo è possibile? E come realizzarlo a partire da oggi?

Un altro mondo è necessario, perché questo si avvia al tramonto (sarà una storia ancora lunga: il capitalismo non è una tigre di carta, ma un sistema complesso con molte forme di recupero riparazione riequilibrio e violenza ecc.), ma secondo me sta arrivando alla sua crisi finale. Sono da sempre luxemburghiana e perciò penso all'autorganizzazione di molteplici soggetti politici (che non sono né le masse dei tempi di Rosa, né gli attuali movimenti rivendicativi): una cosa nuova e politica, che autorganizzandosi e pattuendo forma un blocco storico, che tratta con i partiti (esperti delle istituzioni) la traduzione controllata dei loro pattuiti progetti ecc. ecc. C'è molto da fare in proposito, ma qualche idea ce l'ho.

 

Giovanni Sarubbi

 

 

Giovanni Sarubbi è il Direttore del periodico online Il Dialogo


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