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Sulle droghe all'ONU son d'accordo di non esser d'accordo. Molto meglio così
18 Marzo 2019
 

Giovedì 14 e venerdì 15 marzo si è tenuto a Vienna il “segmento ministeriale” della 62ª Commissione sulle Droghe delle Nazioni Unite, convocata a tre anni dalla Sessione Speciale dell'Assemblea generale sugli stupefacenti dell'aprile 2016. Gli stati membri hanno riaffermato la centralità delle tre convenzioni internazionali in materia di sostanze narcotiche e psicotrope, nella ricerca di soluzioni al “problema mondiale delle droghe” malgrado, per loro stessa ammissione, negli anni non ci sia stato un miglioramento della situazione, e anzi il numero di consumatori di droghe continua ad aumentare. Eppure la sessione era stata aperta dal Segretario-Generale Antonio Guterres che ha dedicato buona parte del suo intervento a ricordare come, sotto la sua leadership, il suo Portogallo era riuscito ad aggredire il problema delle overdosi e delle infezioni dell'AIDS proprio grazie a una non penalizzazione del consumo personale e all'offerta di servizi socio-sanitari.

La dichiarazione finale dell'incontro è stata adottata immediatamente dopo l'inaugurazione della sessione - un'innovazione che in qualche modo vuol evitare un dibattito tra analisi e approcci spesso radicalmente diversi. Negli interventi delle varie delegazioni, alcune in effetti guidate da Capi di Stato o Ministri, si è notata a tratti una chiara apertura a politiche basate sulla salute e i diritti umani a fronte di chi, come le Filippine, ha giustificato il massiccio uso della forza nei confronti di “drogati e spacciatori”. Malgrado la chiara, ma non necessariamente appropriata, centralità degli aspetti socio-sanitari, il lessico ufficiale continua a far riferimento all’abuso di droghe, e mai all’uso (problematico o non), che pure caratterizza la maggioranza del consumo delle sostanze proibite.

L’Unione Europea ha inviato il Commissario per le questioni interne e la giustizia, Dimitris Avramopoulos, per presentare la posizione comune dell'UE, una posizione ormai distante anni luce dalle dichiarazioni bellicose di una ventina di anni fa, che si sviluppa sui pilastri sanitari e di rispetto dei diritti umani e che ha chiaramente denunciato l'uso della pena di morte da parte di alcuni paesi (senza fare nomi), una posizione che non necessariamente viene rispettata anche all'interno degll'Unione stessa.

Il governo italiano ha scelto di non mandare alcun Ministro o sottosegretario. Si conferma quindi che, malgrado le dichiarazioni – almeno quelle degli esponenti della Lega – al momento degli atti i partiti che sostengono il governo non ci sono. Una situazione simile a quella delle riunioni del Parlamento e Commissione europee sull’immigrazione relative alla riforma del trattato di Dublino dove l'Italia non è intervenuta malgrado dichiarazioni bellicose contro l'Unione europea. Se in Italia si vuole rilanciare la guerra alla droga, con l'inasprimento delle pene o il tornare a promuovere la disintossicazione obbligatoria, quando si tratta di difendere le proprie posizioni il Governo italiano ha sempre di meglio da fare a casa propria.

Eppure, la Rappresentanza permanente dell'Italia presso le Nazioni unite di Vienna ha promosso un side-event sull’approccio sanitario alle politiche sulle droghe, l'assenza di un rappresentante del governo ha messo in primo piano il ruolo del governo norvegese che co-sponsorizzava l'incontro. Nel suo intervento nella plenaria, l’ambasciatrice Maria Assunta Accili ha sottolineato come l’approccio dell’Italia sia basato sulla salute e sulla fornitura gratuita di servizi per aiutare chi sviluppa un consumo problematico, citando le numerose strutture e centri di presenti nel paese. Molto positiva è stata l’affermazione dell’ambasciatrice secondo cui i governi non possono occuparsi di droga da soli: serve un approccio che includa tutta la società e dove tutti hanno un ruolo importante, incluse le organizzazioni non-governative. L'Italia ha inoltre co-promosso, assieme alla Comunità di San Patrignano, un evento in cui si parla di come si possano “recuperare” le persone che hanno avuto problemi con gli stupefacenti. Come l’Italia, molti altri paesi hanno avuto parole incoraggianti circa l’importanza appunto di un approccio basato sulla salute, il rispetto dei diritti umani e il fatto se poi queste corrispondano realmente alla realtà nazionale è un altro discorso.

Oltre i due terzi degli Stati Membri dell'Onu hanno preso la parola, se il gruppo degli occidentali e dei latino-americani si è attestato su posizioni di (percepito) buon senso (anche gli USA hanno dedicato buona parte del loro intervento alla necessaria lotta alle overdosi da oppiacei legali e illegali), la Russia, i paesi arabi e quelli del sud-est asiatico hanno spesso iniziato i loro discorsi con “la tirannia delle droghe è una delle formi peggiori di oppressione umana”, come ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. A parte l'Africa dove le parole dei delegati erano spesso poco chiare nel far intendere cosa in effetti accada nel campo del “problema mondiale delle droghe” ai livelli nazionali, chiare denunce dell'impianto proibizionista globale sono state al centro dell'intervento del presidente boliviano Evo Morales che senza mezzi termini ha affermato che “la realtà ci ha mostrato che la cosiddetta guerra alle droghe ha fallito”. Gli ha fatto eco il rappresentante della Presidenza della Repubblica dell'Uruguay che ha evidenziato con alcuni dati il successo della sua legalizzazione della cannabis, con 35.000 utilizzatori che si sono registrati nel sistema statale, uscendo quindi dal mercato illegale, e decine di milioni sottratti alle organizzazioni criminali.

Altri interventi positivi sono stati pronunciati dalla Svizzera, (“le tre convenzioni sulle droghe non sono più efficaci nel XXI secolo, bisogna tener conto del presente e non solo del passato”) e dal Canada, che aveva nella sua delegazione membri della società civile ivi compresi degli utilizzatori di droghe. Il Portogallo ha dal canto suo proposto il suo caso di depenalizzazione come esempio di buona pratica.

La maggioranza dei paesi ha ribadito come le tre convenzioni debbano comunque rimanere il cardine del sistema internazionale di controllo sulle droghe. Alcuni con vaghe aperture, altri più fermamente, criticando anche i pochi esempi positivi di riforma, come la legalizzazione della cannabis. Quasi sessanta anni di “problema mondiale delle droghe” dovrebbero invece suggerire che, finché le convenzioni resteranno vigenti e rispettate da quasi tutti i paesi, i problemi della guerra alle droghe resteranno tutti e resteranno tutti irrisolti. Il consumo di droghe continua ad aumentare, il numero di sostanze psicoattive (specie quelle chimiche) cresce a fronte di un numero crescente di pazienti che non hanno accesso alle medicine di cui hanno bisogno, e molti ne muoiono. Per non parlare del fatto che l'accesso alle medicine essenziali, uno dei cardini delle tre convenzioni, continua a esser proclamato ma non praticato.

Se gli stati restano ancorati alle loro decennali posizioni, si registrano alcune dichiarazioni positive da parte di rappresentanti delle Agenzie delle Nazioni unite. Tim Martineau, vice direttore esecutivo di UNAIDS, ha dichiarato che la guerra alle droghe ha fallito, le prime vittime sono gli utilizzatori di droga e che meno del 15% delle persone che iniettano droghe vive in paesi con misure di riduzione del danno efficaci. Per questi motivi, UNAIDS ha lanciato un appello pubblico affinché venga decriminalizzato l’uso personale di sostanze proibite. Anche il Giudice della Corte Costituzionale sudafricana Edwin Cameron (dichiaratamente omosessuale e affetto da HIV), nel corso di un evento collaterale ha paragonato la guerra alle droghe alla stigmatizzazione della comunità LGBT, delle persone affette da HIV/AIDS e all’Apartheid. Queste parole di buon senso hanno accompagnato la presentazione ufficiale delle Linee Guida sui Diritti Umani e le Politiche sulla Droga, sviluppate dall’Università di Essex, UNAIDS, WHO e UNDP con l’obiettivo di assicurare che tutte le politiche messe in atto per combattere quello che viene definito “il problema mondiale delle droghe” siano sempre rispettose dei diritti umani di ciascuno.

Le linee guida si rendono necessaria perché, nella stragrande maggioranza dei casi, il controllo delle droghe viene trattato come una questione di sicurezza (law and order) e non di salute pubblica. Nessuna soluzione conforme al rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali sarà possibile se non si insisterà nel rispetto dello Stato di Diritto (Rule of Law) riconosciuto a livello internazionale. Si continua a parlare di “abuso” di droghe molto più che di uso “problematico”, rarissimamente, come nei casi della Nuova Zelanda o del Canada, semplicemente di uso. Si dà sempre quindi per scontato che chi fa uso di droghe ha un problema di dipendenza. Solo successivamente i paesi si dividono in più liberali, quelli che vogliono curare queste persone, e iquelli conservatori - o reazionari - che li vogliono punire con sanzioni sempre più severe.

Lunedì 18 marzo si è aperta la sessione regola della 62ª Commissione delle Droghe dove verranno affrontati temi come la riduzione della domanda e quella dell'offerta, lo sviluppo sostenibile, l'accesso alle medicine essenziali, nuove strategie per la cura delle dipendenze, la lista delle nuove sostanze da proibire ed altri aspetti su cui le delegazioni hanno lavorato durante l'anno scorso. Ogni tema verrà riassunto in una specifica risoluzione. Per tutta la settimana si terranno inoltre incontri organizzati dai vari gruppi non governativi presenti. L'Associazione Luca Coscioni e Science for Democracy, assiema a MAPS e ICEERS, organizzano un dibattito sulla “scienza in contesto: la ricerca sulle sostanze controllate” e uno, con DRCNet Founadations, sulla guerra alla droga nel sud-est asiatico.

 

Marco Perduca

(da L'Antiproibizionista!, newsletter del 18 marzo 2019)


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