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Sandra Chistolini. Madre Teresa di Calcutta 
La santa dei poveri nell’India di Gandhi
Piazza San Pietro, 4 settembre 2016, canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta
Piazza San Pietro, 4 settembre 2016, canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta 
07 Settembre 2016
 

La celebrazione rigorosamente in latino dava il senso di una distanza inusitata per la protagonista della giornata dedicata non solo all’elevazione alla santità, ma quasi, ancor di più, al ricordo di chi è stata Madre Teresa per il mondo intero. Una testimonianza di misericordia incarnata nell’umano, una prova costante di carità, amore, love, ahimsa, per i sofferenti, per i disperati, per i poveri. Ahimsa significa “amore” nel senso pratico che Paolo attribuisce alla parola, “non violenza” in sanscrito.

A Piazza San Pietro, domenica 4 settembre 2016 si sentiva una sola voce correre in molte lingue: la santa dei poveri!

Ricordarla come una grande donna non è sufficiente. È stata molto di più e quando ad un certo punto mi è accaduto di sedermi in terra a parlare con una reporter venuta appositamente da Calcutta per stare lì sotto il sole rovente a chiedere a tutti chi fosse per lui, per lei Madre Teresa, non ho potuto fare a meno di citare la presenza di Madre Teresa nei libri di scuola in Gran Bretagna, in Belgio, in Germania, in Italia e non ho potuto fare a meno di prendere io, per pochi minuti, il posto di chi pone le domande. In quell’attimo preciso ho pensato a Gandhi, a Ramakrishna, a Vivekanda, a Aurobindo ed ho chiesto se queste Grandi Anime non fossero in fondo unite in una stessa missione di salvezza dell’umanità. Ho curiosato nella casa di Madre Teresa a Calcutta per sapere quanti stavano seguendo da lontano: erano centinaia di migliaia e forse più.

L’esempio di Madre Teresa ha raggiunto tutti, senza preoccupazione di limiti linguistici, culturali, etnici, religiosi, sociali, politici. Ha attraversato le culture e i cuori e ciascuno ha capito. Un messaggio rivolto all’umanità, ai cristiani, ai cattolici, e a quelli senza religione: appunto, a tutti. Gli occhi della reporter hanno avuto un lampo, quasi di sorpresa sul fatto che qui si menzionasse Gandhi. Ho continuato a pensare ad alta voce. Di quale spiritualità parliamo? La spiritualità è identica e Madre Teresa ha, come Gandhi, unito gli esseri umani in uno slancio di bontà incredibilmente potente.

Più avanti un sacerdote indiano si è avvicinato al nostro conversare ed ha aggiunto l’importanza della medesima radice divina. Il dialogo non è finito perché, poco oltre, un altro esponente dell’India mi confessava, con serietà e convinzione, quasi sottovoce, che se Gandhi fosse stato cattolico sarebbe diventato santo. Per quel signore, riparato sotto l’ombrellino variopinto, si trattava di una differenza rilevante, ed intanto mi additava i Sikh che assistevano composti alla celebrazione e non mancava di far sapiente riferimento a frasi e detti del Mahatma, offrendomi la sua email per l’approfondimento del tema. Ecco, questa era l’aria che si respirava in un angolo della Piazza gremita a festa. Circa settecento persone arrivate da quella Calcutta sempre in collegamento diretto con la tecnologia prontamente predisposta. Senza contare la folla di chi, trovandosi a Roma per altre ragioni, non ha voluto perdere l’esperienza e si è lasciato piacevolmente avvolgere dall’atmosfera di fraternità.

Un stato interiore ed esteriore di preghiera, di ricordo, di ricerca di quelle congiunzioni senza le quali è impossibile comprendere questi profeti che hanno squarciato le tenebre dell’indifferenza. Papa Francesco ha detto di andare e di portare nel cuore il sorriso di Madre Teresa. Questo Papa capace di suscitare immagini semplici e dense, ha risvegliato il senso di una misericordia fatta di accoglienza degli ultimi. Lei piccolina ed esile come un fuscello, ha chiamato a sé i potenti della Terra perché vedessero la povertà e capissero il valore dell’andare incontro all’altro. E Gandhi che con il digiuno risvegliava le coscienze a quel senso etico senza il quale l’umanità si perderebbe, aveva anche lui compreso bene la forza della verità, la Satyagraha. Nella sua autobiografia Gandhi parla dei suoi “esperimenti con la verità”, intendendo il cammino che lo porta pian piano a trovare Dio nell’uomo, nelle cose, nella vita, nell’umanità intera, a scegliere l’amore invece dell’odio, a considerare il punto di vista del bene migliore, invece di quello del male peggiore. Si tratta di esperimenti spirituali, anzi morali, a tutti accessibili, non esclusivi e di privilegio solo per il Mahatma (asceta, maestro). Alcuni esperimenti sono più comunicabili, altri restano nascosti nella relazione personale con Dio e non possono essere espressi compiutamente semplicemente perché non ci si riesce, a nulla vale l’introspezione forzata. Il resoconto di tali tentativi assume la conformazione di dottrina, offrendo insegnamenti che si strutturano in norme sul piano teorico e pratico. Il filo conduttore è la coerenza con l’idea del giusto e la parallela adozione di comportamenti conformi a tale idea.

Gli esperimenti di Gandhi con la verità sono una verifica continua dell’esperienza. Oggi si potrebbe accettare quello che domani ci si potrebbe trovare a rifiutare perché non più soddisfacente per il cuore e per la ragione. Ma finché un principio corrisponde ad una seria opera di introspezione, di autocritica, alla ricerca della verità parziale, se non proprio assoluta, cioè di Dio, allora quel principio va degnamente rispettato. Lungi dal voler sembrare convincente Gandhi, ormai anziano, continuava a crescere interiormente, mai pensando che tale movimento potesse arrestarsi, neppure la morte l’avrebbe mai bandito dal vissuto della persona umana. Obbedire a Dio, alla sua chiamata era la missione della sua vita, perseverante nella realizzazione di Dio da parte dell’uomo con tutto quello che fosse possibile, soprattutto con il servizio agli altri, ma anche, con richiamo francescano, al resto del creato. Sì, Madre Teresa ha forse sentito Gandhi e ambedue hanno cercato di comunicare una religione universale per l’umanità nuova. Nelle aule scolastiche in India le due immagini sono esposte insieme, bambini ed adolescenti imparano a conoscere e a vivere gli insegnamenti ricevuti, saldando gli opposti nell’unità fondamentale.

Risuonano sullo sfondo le parole di Paolo VI che nel viaggio in India del 1964 diceva di andare a “conoscere più da vicino un popolo immenso che tanto stimiamo per la sua intima religiosità, per la sua innata nobiltà, per la sua civiltà artistica e culturale, che raggiunge le vette più alte dello spirito umano”.

Anche i gruppi di albanesi presenti a Piazza San Pietro, appositamente giunti, perfino dal Canada e dagli Stati Uniti, hanno avuto un sentimento di riscatto “...noi siamo buoni!”, come se stare dalla parte di Madre Teresa aiuti ad essere partecipi dello stesso progetto universale di rinascita e a dare una identità credibile a chi avverte, per varie ragioni, di averne bisogno e di doversi forse giustificare.

La canonizzazione è stata per tutti un momento di conferma della rivoluzione spirituale che l’India, maestra sapiente, sa ben accogliere continuando la tradizione antica delle scritture sacre, Veda, Upanishad, Bhagavad Gita, e incarnando oggi nella misericordia la buona novella di Madre Teresa.

 

Sandra Chistolini

 

 

Approfondimenti: NDTV video


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