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Erveda Sansi. Il ritorno dell’ideologia manicomiale come strumento repressivo 
Gravissimi abusi e pratiche coercitive nell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano
27 Dicembre 2010
 

Quello che succede nel reparti psichiatrici dell’Ospedale Niguarda Ca' Granda di Milano e di altri ospedali contrasta in modo incredibile con i risultati eccellenti che uomini di cultura e di scienza hanno altrimenti prodotto e tuttora producono. Sembra di tornare ai tempi della tristemente famosa Inquisizione. Lo scandalo venuto alla luce in queste ultime settimane, in seguito al pesante mobbing e alla sospensione dal suo incarico subìti dalla Dr Nicoletta Calchi, dirigente medico psichiatra presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Niguarda di Milano, deciso dal Consiglio di Disciplina, mostra in tutta la sua inaudita barbarie come il progresso scientifico in molti ambiti non solo si sia arrestato, ma abbia fatto giganti passi indietro.

Giorgio Antonucci, mediante il suo lavoro decennale con pazienti che precedentemente erano stati diagnosticati con le più infauste diagnosi, ha dimostrato che i problemi esistenziali non sono risolvibili chiudendo a chiave le persone nei reparti ospedalieri, e nemmeno legandoli ai letti, o imbottendoli di psicofarmaci per ottenere una sorta di lobotomia cerebrale. Anzi, è proprio mentre cerca di far fronte alle difficoltà della vita che una persona ha bisogno di comprensione, sensibilità, empatia, aiuto o più spesso, di essere lasciata in pace. Di essere rispettata, in ogni caso. Giorgio Antonucci, che ha diretto due reparti manicomiali per ventitré anni, ha dimostrato, attraverso fatti concreti, che solo attraverso il dialogo e il sostegno umano è possibile risolvere i problemi. Infatti quello che è successo all’interno del SPDC (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) dell’Ospedale Niguarda, e che rispecchia l’operato di molti altri reparti psichiatrici, è semplicemente disumano e criminale. L’elenco degli istituti nazionali e internazionali che pongono i trattamenti coercitivi perpetrati nei confronti di persone definite pazienti psichiatrici o disabili mentali sotto la voce tortura è lunga, ed include tra gli altri: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, del 1948, la Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali del 1950, i Principi delle Nazioni Unite per la Protezione delle Persone con Malattia Mentale del 1991 (Principi sulla Malattia Mentale), la Convenzione Internazionale dei Diritti Civili e Politici del 1966, la Legge dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulla Salute Mentale: dieci principi basilari del 1996, l’Atto dei Diritti Umani del Regno Unito del 1998, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, l’Assemblea Generale dell’ONU del 28/08/2008, 63ª sessione, Item 67 (a) rapporto di Manfred Nowak, Incaricato Speciale del Consiglio dei Diritti Umani sulle torture e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti,

Solo circa 15, (la cifra cambia in base ai primari, alle caposala ecc.) dei circa 321 SPDC esistenti in Italia hanno pubblicamente dichiarato di non usare mezzi di contenzione e di non chiudere a chiave le porte. Fanno parte del Club SPDC Aperti No Restraint. Si contano, per ora, gli SPDC di Aversa, Caltagirone-Palagonia, Caltanissetta, Enna, Mantova, Matera, Merano, Novara, Perugia, Portogruaro, Treviso, Trieste, Roma C.,Verona Sud, DSM (Dipartimento di salute mentale) Venezia.

Anche Franco Basaglia, Edelweiss Cotti, Peter Breggin, Marc Rufer, Thomas Szasz, i membri dell’ENUSP (Rete Eropea di ex-Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria), per citare solo alcuni di una lunga lista di nomi, hanno dimostrato con le loro opere teoriche e pratiche l’infondatezza del metodo psichiatrico che utilizza reclusione, mezzi di contenzione, elettroshock, psicofarmaci dannosi per la salute. Michel Foucault spiega in modo molto efficace come il sistema psichiatrico funga da Panopticon, da controllore sociale, ed esplichi la specifica funzione di mantenere la divisione in classi della società.

Il 23 novembre 2010, nella sala stampa del Tribunale di Milano, si è tenuta la conferenza stampa del Telefono Viola di Milano sui fatti gravissimi successi dei reparti Grossoni I, II e III dell’Ospedale Niguarda. Qual è stato il motivo per cui la Dr Calchi è stata pesantemente mobbizzata? La risposta sta nel suo interessamento per la salute dei suoi pazienti, che l’hanno portata ad avere rapporti umani con essi, e a rifiutarsi di andare contro la deontologia medica; a non partecipare alle pratiche di contenzione e a ridimensionare, o scalare, la somministrazione degli psicofarmaci.

Un chiaro esempio di cosa significhino la contenzione in psichiatria e le sue conseguenze lo dimostra la morte di Francesco Mastrogiovanni. Dopo essere stato costretto al letto di contenzione per 80 ore, muore in stato di estremo abbandono. La sua agonia è stata registrata da una telecamera nascosta, ed è questa la ragione che ha reso possibile vedere le riprese su Youtube, dove si trova anche il video mandato in onda da “Mi manda Rai 3”. Altre informazioni sono reperibili all’indirizzo www.giustiziaperfranco.it. La sentenza della Corte di Cassazione, annullando la precedente ordinanza del Tribunale che non riteneva di sospendere i medici del SPDC di Vallo della Lucania, non riconosce il carattere “eccezionale, episodico, contingente” alla prolungata contenzione fisica del sig. Mastrogiovanni (contenzione che ne ha provocato il decesso), e condanna pure la diffusa violazione di norme penali, di norme sanitarie, di regole di rispetto della dignità umana; e mettendo in rilievo le responsabilità soprattutto del dirigente e dei medici, sottolinea che non si trattava affatto di un caso eccezionale, ma di una pratica estesa su altri pazienti, quindi sistematico. Il giudice della Corte di Cassazione ha provato orrore nell’analizzare quanto successo nell’SPDC di Vallo della Lucania.

Un’altra morte imputabile alla contenzione è quella dell’ambulante Giuseppe Casu. Reo di aver voluto continuare ad esercitare il suo lavoro di ambulante sulla piazza del paese, non solo è stato multato, multe da lui peraltro sempre pagate, ma gli è stato fatto un Trattamento Sanitario Obbligatorio e legato al letto del reparto psichiatrico dove è morto dopo una settimana, senza che nessuno l’avesse slegato. I periti che hanno indagato sul caso, valutano “eccessivo” legare a letto un paziente, anche se per impedirgli il suicidio o costringerlo a curarsi, e giungono alla seguente conclusione: «La diretta coercizione non è fra le prestazioni richiedibili allo psichiatra. E visto che l'organigramma del nuovo assetto della psichiatria non prevede figure di personale di custodia (come prima della legge Basaglia che ha chiuso i manicomi), essendo venuta meno tale esigenza che caratterizzava la vecchia normativa manicomiale, il ricorso all'uso della forza fisica è esterno al rapporto terapeutico». I sette medici del reparto psichiatrico del Santissima Trinità di Cagliari sono stati accusati di sequestro di persona aggravato dall'abuso di potere (da Unione Sarda del 21 ottobre 2010).

Torniamo ai gravissimi abusi della pratica coercitiva in uso nei tre reparti Grossoni di Milano, esposti nel comunicato stampa del Telefono Viola di Milano (integralmente reperibile su www.ambulatoriopopolare.org, www.news-forumsalutementale.it e senzapsichiatria.blogspot.com).

Intanto 112 pazienti hanno redatto una lettera aperta di denuncia della situazione e in difesa della Dr Calchi, dove tra l’altro si afferma che «anche altri operatori sanitari, un medico ed un infermiere sono in attuale mobbing, altri operatori forzatamente sono stati costretti ad andarsene dall’Azienda per opera del Direttore del DSM»; in calce alla lettera hanno raccolto 500 firme.

«Quanto accade da tempo nei tre reparti Grossoni 1, Grossoni 2 e Grossoni 3 ottenebra gravemente l’immagine pubblica, la reputazione professionale e l’onorabilità stessa dell’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda», dichiarano i volontari di Telefono Viola.

La contenzione fisica degli internati dei manicomi è stata una delle pratiche più diffuse ed inumane dell’istituzione manicomiale: la camicia di forza è stata per secoli l’emblema della sofferenza elargita alle persone ritenute “malate” nella mente. Eppure, fin dalla seconda metà del ‘700 mantenere legata una persona a una tavola (come anche ad un letto) è stato considerato nella cultura giuridica europea un’inammissibile atto di violenza fisica, un vero e proprio atto di tortura che, come tutte le altre punizioni corporali, ha finito per essere bandito dagli ordinamenti penali del continente. Il ripudio delle pene fisiche nella punizione dei reati è stato uno dei segnali più significativi del passaggio dall’epoca feudale a quella moderna, eppure questo principio non è mai riuscito a varcare i cancelli dei numerosi manicomi, che, sempre a partire dalla fine del ‘700 si sono diffusi in tutta Europa. Nella nostra cultura l’irrazionale paura della follia, l’irrazionale paura nei confronti di coloro che, in veste di “malati” nella mente (nonché in veste di moderni capri espiatori), sono stati internati nei manicomi, ha permesso che il tormento del contenimento fisico (assieme ad un ampio elenco di altri orrori) rimanesse in auge negli istituti manicomiali per quasi due secoli, fin verso gli ultimi decenni del‘900. In realtà, pur tramontando definitivamente l’uso della camicia di forza, la pratica della contenzione fisica nei reparti psichiatrici è rimasta, sebbene non dappertutto, anche dopo la legge 180. Troppo spesso la contenzione fisica nei reparti psichiatrici è di una violenza indicibile, che produce lesioni, ferite, danni irreversibili.

Il DSM dell’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda consiglia agli studenti della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università degli Studi di Milano, nonché agli operatori dei servizi psichiatrici del Dipartimento di Niguarda, di contenere i pazienti in agitazione con il famigerato ‘spallaccio’ di manicomiale memoria: «Nel caso in cui la crisi d'agitazione è irrefrenabile, può rendersi necessario fissare il paziente supino; ora ciò è ottenuto per mezzo di un lenzuolo, opportunamente arrotolato, che ferma le spalle al piano del letto, legato dietro la testata dello stesso. Questa deve ritenersi una misura provvisoria, nell'attesa che la terapia farmacologica operi la necessaria sedazione.

In questo modo la contenzione diventa molto dolorosa, a causa dell’elevata pressione che il lenzuolo arrotolato crea contro il collo, le spalle e le ascelle della persona contenuta! In questo modo, per il forte stiramento e la forte compressione dei muscoli, in poco tempo sorge il pericolo di lesioni nervose al plesso brachiale distale, con la conseguente paralisi alle braccia della persona ‘fissata’ al letto di contenzione.

È evidente a tutti che lo “spallaccio” è una procedura che:

- infligge un immediato dolore fisico alla persona legata;

- provoca uno stiramento degli arti superiori e delle spalle, delle ascelle e del collo;

- costringe la persona così fortemente legata in un posizionamento forzato che impedisce del tutto i movimenti;

- obbliga gli altri ricoverati alla costrizione ad assistere a un trattamento (che non è sbagliato definire atroce) inflitto ad uno di loro.

«La ‘giustificazione’ che lo “spallaccio” sia una misura provvisoria», concludono, «è un’evidente menzogna: è noto a tutti come una sedazione per via endovenosa dia i suoi pieni effetti dopo appena 10/15 minuti. E non ci è mai capitato di sentire di uno “spallaccio” (come anche di qualsiasi altra forma di contenzione) che durasse meno di molte ore o di giorni. Naturalmente sappiamo benissimo che lo ‘spallaccio’ non sia raro al Grossoni, e che a volte dura intere giornate, ma, purtuttavia, persino noi del Telefono Viola abbiamo sempre pensato che i vertici del DSM ritenessero formalmente illegale tale procedura di contenimento fisico, pur permettendone l’uso nei reparti. Ed invece no: lo ‘spallaccio’ fa parte del protocollo del DSM di Niguarda! E viene anche insegnato agli studenti della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università degli Studi di Milano! Come dire: morto il manicomio, viva il manicomio!»

Nel dicembre 2008, sul Corriere della Sera, Margherita De Bac chiede a Lorenzo Toresini, presidente del Club SPDC a porte aperte no restraint, come mai a 30 anni dalla 180 nella grande maggioranza dei 321 SPDC nazionali si legano ancora i ricoverati. La risposta di Toresini è questa:

«Alla base di questi comportamenti c'è l'ideologia. La contenzione viene considerata un atto medico. Inaccettabile. La legge italiana non nega specificamente le cinghie ai malati di mente. Ma la violenza privata è punita dal Codice penale. La maggior parte degli operatori preferiscono legare piuttosto che parlare con il paziente... I problemi strutturali e di carenza di organico sono un pretesto. È una questione di dignità. Legare non è professionalmente dignitoso».

La contenzione fisica in psichiatria, così come avveniva nei manicomi, è una mascherata forma di punizione. Gli interventi psichiatrici coercitivi sono causa di ferite e sofferenza, terrorizzano e causano danni sia psicologici che fisici, come riporta nella sua presentazione Tina Minkowitz al Comitato contro la Tortura, nel 2006: «Vedere come di giorno in giorno mi deterioravo intellettualmente, moralmente ed emotivamente, mi terrorizzava. Prima sparì il mio interesse per i problemi politici, poi il mio interesse per i problemi scientifici, e poi il mio interesse nei riguardi di mia moglie e dei miei figli». L’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, dichiara che «Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti». Tina Minkowitz, per conto di Mind Freedom International, rileva che gli interventi psichiatrici coercitivi dovrebbero essere classificati sotto questo titolo.

 

Erveda Sansi

(da 'l Gazetin, dicembre 2010)


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