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Rosario Amico Roxas: Terrorismo e democrazia 2
14 Maggio 2009
 

La guerra e derivati

In nome di quale democrazia si accendono le guerre preventive ? Perché bisogna adeguarsi alla nuova e moderna nomenclatura per tentare di capire. Le guerre, da sempre, sono state  “interne”  o “esterne”; interne di difesa dalle aggressioni, esterne per aggredire; tertium non datur. L’America della dinastia Bush ha inventato una terza forma di guerra: la guerra esterna di difesa; un assurdo dialettico al quale venne dato il nome di “guerra preventiva”, cioè certezza di una guerra per scongiurare la remota ipotesi di una guerra. Risulta ampiamente realizzabile che i popoli aggrediti dalla guerra preventiva tentino una estrema difesa, cioè una guerra interna di difesa; ma scatta la trappola ordita dall’aggressore per neutralizzare tale difesa: identifica i difensori della propria terra come “terroristi”, anche per evitare che la pubblica opinione li identifichi come “resistenti”. Nella guerra al “terrorismo” vengono bombardati indifferentemente un esercito in fuga, una aviazione inesistente, una forza marittima inadatta financo alla pesca d’altura; quindi si bombardano i mercati nelle ore di punta, le moschee nell’ora della preghiera, le scuole, gli autobus che trasportano bambini, banchetti di nozze….Non si tratta di una guerra, perché la guerra prevede lo scontro, si tratta di una mattanza, dove il soldato perde il senso dell’onore per trasformarsi in esecutore di condanne a morte comminate nel mucchio; si trasforma in torturatore dei prigionieri di guerra… Si tratta di una eccessiva manifestazione di forza diretta al popolo, non ai governi; è il popolo che deve essere terrorizzato perché possa arrendersi alla evidenza e subire silenziosamente.

  

Se il popolo non si arrende, allora viene acuita la “lotta al terrorismo”, senza neanche identificare tale terrorismo, al quale viene attribuita una capacità organizzativa che non ha, spinto come si trova dallo stato di necessità causato dall’aggressione subita.

Qualcuno ci spieghi cosa vorrebbe il terrorismo, quali fini potrebbe perseguire, quale programma realizzare ?

“ Qual è lo scopo dei terroristi ?”
“Quale strategia li ispira ?”.
Innanzitutto si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico; le definizioni siamo noi stessi a fornirle, perché serve esaltare  il terrorismo con l’ attribuzione di una compattezza ideale, programmatica e operativa che non ha, per giustificare l’acuirsi della persecuzione.
Questa compattezza viene riconosciuta identificando nel terrorismo un nemico da abbattere con una dichiarazione di guerra totale. Ma le guerre si fanno in due e il terrorismo è, per definizione, unilaterale, non porta divise, non innalza bandiere, opera e agisce all’improvviso, e colpisce nel mucchio con il solo scopo di restituire quel terrore che è stato utilizzato dall’aggressore.  Il suo obiettivo non è “il nemico” da abbattere e combattere, ma il mondo-spettatore, vittima passiva, primo attore di una tragedia che non vuole recitare. La guerra globale al terrorismo dichiarata dall’America serve solo all’America stessa che può, così, incrementare il lucrosissimo circuito del commercio delle armi.

    
La sola via praticabile è quella della politica, della diplomazia e del dialogo.
Il terrorismo non ha una strategia perché non ha un modello di società da proporre, una eventuale destabilizzazione dell’Occidente non gli servirebbe; nello stesso tempo è sbagliata la strategia occidentale con la convinzione che il suo modello di vita possa e debba essere imposto a livello planetario. Il terrorismo si ribella a questa pretesa, mirando a terrorizzare, non a conquistare: il terrore è un mezzo, mentre il programma di conquista è un fine.

 Viene sollecitata anche l’idea che il “terrorismo” aspiri a  convertire il mondo intero all’Islam, mobilitando anche l’ufficialità della Chiesa di Roma che non trova di meglio che sfruttare come punta avanzata e qualificata, lo squalificatissimo apostata Magdi Allam.

     

La guerra totale al terrorismo veste, così, gli stessi panni del terrorismo, colpendo nel mucchio, evitando lo scontro, stimolando, così, quella reazione rappresentata dagli atti terroristici.
Dalla guerra totale bisogna trasferirsi sul terreno della politica, della diplomazia e del dialogo accettando, riconoscendo e rispettando le differenze sociali, culturali e antropologiche.
Gli interessi delle lobbyes delle armi conducono verso un mare in tempesta, che finirebbe con l’annientare tutte le parti contendenti.

   
Circondare, assediare, condurre alla resa il terrorismo si può e di deve, ma non con il fragore dei missili intelligenti; l’unica alternativa possibile è l’assedio da parte della diplomazia, per ricondurre queste drammatiche controversie nell’alveo della politica e del dialogo, nell’umiltà di riconosce il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione, anche quando possiedono quel petrolio che ispira tutte le azioni dell’Occidente.

  

    

                                                         Rosario Amico Roxas

  

...continua

 


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