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Bruna Spagnuolo: Uno sguardo ai Balcani/ Kosovo... (2)
22 Gennaio 2009
 

Uno sguardo ai Balcani e… al fiume Ibar
(stanco di tingersi di sangue, in Kosovo)
Parte 2ª – Fine

 

 

 

 

 

I rovesci-voltafaccia dell’ultima ora

 

Il Kosovo è sempre là, la tensione tra la maggioranza albanese e la minoranza serba pure. La Eulex (che, sotto l’egida dell’Unione Europea, ‘dovrà’ farsi ‘mentore’ di una convivenza pacifica tra le etnie suddette, nei due terzi del territorio dell’ex provincia jugoslava, lasciando il terzo restante della neo-repubblica balcanica all’Onu) si era già organizzata a una celere partenza della missione, ma un… contrattempo ha rovesciato la situazione (e… lasciato la Eulex in stand by)

La Serbia ha accettato (in seguito all’incontro -molto atteso/ molto sperato- tra il presidente serbo Tadic, il premier Cvetkovic, i rappresentanti dell’Onu e della UE e i diplomatici italiani e rumeni) pienamente il dispiegamento di forze di polizia internazionale in Kosovo. Non è parso vero all’opinione internazionale poter tirare un sospiro di sollievo/ pensare di poter dormire sonni relativamente tranquilli per un po’ di anni/ non dover temere nuove deflagrazioni fratricide in una delle dimensioni più ‘a rischio’ della terra, ma… pare che abbia fatto i conti senza l’oste, come suol dirsi: il presidente kosovaro Sejdiu e il suo premier Thaci (gli ‘esecutori testamentari’ della linea internazionale del Kosovo e della presenza in esso delle Nazioni Unite) hanno posto il veto alla presenza di un corpo di polizia internazionale sul suolo del loro neonato Stato (ancora, peraltro, internazionalmente non proprio ‘legittimo’). Non so ancora dove ciò andrà a parare. Ciò che so è che le minoranze (odiate dalle maggioranze) esistono ancora nei Balcani e che nei sonni agitati non hanno cessato di vedere le ombre nere dei loro persecutori: negl’incubi di chi è terrorizzato, i nemici sono pronti a forare il buio con il loro odio e a macellare gl’individui dell’etnia odiata di turno- determinati a sentirsi ‘soddisfatti’ di sentirli gridare a lungo come ‘porci scannati’. I brutti sogni vengono fugati dal sole del mattino, grazie a Dio, ma un male inteso senso dell’onore (e della protostorica parentela con la ‘epica’ memoria di “lavare l’onta” con il sangue) permea ancora qualche componente umana (dalle illiriche implicazioni -elegiache e belle per altri versi). Questo è un dato di fatto di cui non si può e non si deve non tener conto.

 

Il mondo non ha smesso di temere che la furia fratricida possa disseminare di nuovo orrori senza fine. Occorre cautela nella gestione di questo momento particolare della storia di quei luoghi.

La nobody’s land(con relativo vuoto) tra il governo Bush e quello Obama, negli USA, ha rischiato di divenire intercapedine propizia a ‘sirene’ ansiose di raggiungere l’orecchio dell’Ulisse di turno (non legato ad alcun albero maestro), ma, per fortuna, la situazione è rimasta calma e sotto controllo. Obama è presidente a tutti gli effetti (e il mondo si aspetta da lui talismani miracolosi –anche per i Balcani). Bush non ha perduto la chance di essere ricordato come colui che ha scelto di lasciare ‘il’ nuovo presidente USA ramingo negli hotel e di avere la casa bianca tutta per sé prima di sloggiare. Personalmente avrei voluto un ‘passaggio di consegne’ all’impronta della collaborazione e proteso verso il futuro, in cui il presidente uscente consultasse il nuovo presidente sulle questioni vitali; avrei voluto, in altri termini, che il vuoto di potere si potesse evitare... ma questa è un’altra storia (legata anche ai vari meandri dei mandati presidenziali).

Il ‘NO’ del Kosovo alla presenza delle forze internazionali ha irritato i diplomatici europei (quasi tutti) e, specialmente, l’inviato americano presente in loco. L’amministrazione Bush, ovviamente, è stata la più risentita, ma il sottosegretario di Stato americano, Daniel Fried, ha dichiarato che ogni ulteriore decisione relativa al futuro del Kosovo sarebbe spettata al nuovo presidente (tra le righe leggasi: ad avere peso sulla bilancia americana e mondiale non è la delusione dell’amministrazione Bush, ma sono i veri equilibri locali e internazionali). Auguriamoci che la lungimiranza di Barack Obama dia alla ‘questione balcanica’ la giusta ‘finestra’ nel reticolo complesso della situazione mondiale/ che gli Albanesi kosovari sostenuti dall’Albania di Berisha –sensibile alle influenze d’oltreoceano– sappiano trovare ‘bilance’ stabili/ che le etnie in conflitto sappiano tenere a bada il loro odio (se Dio vuole) for good. Speriamo in un vento di pace e… di saggezza, perché, a Kosovska Mitrovica (ex provincia serba), l’ignaro fiume Ibar non ha smesso di essere ‘spartiacque’ di temute tempeste-massacri (e di segnare i confini tra Serbi e Albanesi accomunati dall’amore per la stessa terra e dall’odio reciproco). Molte sono le ragioni di dissapori-discordie che possono in qualsiasi momento farsi scintilla pericolosa e innescare stragi, in luoghi come Kosovska Mitrovica, dove ci sono case di Serbi nei quartieri Albanesi e viceversa e dove i gesti quotidiani della vita ‘normale’ possono essere visti, involontariamente, come ‘dispetti’ o soprusi e scatenare scontri o peggio… La polizia ha un bel da fare, in quelle zone: deve intervenire e separare fisicamente i contendenti, in varie dispute che rischiano di trasformarsi in stragi-micce (vedi l’episodio in cui i Serbi inveivano contro la ditta edile -che lavorava alle case degli Albanesi situate tra le loro case e sostenevano di non aver potuto usufruire dello stesso servizio).

La Eulex attende la determinazione della nuova presidenza americana e i suoi ‘poliziotti’ internazionali pure, ma io penso con timore all’attuazione del programma di tale missione.

I nostri soldati di pace e, parlando dell’Italia, specialmente, i nostri reggimenti MSU (Multinational Specialized Unit dei Carabinieri- operanti nelle missioni dell’Alleanza Atlantica) e IPU (Integrated Police Unit della Polizia- operanti nelle missioni a guida UE) sono abituati a impegni di natura militare, di polizia militare, di osservazione sul rispetto dei diritti umani, di addestramento/ supervisione/ consulenza necessarie alla ricostruzione delle forze di polizia e al ripristino/mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica nei luoghi delle missioni. Hanno, spesso, compiti molto delicati e di vitale importanza, in cui noi (gente esterna) non capiamo molto. Vedendo in televisione i nostri ‘soldati di pace’ (di tanto in tanto) nulla comprendiamo-sappiamo dei ruoli vari e delle varie posizioni (e nulla, di conseguenza, del potenziale di equilibrio) che ‘i nostri ragazzi’ hanno nelle nazioni di riferimento delle missioni. Farò un esempio, per rendere chiaro il concetto: la prima MSU dei carabinieri italiani nacque nel 1998, per la Bosnia Erzegovina, e s’inserì nell’ambito della missione NATO-SFOR ed ebbe compiti di polizia dalla tenuta ‘forte’ – compiti, cioè, di mediazione tra i gruppi militari armati fino ai denti e le unità di UN civilian Police (praticamente disarmate e prive di mandato esecutivo), nell’ambito della sicurezza pubblica (con tanto di addestramento della polizia locale).

 

Prescindendo da valutazioni-speculazioni (nazionali/internazionali o estemporanee delle etichette politiche -che possono attribuire alle missioni varie motivazioni ‘buone’/ ‘non buone’/ sacrosante o esecrande), trovo bella l’immagine dei nostri carabinieri (e dei nostri soldati tutti) che si rendono utili alla gente, addestrano le forze dell’ordine, mettono il paese in grado di funzionare e se ne vanno, lasciando un buon ricordo di sé (e di ciò che rappresentano –cosa nella quale noi siamo concettualmente inclusi). Io sogno un mondo senza eserciti (in cui gli esseri umani convivano senza barriere-frontiere/ condividano le possibilità di vita sulla terra/ non conoscano la guerra e non abbiano più bisogno neppure di forze dell’ordine), ma, poiché tale mondo pare destinato a rimanere nell’iperuranio di Platone, occorre che, almeno per ora, ne facciamo a meno. I soldati esistono, nel mondo (e sono formati dai giovani, i vivai del futuro dei popoli); i carabinieri esistono in Italia (e ci appartengono, checché le menti politicizzate possano pensarne). Non tocca a me (cittadina piccola piccola) entrare nella strategia a largo raggio dei giochi di potere tra grandi potenze mondiali e dire se/ dove/ quando/ quanto i loro interventi siano interessati o animati da altruismo generoso, perciò, evito di esprimere giudizi valutativi ‘colorati’ (ovvero politicizzati), ma posso dire che ognuna delle divise dei vari soldati rappresenta molto più della persona che contiene (e che, per quanto assurdo ciò possa suonare, ognuna di esse contiene parte dei cittadini della sua nazione e di tutto ciò che essi ritengono ‘casa’)/ che ogni soldato in missione ha una responsabilità moltiplicata per tutti gli abitanti del paese (nel senso di country) dal quale proviene/ che ogni azione individuale o collettiva dei nostri soldati di pace si lascia dietro un’immagine nella quale noi siamo compresi. Ciò vale per i cittadini di ogni colore politico e anche per quelli che sono apolitici (a meno che essi non siano apolidi e non cadano entro i confini di alcuna nazionalità –ipotesi possibile, sul pianeta terra, soltanto per eventuali alieni provenienti dallo spazio). I nostri soldati in missione sono simboli che definiscono la nostra italianità (agli occhi di altri popoli); il loro operato è cartina di tornasole della nostra cultura e di principi-valori che a noi torneranno in ogni caso (riflessi dall’opinione pubblica mondiale). Non c’è appartenenza politica che tenga: meglio che tornino come orgoglio piuttosto che come ignavia o come vergogna.

La valenza efficace e assolutamente encomiabile della MSU in Bosnia Erzegovina portò le organizzazioni internazionali (1999) a chiedere lo schieramento di altre due MSU (in Albania e in Kosovo). La terza MSU venne richiesta (2003) in Iraq e posta sotto il comando della Task Force. La gente seppe degli uomini che ne facevano parte, in occasione della strage di Nassiriya. Dubito che l’inconscio collettivo, in generale, abbia registrato parole come ‘Unità MSU’. I contesti operativi di tali ‘unità’ hanno valenze poliedriche (di ‘interoperabilità e integrabilità’ con altre forze militari) e, soprattutto, hanno capacità camaleontiche ‘flessibili e versatili’, che fanno degli uomini in esse addestrati elementi adatti al ristabilimento e al mantenimento della pace e alla gestione delle crisi militari, ma anche e soprattutto ai compiti umanitari e di soccorso (l’ironia triste della sorte di questi ‘rambo’ addestrati alla guerra è quella di perdere la vita quasi sempre mentre portano aiuti e soccorsi ai civili, cui, immancabilmente, si legano con affetto sincero e generoso). Lo stesso dicasi delle unità che, come quelle MSU, sono esperte nel controllo del territorio, nella raccolta informativa, nell’intelligence criminale e nella lotta al terrorismo (vedi il Reggimento IPU operante nell'ambito della missione "ALTHEA", in Sarajevo).

I nostri soldati/ poliziotti/ carabinieri scelti per le missioni hanno le carte in regola, a quanto pare…, ma, nel caso specifico dei Balcani, temo che correranno qualche pericolo in più. Sovrintendere alla ‘tutela dell’ordine pubblico’ tra i due terzi dell’etnia albanesofona del Kosovo mi appare come un’impresa insidiosa, anche e sopratutto per la mancanza di competenza linguistica. I militari internazionali parlano l’inglese, ovviamente (i carabinieri italiani vengono sottoposti a severi esami di ‘certificazione’ in tal senso). Il popolo (nel mezzo del quale l’ordine pubblico andrà espletato) sicuramente non parla la lingua inglese e dubito che ‘tutti’ i poliziotti albanesi (cui i nostri militari dovranno essere affiancati) la parlino. L’ O.P. (ordine pubblico) in patria (dove il ‘poliziotto’ è tra gente di cui comprende lingua e comportamento ed ‘esce’ con colleghi a lui legati dallo ‘spirito di corpo’) può essere pericoloso (basti pensare a Raciti), ma quanto può essere pericoloso l’o.p. in un luogo sconosciuto, tra etnie sconosciute che parlano lingue sconosciute (e, per di più, accanto a ‘colleghi’ di lingua albanese)? La missione Eulex, sicuramente, partirà alla grande, ma i nostri soldati di pace (italiani ed europei) hanno, comunque, bisogno di auguri. Auguro loro un cuore a misura di orizzonte-amore per le genti d’altra lingua/cultura dalle quali saranno ospitati e… auguro loro un mondo futuro nel quale non dovranno più avere bisogno di imbracciare le armi e di guardarsi le spalle…

 

 

 

 

Pari e dispari/Odds and even della giustizia internazionale

 

 

La stampa ha detto in lungo e in largo che l’assoluzione di Ramush Aradinaj (da parte del tribunale internazionale per la ex Jugoslavia) metterebbe in dubbio agli occhi del mondo la legittimità e la stessa sopravvivenza del tribunale dell’Aja; se ciò fosse vero, ci sarebbe da domandarsi a cosa e a chi possa servire un tribunale internazionale che pieghi la testa davanti a chiari ‘sentori’ di irregolarità o che, peggio, permetta che s’intorbidino le acque per mezzo di crimini –per ‘insabbiare’ altri crimini/ che si lasci costringere a capitolare di fronte agl’intrighi e alla menzogna e ad assolvere i criminali che è chiamato a giudicare e a condannare/ che -dulcis in fundo- si riduca a servire da ‘candeggiante’ per la facciata dei criminali (che tornerebbero in circolazione più forti).

Ramush Haradinaj, ex capo dell’UCK (esercito di liberazione del Kosovo) era accusato di crimini terribili (di guerra e contro l’umanità) commessi tra il ’98 e il ’99 contro la popolazione serba. Era accusato, in altre parole, di aver organizzato una pulizia etnica, quando era a capo del settore UCK di Dukagijn. Tali orrori (che siano o no legati a R.H.) erano opera di individui che si erano eletti ‘angeli vendicatori’ e ‘ripulitori’ di una terra che non volevano vedere calpestata da piede non-albanese (né da piede albanese presumibilmente ‘collaborazionista’ del ‘regime’ di Milosevic- che è tutto dire, considerando che la dicitura ‘collaborazionista’ poteva fungere da ‘cappio’ elastico applicabile più o meno a tutti e usabile, ove necessario, per liberarsi dei nemici scomodi –poiché tutti erano passati sotto il governo di Milosevic e avevano avuto contatti con i vari uffici). Processati per le stesse accuse erano Idriz Balaj (che era stato a capo delle ‘Aquile Nere’) -assolto dal Tpi- (non è chiaro perché) e Lahi Brahimaj (che era al quartier generale uck di Djakovica) -dovrà scontare sei anni ‘per aver torturato un paio di persone’. Ramush Haradinaj ‘rischiava’ una ‘pena’ di… 25 anni (che –se i reati contestati fossero veriparlerebbe di svalutazione di quanto l’umanità dovrebbe avere a cuore più di tutto al mondo: la vita umana). Ci sono dissonanze tragicamente indescrivibili incistate in tali eventi (e altrettanti particolari inquietanti). È inaccettabile pensare che degli esseri umani commettano crimini dalla portata enorme (contro l’umanità cui appartengono), ma ancora più inaccettabile è che un tribunale internazionale giudichi i ‘presunti’ criminali su basi che definire assurde è persino ‘riduttivo’. Non compete a me giudicare se i tre sopracitati fossero o non fossero dei criminali di guerra, competeva ai giudici internazionali, ma non è su questo che si sofferma il mio sdegno. I giudici avrebbero dovuto accertare se gl’imputati avessero o no commesso i fatti, invece di pronunciarsi ‘svilendo’ il valore della vita umana dicendo che le mattanze e le mutilazioni non sono “avvenute su una scala tale da dire che c'è stato un attacco contro una popolazione civile" e che "le vittime potrebbero essere state colpite più come individui che come membri di una popolazione civile perseguita". È più di quanto il buonsenso possa accettare di poter sopportare, perché non occorre scomodare il bisogno di giustizia e l’amore di verità e di ‘equità’ per rendersi conto dello stridore insopportabile di una tale vergognosa affermazione! C’era bisogno di un tribunale (?) internazionale per costringere il mondo a subire un’offesa così eclatante? Ripeto, io non so se quegl’imputati specifici fossero criminali veri; questo è quanto il tribunale internazionale avrebbe dovuto accertare, invece di fare affermazioni eticamente assurde e pericolose. Le due cose si pongono su livelli diversi: uno riguarda la determinazione della colpevolezza o dell’innocenza degl’imputati, l’altro riguarda la valutazione dei crimini. Parlare di ‘scale’ di mattanze e mutilazioni è inconcepibile. Innanzitutto, chi ha detto che perseguitare-torturare-mutilare-uccidere-seviziare-annullare-eliminare esseri umani sia un’inezia da decriminalizzare perché, eventualmente, su ‘scala’ non abbastanza ‘grande’ da ‘offendere’ una precisa popolazione? E poi… a quale ‘livello’ quel tribunale avrebbe ‘tarato’ la ‘scala’? E, se anche avesse ragione (per assurdità dell’assurdo più assurdo), come potrebbe fare di ciò una ragione di assoluzione? Il punto è: quelle persone hanno davvero commesso quelle stragi? Accertandolo, il tribunale avrebbe reso loro giustizia, proclamandoli innocenti, ove necessario. Non accertandolo e facendo le suddette asserzioni porta a pensare che i criminali capaci di seminare il terrore e l’orrore e di offendere il giorno e/o la notte con l’urlo estremo di esseri umani scannati/trucidati come bestie abbiano diritto all’assoluzione/ che i criminali (di guerra o non di guerra) non debbano essere giudicati per le vite umane che dissacrano e portano via alle sfere del mondo vivo (che trafiggono il cielo con il dolore della loro perdita)…/ che un ‘normale’ serial killer possa essere condannato a più ergastoli e che un killer seriale storico non debba vedersene infliggere nemmeno uno…Ciò (prima e al di sopra di tutto), a livello concettuale, è di una gravità spaventosa. Il resto è, per dirla con un antico detto sarmentano, ‘acqua bollente sulle scottature’ (dal terzo al centesimo grado).

La stampa non ha lesinato informazioni sul fatto che il tribunale internazionale abbia incontrato difficoltà nel ‘reperire testimoni’ d’accusa contro gli accusati in questione. Il giudice Alphonsus Orie ebbe a dire: «Il tribunale ha avuto l’impressione che il processo si sia svolto in un ambiente nel quale i testimoni non si sentivano al sicuro». Carla Del Ponte (ex procuratore del Tpi- una donna dotata di intelletto e, viva la vita, di coraggio e, quel che più conta, di voce!!!) ha sollevato la questione davanti al consiglio di sicurezza dell’ONU, dichiarando che molti testimoni non si erano presentati in aula (perché presumibilmente minacciati o uccisi). Ci risiamo con le dolenti note relative all’ONU: che cos’ha fatto l’Onu in proposito?!? Un emerito NULLA!!! Come accettare una simile/ terribile/ schiacciante riprova dell’inutilità di un organismo che dovrebbe essere il garante della vita umana sul globo terrestre?!? I primi articoli del Charter of the United Nations recitano come segue:

Article 1. All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are endowed with reason and conscience and should act towards one another in a spirit of brotherhood.

Article 2. Everyone is entitled to all the rights and freedoms set forth in this Declaration, without distinction of any kind, such as race, colour, sex, language, religion, political or other opinion, national or social origin, property, birth or other status. Furthermore, no distinction shall be made on the basis of the political, jurisdictional or international status of the country or territory to which a person belongs, whether it be independent, trust, non-self-governing or under any other limitation of sovereignty.

Article 3. Everyone has the right to life, liberty and security of person.

Article 5. No one shall be subjected to torture or to cruel, inhuman or degrading treatment or punishment.

Quante deroghe a detti articoli sono state fatte dal tribunale dell’Aja, con le mancate indagini-reperimento prove del caso? Dove sono finiti i diritti dei ‘nati liberi’ di etnia serba che sono stati torturati e trucidati (dove la loro ‘dignità’ e i loro ‘diritti’?); dov’è finito il diritto primario alla ‘vita’ (e dove quello a trattamenti non disumani/ degradanti/ punitivi?!? Tutte le vittime di etnia albanese (trucidate da criminali serbi) gridano vendetta al cielo, allo stesso modo, ovviamente, in altre implicazioni del tribunale internazionale. Io non conosco R.H.; non so nulla di lui. Egli potrebbe essere l’arcangelo Gabriele o Belzebu in persona, un grande criminale o la vittima di una mastodontica congiura. Toccava al tribunale cui si era affidato spontaneamente dimostrare colpa o innocenza oltre ogni ragionevole dubbio. La stampa e gli stessi giudici hanno fatto sapere al mondo che coloro che avrebbero dovuto testimoniare e che avrebbero potuto farlo condannare sono stati uccisi e sono nelle tombe. Il mondo sa anche, ora, che chi avrebbe dovuto accertare i fatti e fare giustizia non lo ha fatto. La dissonanza che si leva dall’Aja s’invola ancora una volta verso le Nazioni Unite, con dito accusatore. Le organizzazioni mondiali che siano soltanto una facciata vuota non servono a nessuno (e, anzi, sono un aggravio sulle spalle dei cittadini che ‘pagano’ ‘mille/cento/dieci’ prendono ‘uno’, a livello monetario e a livello di sangue umano). ‘Muoia Sansone con tutti i Filistei’: se è così che deve funzionare il tribunale internazionale, che venga eliminato. Le organizzazioni mondiali che non funzionano vengano modificate o eliminate e sostituite. I vestiti vecchi (nel tempo in cui lo spreco era bandito dal buonsenso) venivano rivoltati, rimodernati, resi up to date e funzionali. Si faccia lo stesso con questi carrozzoni che sono tutt’altro che agili e funzionali.

L’umanità non può accettare che i delitti più orribili della storia vengano ‘giudicati’ da organismi capaci di commettere ‘delitti’ ancora peggiori. Che i criminali commettano nefandezze contro la vita umana è un colpo basso alla convivenza pacifica tra gli esseri umani; che un tribunale al di sopra delle parti (umanamente, legalmente, ideologicamente -internazionalmente- intese) commetta la nefandezza di assolvere senza ‘amministrare la giustizia’ (né nei confronti di chi fosse eventualmente accusato ingiustamente, né nei confronti dell’umanità), grida vendetta più degli stessi delitti/ è un colpo ai baluardi difensivi dei principi vitali che regolano la vita delle comunità.

I criminali sono come virus letali duri da debellare, gli organismi sociali che invertano il processo giudicante nei loro confronti sono come vaccini che (anziché creare anticorpi) rafforzino, semplicemente, i virus e tradiscano la vita che erano preposti a difendere. Ciò è quanto è accaduto al tribunale dell’Aja. Non conosco altro modo per definire le cose. I cittadini del mondo ignaro non sono nessuno; non erano in loco; non hanno voce in capitolo. La dottoressa Del Ponte c’era e aveva voce in capitolo. Ha alzato la sua voce e l’ha alzata forte e chiara. Dov’erano coloro che avrebbero dovuto ascoltarla?!? Dov’erano e dove sono coloro che avrebbero dovuto andare a verificare le ‘voci’, a contare le tombe dei testimoni ‘silenziati’ nella maniera più tragica e orribile che la storia conosca/ a seguire le tracce delle mani assassine (per ‘assolvere’, poi, o ‘incriminare’ senza dubbi)? A chi e a cosa serve un tribunale (internazionale) che non possa scatenare un putiferio e ribaltare le connivenze-violenze locali (di qualsiasi regno, Stato o pollaio), mettendo a nudo (se ci fossero) scimitarre sguainate, pugnali, fucili, ‘bravi’ sguinzagliati a tagliare la gola alla gente (o a crivellare questo o quello con colpi da sparo)? Che vantaggio apporta all’umanità un tribunale che prenda in carico e ‘alloggi’ i criminali storici come ‘presunti’ e li rilasci ancora come tali (senza togliere l’alone del sospetto dalle loro teste e senza fare giustizia alle vittime)? Un tribunale così non è utile ai non criminali e si lascia raggirare dai veri criminali (non muovendo un dito per smascherare le trame orripilanti degl’inganni-omicidi-massacri coperti con la reiterazione degli stessi). È tempo di riflessione per detto tribunale e per la comunità internazionale. Servono organismi che funzionino, che possano muoversi disinvoltamente nelle località ‘incriminate’, che possano tendere ‘mani’ lunghe e caritatevoli (tempestivamente) a chi rischia la vita, che possano impedire i massacri prima che accadano. 

 

 

È triste pensare che esseri umani (dalle sembianze normali) possano albergare delle anime nere. Molto più triste è pensare che, dall’esterno, tali anime possano essere credute ‘bianche’. È doloroso accettare che i mostri non abbiano contrassegni visibili della bruttezza-cattiveria-criminalità che li abita e che possano circolare liberamente (tessendo senza ostacoli le loro diaboliche trame). Il mondo, attorno ai mostri, si è diviso, si divide e si dividerà in pro e contro di essi. Nessuno sa come, perché e dove cominci il processo atto a trasformare certi eroi potenziali in criminali; il potere ne è, in genere, la via maestra (decisamente in discesa) e le prospettive valutative cambiano a seconda dei punti di vista. Nessuno sa con certezza neppure se Ramush Aradinaj sia uno di essi. Tutti sanno, però, che, assolvendolo senza fare chiarezza, il tribunale dell’Aja ha firmato un’opera incompiuta (che è un capolavoro di inefficienza) e che ha suscitato echi rumorosi nell’opinione pubblica.

La liberazione di R.H. è stata accolta con tripudio festoso dagli Albanesi Kosovari del popolo. La stampa ha definito il suo eroe “Il guerriero” che “torna in libertà”; il premier Hashim Thaci -anche lui proveniente dall’Uck- ha accolto la notizia con le parole: «Il governo del Kosovo saluta il verdetto e il rilascio di Haradinaj e Balaj». Gli Albanesi danno per scontato che ‘la guerra di liberazione' dell’Uck fosse giusta (se non sacrosanta), ma, ovviamente, della stessa idea non sono i Serbi. Belgrado ha accolto la notizia di quell’assoluzione-liberazione con un senso di impotente frustrazione (e non senza rabbia), definendo il verdetto una vergognosa presa per i fondelli della giustizia stessa. I giornali serbi hanno riportato titoli come “Haradinaj rilasciato, giustizia dietro le sbarre”, “Il tribunale dell’Aja non ha più motivo di esistere”/ le parole del presidente serbo, Boris Tadic, che ha chiesto l’annullamento dell’assoluzione, giustizia e punizione “adeguata” per i criminali di guerra di qualsiasi provenienza-estrazione/ le dichiarazioni di altri rappresentanti del governo che hanno detto che il Tribunale dell’Aja, con quel verdetto, si è mostrato irriverente nei confronti della giustizia e di coloro che sono periti per mano di Aradinaj, che tale gesto “catastrofico” avrà conseguenze sulla politica e sulla stabilità del Kosovo e che quello dell’assoluzione di Aradinaj è “un giorno nero per il diritto internazionale”/ le parole del premier Costunica, che senza mezzi termini, ha detto: «Se l’UE pensa che, anche dopo l’assoluzione di Aradinaj, il Tribunale dell’Aja sia ancora un’istituzione credibile e decisiva nello stabilire il grado di cooperazione della Serbia con l’UE, allora lo deve rendere noto ufficialmente. Così facendo, l’UE si prenderebbe la responsabilità della dichiarazione d’innocenza di Aradinaj»… «Ogni cittadino serbo sa che con questa decisione il Tribunale ha premiato il crimine e ha offeso tutte le vittime innocenti serbe delle mani di Aradinaj».

La Commissione europea has turned a deaf ear: si è limitata a “prendere atto del verdetto”.

Il Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia propone un do ut des alla Serbia: integrazione europea in cambio di piena collaborazione (e la sottintesa consegna del criminale di guerra -ex generale serbo-bosniaco- Ratko Mladic/ grosso ostacolo alla firma dell’accordo di stabilizzazione e associazione- Asa- propedeutico all’adesione UE, voluta da quasi tutti i paesi UE, tranne da Belgio e Olanda). Aradinaj, intanto, tornato alla vita normale, si è inserito nei canali politici del Kosovo, non senza schiacciare le ‘uova’ nel ‘paniere’ allo stesso Tadic, poiché portava ‘grano’-voti ai ‘magazzini’ di Vojslav Seseli (criminale -presunto- di guerra -sotto processo presso il Tribunale dell’Aja- del partito nazionalista). “I somari cozzano e i barili si scassano”, dice un antico proverbio, e le lotte intestine tra potenti sono destinate a ripercuotersi sulla vita sociale che vanno a delineare. Prima di entrare nelle galere internazionali di Schevingen (dove, peraltro fu ‘tradotto’, dopo aver liberamente accettato di presentarsi davanti ai giudici del Tribunale internazionale sulla ex Jugoslavia), Aradinaj era primo ministro; quando ne uscì, riprese il discorso da dove l’aveva interrotto. Si appellò al Piano Ahtisaari (base della costituzione kosovara) e chiese elezioni generali, ‘correndo’ per il potere, in antagonismo con il primo ministro Hashim Thaci (suo ex compagno Uck), proprio come ai vecchi tempi e come alla fine della guerra con la Serbia, quando, con la cessata sovranità di Belgrado e l’arrivo delle forze Onu, i comandanti dell’Uck si trasformarono in leader politici. Tentò il rilancio (da ex premier/eroe nazionale dei Kosovari) del suo partito Aak (alleanza per il futuro del Kosovo), che, durante la sua detenzione, con il leader “ad interim” Bajram Kosumi, era sceso al 10% dei consensi. Thaci aveva sfruttato le simpatie dell’Occidente ed era entrato in politica per merito dello storico leader del partito comunista jugoslavo, Mahmut Bakalli, che aveva compattato vari piccoli partiti e dato origine all’Alleanza per il futuro del Kosovo. L’ascesa politica di Aradinaj era iniziata con la vittoria delle elezioni del 2004 e si era arrestata quando egli si era consegnato alla giustizia internazionale, poiché il Tribunale dell’Aja lo aveva accusato di crimini di guerra e contro l’umanità.

Molte cose sono accadute in Kosovo, da allora, succedendosi celermente. Tutti conoscono gli eventi e la situazione attuale. Il tutto fa ben sperare. Auguriamoci di non dover più sentire… alcuna nota silente (perforante, come ultrasuono percepito per errore) suonare da qualche parte e ferire un angolo non ben identificato del cuore umano, dando scacco ontologico senza quartiere alle metafisiche catarsi dell’io panteistico del respiro universale…

 

 

I punti a favore del coraggio contro-vento

 

 

La giustizia, però, cerca di farsi largo (benché con nudi gomiti- tra avversità lanceolate): il criminale di guerra della ex Jugoslavia Radovan Karadzic (ex presidente dei Serbi di Bosnia, accusato di genocidio e di crimini di guerra e contro l’umanità, come Ratko Mladic, con il quale mise in atto la pulizia etnica nella Bosnia Erzegovina), dopo 13 anni di latitanza, è stato catturato. Questa è già una vittoria, anche se si sa che tenterà la trita pista nazionalista, usando il Tribunale dell’Aja come un teatro (sulle orme di tutti i criminali di guerra). Speriamo soltanto che il Tribunale per l’ex Jugoslavia sappia processarlo e condannarlo una volta e per sempre, in tempi ‘umani’ (ovvero che sappia sganciarsi da balenifere movenze e imitare gli agili colpi di coda dei delfini, poiché il suo mandato scade nel 2011 e poiché i corpi delle vittime, numerosi come le gocce del mare… guardano il suo operato).

114 criminali (in maggioranza serbi) sono stati individuati dal Tribunale per l’ex Jugoslavia e accusati. Metà di essi è stata formalmente incriminata e condannata. 37 sono ancora in custodia. 10 sono in attesa di processo. 36 sono già morti. Due sono latitanti (uno è una figura secondaria, l’altro è il famigerato “macellaio di Serbrenica”, l’ex comandante dell’Uck, il generale Ratko Mladic - presumibilmente protetto e nascosto in Serbia). La giustizia internazionale pare avere sempre le gambe troppo corte (arriva in ritardo e/o, quando arriva in tempo, spesso, perde le prede che ha già preso). Dice bene Richard Dicker (responsabile di Human rights watch), lamentando la mancanza di una polizia dei tribunali internazionali, che devono dipendere dall’ONU o dagli Stati membri e che incorrono (non di rado) in episodi come quello relativo al criminale serbo Radovan Stankovic (lo stupratore maledetto, il terrore delle donne bosniache internate nel lager di Foca, l’abitatore degl’incubi di donne giovani, mature, giovanissime, nubili, sposate e monache, il viscido essere sadico e malefico, che, condannato a 20 anni e detenuto proprio nel luogo dei suoi crimini, fu fatto evadere dai suoi carcerieri, che si sono ‘distratti’ ad hoc, durante una visita dentistica concessa al criminale) e come quello del generale croato Mladen Markac (che, mentre era agli arresti domiciliari, nel 2007, fu fotografato in una battuta di caccia con il capo della polizia e il ministro degl’Interni).

Ci sono, nei tribunali internazionali, figure notevoli, cui il mondo dovrebbe dare il suo appoggio (e cui l’ONU dovrebbe dare qualcosa di più concreto). Luis Moreno Ocampo, procuratore capo della Corte penale internazionale, è una di queste figure. Farà, magari, come suol dirsi, un buco nell’acqua, ma è un ‘ganzo’ e merita che il mondo lo sappia/ lo ricordi/ lo sostenga/ lo applauda, perché ha avuto il fegato di accusare il presidente sudanese Al-Bashir di genocidio nella regione del Sudan occidentale (Darfur), dove, in cinque anni, sono state assassinate trecentomila persone (e affamati-vessati-tormentati-spaventati-terrorizzati-stuprati-torturati un numero infinito di innocenti). Il grido “Morte a Ocampo” dei sostenitori di partito di Bashir e la danza-pantomima derisoria del mussulmano Bashir in gellabia bianca nulla tolgono al gesto coraggioso di Ocampo, ma dicono che al-Bashir non finirà mai in gattabuia. Alcuni sostengono che il mandato di cattura su di lui potrebbe rendere la situazione del Darfur ancora più instabile (come se ciò fosse possibile e come se il genocidio fosse una cosa meno grave…). Gli ‘alibi’-coda di paglia sono sempre molti e, chissà perché, molte sono le cose (più propriamente ‘pastoie’) di cui pare non si possa fare a meno di tener conto quando si deve condannare e perseguire il male. La verità è che, così facendo, non si fa altro che finire per assecondarlo e per divenirgli tappeto. Bene ha fatto Ocampo. Onore a Ocampo: ciò che è giusto si affermi e si gridi; dalla parte giusta ci si schieri; il resto si lasci a Dio, al destino, se si preferisce, o al caso. Il mondo gira e, prima o poi, ciò che appariva impossibile potrebbe divenire possibile (e ciò che è irreale reale). Chi sostiene che Ocampo stia ‘giocando con il fuoco’ e con le ripercussioni nel Corno d’Africa sbaglia! Il fatto che il vero responsabile della pulizia etnica nel Darfur (l’ex ministro dell’Interno Ahmed Harun- colpito da due mandati di cattura della Corte penale internazionale), piuttosto che essere arrestato, sia stato nominato responsabile del dicastero degli affari umanitari (!!!) e che Ali Kosheib (saccheggiatore di villaggi- stupratore di donne- uccisore di bambini) sia stato incarcerato e rilasciato “per insufficienza” (delle prove che giacevano in abbondanza sotto le stelle per tutti gli occhi umani- animali e, persino, vegetali) non vuol dire che la giustizia debba evitare di gridare le colpe (e di additare i colpevoli)! È vero che la Corte penale internazionale è ancora bambina (è nata nel ’98- è riconosciuta da 106 Stati) e che è riuscita a processare un solo criminale e a rendere effettivi soltanto quattro degli ordini di cattura internazionale emessi; è vero che la missione ONU (in Darfur) è comandata da Karenzi Karake, il generale ruandese accusato di crimini di guerra; è vero che il tribunale ONU di Arusha (istituito nel ’95) ha processato soltanto 30 dei criminali hutu (degli squadroni della morte) responsabili del massacro di 800.000 Tutsi (e che detto tribunale costa 100. 000 dollari annui, ha 800 dipendenti e che era destinato a morire con l’anno vecchio, nel 2008); è vero che le Nazioni Unite, anziché inorridire alla richiesta del Ruanda di assorbire il lavoro ‘troppo lento’ del tribunale suddetto (con la chiara mira di cancellare per sempre il ricordo del genocidio perpetrato), la sostengono… È tutto vero, ma è vero anche che il bene non deve mai smettere di opporsi al male, che le voci del dissenso non devono mai cessare di levarsi, che i tentativi di arginare il male non devono mai desistere, che gli spiriti indomiti (tesi alla difesa dei diritti inalienabili) non passano invano sulla terra. Ne è una riprova il Tribunale speciale per la Sierra Leone (che è riuscito nell’intento-chimera di processare l’ex presidente liberiano Charles Taylor) e lo è anche che la Corte straordinaria per i crimini dei Kmer rossi in Cambogia che (benché, con la sua giustizia, sia arrivata così tardi che più tardi non si può) è riuscita a processare, nel novembre 2008, Kaing Gueg Eav (alias Khang Khek Ieu / Khang Khek Leu / Kang Kek Leu / Kang Kech Eav / Kang Kech Ien / Haing Pin), l’importante esponente dei Kmer Rossi, il torturatore-‘primula rossa’ di coloro che massacrarono 2 milioni di persone tra il ’75 e il ’79. Ideologicamente la cosa è di importanza rilevante, anche se la prima udienza di tale processo si è ‘celebrata’ 32 anni dopo i fatti, quando l’efferato criminale che aveva ideato il genocidio immane (Pol Pot) aveva, nel frattempo, beneficiato di un onore riservato alla gente pacifica e buona (era morto d’infarto)/ il “macellaio” Ta Mok era deceduto dietro le sbarre (2006)/ i vari imputati (che hanno un’età compresa tra i 70 e gli 80 anni) non suscitano più i sentimenti di cui si sono resi degni in gioventù (…).

In Libano l’indagine sull’omicidio del primo ministro Rafik Hariri ha sfiorato la guerra (chiamando in causa la Siria). Il governo pachistano ha ottenuto, finalmente, un’inchiesta internazionale sull’uccisione di Benazir Bhutto (la cosa creerà fermenti destabilizzanti in quel paese complesso e pieno di paradossi, ma non ha, per questo, una valenza meno pregnante e vitale, in questo mondo che ha bisogno di reminders della giusta via). Mi auguro che chi può fare qualcosa la faccia (indipendentemente dai risultati e/o dai vantaggi-svantaggi vari), in questo mondo, in cui la verità viene, troppo spesso, messa sotto il moggio. Tacere il vero e non perseguire i crimini può andare soltanto a vantaggio del male. Gridare ciò che è giusto e affermarlo è già, di per sé, una vittoria sul male.

 

 

Riflessione-conclusione

 

 

La mia mente rifiuta di adeguarsi ai giochi politico-strategici e si ostina a sperare (e… a credere nell’uomo), pur sapendo che i ‘vasi di coccio’ erano-sono-saranno indifesi e a rischio negli scontri tra titani. Non sono nella posizione di dire a nessuno (e men che meno alle grandi potenze) cosa (come) fare, ma vorrei che la vita umana contasse nella valutazione delle risoluzioni da adottare (a livello nazionale e internazionale, sempre e ovunque). Io non faccio che tenere l’occhio aperto sul mondo e cercare di interpretarne gli eventi. Ciò mi porta (spesso, ahimè) a temere che nei giochi politici possa essere proprio la componente peggiore ad emergere (come la feccia che sa farsi schiuma leggera sulla superficie delle acque ignare). Il solo baluardo di difesa che i popoli abbiano è il soffio divino che abita la materia di ogni uomo. È su quel soffio che ogni popolo deve soffiare con solerzia (per impedire che si appanni).

Auguro questo anche allo Stato nuovo di zecca chiamato Kosovo. Ho speranza, che la scalata di una facciata internazionale possa farsi miracolo-ago della bilancia. Mi auguro che luce venga fatta anche sulla storia dell’uranio impoverito.

Il male ‘oscuro’, intanto, continua a mietere vittime in Kosovo (dove i tumori maligni -specialmente quelli polmonari- sono aumentati terribilmente). Soltanto qualche O N G ne denuncia l’aumento. Il mondo tace (e invia in loco giovani sani e forti- senza accertare se le cause del morbo del secolo siano ormai pregresse o ancora sotto il naso ignaro di tutti).

Transizione tra missione Onu e missione europea, economia sommersa, contraddizioni all’interno delle endaves serbe non sono il solo problema del Kosovo. Lo è persino l’amore per il passato, (invocato dall’una o dall’altra fazione come alibi nelle mattanze fratricide –ad esse vorrei dire che invocare la storia da trincee foriere di morte non onora la storia e anzi la offende). L’umanità deve abbeverarsi al passato, perché sapere chi si era aiuta a capire chi si è e dove si sta andando, ma trasformare il passato in ossessione è deleterio (nella misura in cui si fa spada di Damolce sulla convivenza pacifica e falce-morte per tutti i germogli-amicizia propedeutici alla rinascita delle atmosfere vitali dei vivai del futuro).

Gli Sati in generale dovrebbero, a mio umile avviso, badare meno all’apparenza e più alla sostanza (e ricordarsi anche che non c’è sostanza dove manca la vera essenza della libertà). Gli Stati, che si preoccupano di darsi un look rispettabile e il più possibile apprezzabile nel mondo (con tanto di ambasciate), otterrebbero risultati maggiori per altre vie (legate al reticolo interno delle implicazioni con la parola ‘libertà’), se ricordassero che, negando una volta di troppo la libertà anche a un solo individuo/ un solo insegnante ‘imbavagliato’ pena la perdita della stessa vita, non possano pensare di andare lontano (non vadano, anzi, e non giungano da nessuna parte). Molte sono le occasioni mancate di libertà nel mondo e spero in un futuro migliore per tutti, in tal senso, e anche per i paesi balcanici. La conferenza episcopale di Belgrado è un esempio del bisogno di tale speranza, poiché alla storica serba Latinka Petrovic è stato negato il suo intervento (sulla riconciliazione tra Serbi e Croati/ Serbi e Albanesi), che è stato poi reso noto dai principali organi di stampa.

Il giudizio finale sugli eventi relativi all’ex Jugoslavia e al suo ‘sfascio’ tocca ai posteri, che, forse, vedranno più chiaramente anche negli eventi nefasti (della ‘pulizia etnica’, delle ‘fosse comuni’ che si dice non siano state trovate, delle ‘stragi serbe’ di Sarajevo o Sebrenica e dei ‘lager della morte serbi’ che alcuni indirizzi politici definiscono ‘falsi’ e/o “costruiti da giornalisti mercenari”). Noi e il nostro tempo ci limitiamo a condannare il male (le sue stragi, i suoi malesseri, i suoi crimini e tutto ciò che lo ha caratterizzato-lo caratterizza-lo caratterizzerà). I Serbi e gli Albanesi stanziali delle rive del fiume Ibar ascoltino il fruscio pacifico delle acque secolari e leggano in esso la richiesta sommessa di pace: le acque sono stanche di tingersi di sangue; il corso del fiume è stanco di portare al mare i rantoli della morte; lo scroscio chiacchierino delle onde in fuga canta canzoni di amicizia e fratellanza, rifugge dalle inimicizie e sente odio e stragi come minaccia delle sue stesse sorgenti munifiche e limpide. Le due etnie dissotterrino tutto il sentimento e la passione cocente che abita i loro cuori e ne facciano sentieri luminosi e senza ambasce per i fratelli dirimpettai/ per quelli che hanno muri confinanti con le loro case e per quelli che sono racchiusi tra altri confini. Pensino ai loro figli e ai figli dei loro eredi e costruiscano case senza omicidi nelle loro fondamenta… Serbi, Croati, Albanesi e genti di qualsivoglia etnia pensino soltanto alle uguaglianze e non alle differenze; smettano di nutrirsi di odio e si ricordino che ‘amici’ e ‘nemici’ nascono-respirano-mangiano-defecano-soffrono-gioiscono.-amano e… muoiono allo stesso modo (hanno il sangue dello stesso colore e membra che, con la morte, cessano di muoversi nel vento, di formulare pensieri e… di dare lode alla vita). Ricordino di dare la mano al loro vicino e di creare la catena (che non sia di odio, ma di solidarietà) dell’unità (la sola che possa fornire il terreno per la ‘casa’ individuale-regionale-nazionale). Ricordino a se stessi e al mondo (con una benedetta inversione di marcia) che non c’è forza né sicurezza alcuna nella disgregazione.

 

Bruna Spagnuolo


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