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Sara Pozzato: L'uomo di ferro. Fiabe della domenica 1
12 Luglio 2009
 
“L'uomo-ferro camminava nella sua piccola città, tutta un intreccio inestricabile di viottoli, portici e ponti. Nel saliscendi di scalini andava lento per il peso delle sue ossa di ferro. Aveva muscoli induriti e pelle alluminio, e il volto sembrava scorza di frutto seccato al sole di estati violente. Si trascinava a fatica con lo sguardo rivolto ai ciottoli neri. Anche i pensieri erano scuri e sfocati. S'immaginava contorni confusi di una casa senza finestre, circondata da qualche albero storto, e che di fronte aveva il mare, liscio e infinito. Forse era quella la sua meta, ma non riusciva a completare un pensiero che già si smarriva nelle nuvole di un altro. Non mangiava né beveva. Ciondolava soltanto, nel caldo d'un luglio impietoso. E quando arrivava la sera, non c'era brezza che addolcisse il suo soffrire. Perché lui uomo-ferro non sentiva le carezze del vento. Non sudava, non piangeva, non parlava. Ma aveva un olfatto finissimo: questo solo era il senso che uno strano destino gli aveva concesso tanto acuto.

Gli abitanti del borgo si erano abituati ai suoi cigolii e quando lo vedevano passare davanti alle loro case, un poco scostando le tende, scuotevano il capo e tornavano alla loro vita a colori, ai giochi dei figli, alla televisione, al pranzo appena iniziato. Non amavano affatto quell'uomo pesante. Non era violento, non dava loro fastidio, ma intuivano un malessere insinuante perché nelle sue apparizioni cigolanti, per un attimo si ritrovavano faccia a faccia con la ruggine dei loro cuori.

Le ragazze però ne avevano paura e appena sentivano il suo sferragliare, cambiavano strada o s'infilavano in qualche vicolo stretto, aspettando in silenzio il passaggio di quella creatura mostruosa.

Ma lui respirava i loro profumi, le fresche scie che si lasciavano alle spalle e ne rimaneva inebriato. Era il solo sollievo in quell'inferno di ferro incandescente che gli aveva soffocato anche il cuore. Gli era rimasta una manciata di ricordi ingialliti che non bastavano a comporre una storia. Sapeva di essere nato vicino alle onde, cullato dai profumi pungenti del rosmarino e dei limoni. E questo desiderava: solo profumi e uno su tutti, quello del mare. Non osava nemmeno pensare d'immergersi e nuotare, nuotare lontano per avvolgersi d'acqua e rinfrescare le sue braccia roventi. Uomo-ferro, affogheresti nel batter d'un ciglio! Sei pesante, troppo pesante. E lo sai.

C'era una ragazza, la ragazza della fontana, che più di tutte profumava d'agrumi. La sua gonna di stoffa leggera frusciava a quel vento carezza che lui non sentiva, portando con sé la fragranza del bergamotto e del cedro. E dai suoi capelli si spandeva odore di salsedine. Gli occhi acquamarina scintillavano in riflessi di onde al tramonto.

Si appoggiava, lui ferro, all'angolo di un palazzo affacciato sulla piccola piazza. Così la guardava, sforzandosi di tenere sollevate le palpebre stanche. E la respirava. Lei ne era un poco turbata, ma gli sorrideva da lontano e sollevando l'esile braccio accennava un saluto. Nel gesto tutta si muoveva flessuosa e poco bastava perché il suo profumo invadesse lo spazio circostante e lo raggiungesse. Nel caldo insopportabile, sotto il peso insostenibile del suo corpo, l'uomo-ferro si scopriva ora dopo ora più leggero, come forse mai aveva sognato.

E così un giorno accadde che l'Amore gli desse tutto il coraggio che non conosceva, spingendolo alla corsa, sulle prime goffa e scomposta: ogni movimento era rumore d'ingranaggio e il corpo metallo lanciava bagliori accecanti. Gli abitanti lo guardavano attoniti, non capendo il motivo di quel correre sventato. Ma lui avanzava con slancio e sempre più veloce, giù per i vicoli e le stradine. Il mare, ecco cosa cercava!

E quando arrivò sulla spiaggia d'un tratto si fermò. Vide la distesa infinita dell'acqua, il sole specchiato. E sentì il profumo. Prima fra tutti dietro di lui era giunta la ragazza della fontana. Si voltò ansimante e la vide. Ritta nel vento gli sorrideva. Fu un lampo negli occhi: riprese la corsa e, lei dietro a lui, si tuffarono fra le onde. No, non affondò l'uomo-ferro, non venne inghiottito dalla schiuma, perché l'Amore miracolo gli aveva tolto ogni peso! E l'aveva fatto sughero che non conosce abisso. Il ferro si era sciolto, scomparendo nell'acqua, e da un piccolo gorgo ne era uscito un coperchio. La ragazza gli si fece vicina e circondandolo tutta assunse le forme di un'anfora. I pizzi della sua gonna ne diventarono gli splendidi decori. Così gli amanti finalmente uniti, per sempre custodirono un profumo tanto intenso che all'uomo non è dato sentire. 

 

 

Ecco, piccola mia, quella che ti ho appena raccontato è la storia dell'uomo sughero e della ragazza anfora e del loro amore profumato e senza fine”. Nella sala principale del Museo dei Marinai, di fronte alla teca di vetro che conservava l'anfora e il suo coperchio su un bel piedistallo, i grandi occhi della bambina si erano spalancati brillando tutto il loro azzurro. “E questi bei segni sull'anfora, nonno, cosa vogliono dire?”. “Sono caratteri strani, bambina, che nessuno è mai riuscito a decifrare, ma è certo che nascondono la ricetta di quel profumo misterioso e divino. Il profumo dell'Amore Assoluto”.

 

                                                     Sara Pozzato

 

 

 

 

 

 

 

 


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