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Uranio impoverito. "Fatemi lasciare le consegne" 
Lidia Menapace, già presidente della commissione d'inchiesta, chiede di essere sentita in Commissione Difesa
27 Agosto 2009
 

Durante la breve legislatura mi fu affidata la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito. La non conclusione dei lavori lascia ancora a mezza strada la questione e non sento parlare di rinnovo della commissione stessa.

Prego con insistenza PER FAVORE, poiché non posso pretendere di diritto, di volermi audire davanti alla nuova Commissione o -nelle more della sua non obbligatoria nomina- davanti alla Commissione Difesa, che è permanente e funziona, in modo che possa, per così dire, dare le consegne e spiegare il cammino che ha percorso la Commissione da me presieduta nella scorsa legislatura e la direzione verso cui era indirizzata.

Non intendo minimamente dare la stura ad espressioni scandalistiche e vendicative; già nel corso dei lavori dovetti fronteggiare tenacemente e rifiutare un andazzo di questo tipo, che mi aveva colpito quando la mia elezione alla presidenza della Commissione Difesa fu impedita dal senatore De Gregorio (allora dell'Italia dei valori) il quale affermò addirittura di aver agito così per rispondere all'allarme degli Alti comandi a una mia presidenza. Mi ricordo di aver allora chiesto come mai gli Alti comandi si servissero del senatore De Gregorio come tramite, ma naturalmente non ebbi risposta e mi capitò di commentare autoironicamente: “povera Italia, se gli Alti comandi hanno paura di me!”. L'avvio della nuova Commissione fu abbastanza osteggiato e rallentato all'inizio dall'allora opposizione che ne rese difficile per quanto possibile l'avvio e il completamento e anche dalla allora maggioranza, non essendo chiara -secondo me- la natura di una commissione parlamentare d'indagine.

In breve, riuscii a convincere la Commissione quasi nell'interezza delle sue componenti che l'imputato era l'uranio e che non cercavo colpe, ma prima cause. E che non volevo una decisione di parte, poiché la forma caratteristica di una commissione d'indagine è l'accertamento dei fatti mantenendo la terzietà del giudizio. Ed essendo comunque una Commissione “parlamentare” a mio parere deve essere indirizzata a fornire materiale per legiferare avanti piuttosto che per punire.

Ancora oggi non mi interessa in questa sede la querelle sul numero dei militari morti o ammalati, per due ragioni: che un solo militare morto o ammalato per danni ricevuti dall'aver maneggiato o essere entrato in contatto con uranio impoverito è già uno di troppo e il numero non aggiunge né toglie nulla -sto per dire- all'ingiustizia dei fatti.

Inoltre perché se attraverso precise indagini mediche si scopre che la percentuale di ammalati di forme tumorali specifiche è pari a quella della popolazione nel suo complesso, questo basta già a denunciare una preoccupante gravità del fenomeno. Basta paragonare i dati generali con quelli di una porzione percentualmente contabile e composta di persone giovani, sane, anzi particolarmente prestanti per forza ed efficienza psicofisica, altrimenti non sarebbero accettate a prestare servizio militare volontario, per capire che qualcosa non va.

Su tale servizio ho una opinione molto positiva e considero la formazione di Forze armate di professione un possibile grande passo avanti contro il militarismo e per la democrazia nel servizio militare, opinione che so non diffusa a sinistra, ma che mi caratterizza.

E poiché sono di questa opinione penso che bisogna ascoltare come si definiscono i nuovi militari, cioè “cittadini” in divisa, oppure “cittadini” con le stellette o anche “cittadini” in armi. E sarebbe bene che non si dimenticassero delle cittadine. Insomma se la caratteristica prevalente della loro soggettività è di essere nella cittadinanza, di essa hanno tutti i diritti, anche quello di un sindacato democratico per regolare gli eventuali conflitti che nascessero con la loro Amministrazione e dotato di potere contrattuale per trattare orario salario e regole d'ingaggio della loro professione.

Non credo che la Commissione possa né debba fare ricerca scientifica, non ne ha né il mandato, né le possibilità, né le risorse: quindi mi limitai a chiedere alle centrali della ricerca scientifica pubblica (risparmiando perciò moltissimo denaro, tra l'altro) cioè all'Istituto superiore di sanità, alla Direzione della sanità militare, e ad esperti docenti dì Università di stato che cosa potessero dire sul rapporto tra esposizione all'uranio e patologie, dato che la scienza nel suo complesso afferma di non poter fino ad oggi provare un rapporto diretto causa-effetto tra esposizione e patologie: se dunque potessero escludere un qualsiasi rapporto. Non potevano escludere un qualche rapporto.

Il che è sufficiente per pretendere che alla problematica sia applicato il principio di precauzione e le misure di prevenzione. Accertato che tali principi e misure non siano stati rispettati, scatta la possibilità di chiamare gli eventuali responsabili a risponderne davanti alla giustizia.

Ma chi può agire in proposito? a mio parere se le singole famiglie o i singoli militari fanno causa, si può avere una nuova ingiustizia, perché non tutte le famiglie né i singoli hanno le possibilità economiche, le opportunità territoriali e le condizioni culturali per imbarcarsi in tale percorso e inoltre ogni processo vale per sé e non costituisce titolo di diritto per estendere le sue conclusioni ad altri casi.

Occorre dunque che il Sindacato dei militari abbia un Patronato che possa agire delle Class action, le cui conclusioni valgano, per usare terminologia sindacale, “erga omnes”. A questo punto la Commissione potrebbe dire di aver concluso il suo lavoro in modo proficuo.

 

Lidia Menapace


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