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Il mio viaggio dalla Nigeria fino all’Italia 
Una lettera di frontiera da una scuola di frontiera
La mappa del viaggio di un altro nigeriano (Boris, oggi trentenne) nel 2014
La mappa del viaggio di un altro nigeriano (Boris, oggi trentenne) nel 2014 
28 Marzo 2021
 

Sono tante, le scuole di frontiera.

Anche se, magari, sono situate in piazzale Loreto, a Milano.

Come il CIA “A. Manzoni”, un istituto superiore del Comune che con i suoi bienni di recupero diurni e serali si batte contro la dispersione scolastica e per avvicinare al diploma chi riprende gli studi dopo anni di interruzione. Ma anche per favorire l’integrazione: oltre il 30% dei quattrocento iscritti al CIA, infatti, sono cittadini non italiani, provenienti da quattro continenti su cinque e da trenta Stati del mondo.

Questa lettera è stata letta a conclusione dell’iniziativa “Siamo tutti milanesi. Da migranti a cittadini che si è tenuta on line il 25 marzo scorso. L’autore, uno studente del CIA che si trova in Italia con un permesso di carattere umanitario, ha autorizzato a pubblicarla proprio perché la sua esperienza possa essere condivisa dalla maggior parte di persone possibili e perché potrebbe magari servire ad altri ragazzi nella sua situazione. (M.R.)

 

 

Ho 21 anni e oggi vi voglio raccontare il mio viaggio dalla Nigeria fino all’Italia.
Nel mio Paese ho frequentato le Superiori fino ai 15 anni e dopo ho cercato un modo di proseguire la mia educazione perché volevo andare all’università ma non sono riuscito per problemi economici. Stavo con i miei genitori che provavano a trovare un modo di vivere senza soffrire la fame, ma non era facile. E allora ho deciso di lasciare il mio paese, la sua insicurezza e povertà.
Il 28 Gennaio 2016 avevo 16 anni e sono partito per andare in Libia, ma prima di arrivarci bisogna attraversare alcuni paesi e un deserto. Dopo la Nigeria sono arrivato a Niger dove ho sofferto tanto perché avevo pagato i soldi del viaggio solo fino a lì e ci sono rimasto per quasi un mese.
In Niger ho provato a parlare arabo perché non è che tutti parlano inglese lì. Per fortuna ho trovato un signore di un autolavaggio e mi ha messo con i suoi altri lavoratori. Lui mi ha anche detto che aveva un fratello che viveva in una regione della Libia e mi ha chiesto se ero interessato e la mia risposta è stata sì perché il mio sogno era di andare in Libia.
Quando sono arrivato nel deserto di Sahara era marzo e durante questo periodo il deserto di notte è molto freddo e di pomeriggio è molto caldo. Ho trascorso sei giorni lì, e sono stato fortunato perché ci sono altre persone che fanno due settimane prima di arrivare in Libia.
Nel deserto abbiamo visto un uomo che correva da solo. Era lontano da noi e l’autista del nostro camion (dove eravamo in 23) è sceso e ha lasciato del pane e dell’acqua in terra, poi è risalito sul camion. Se non lo avessi visto con i miei occhi e qualcuno me lo avesse detto non ci avrei potuto credere mai.
Poi l’autista ci ha detto che quella persona che stava correndo era già morta e lui ha lasciato il cibo in terra non per lui ma come sacrificio al deserto. Ci ha detto che lui vede sempre delle persone che corrono e che piangono nel deserto, e sente le loro voci.
Noi abbiamo avuto paura durante tutto il viaggio, perché era una cosa strana per me e per loro, mi sembrava un film ma era la realtà.
Nell’ultimo giorno nel deserto prima di arrivare nella prima regione in Libia, ho visto gli scheletri delle persone che sono morte per colpa della fame e della sete. Oppure per qualche caduta dal camion, anche il nostro camion ha quasi avuto un incidente. Per fortuna Dio ha salvato la mia vita e quella delle altre persone.
Arrivato in Libia, nella città di Saba, ho chiamato il numero che il mio ex titolare mi aveva dato e suo fratello è venuto a prendermi. Ho lavorato con lui per tre mesi prima di essere arrestato.
Il problema è questo: in Libia non importa se tu hai fatto qualcosa o no, ma che tu sei uno straniero. Ci sono anche egiziani, algerini, gambiani, senegalesi, nigeriani, ghanesi, somali, etiopi..
I libici ci sono dei gruppi che si comportano come mafiosi, ti arrestano e poi ti chiedono soldi se no ti sparano o ti vendono ad altre persone che uccidono. Così fanno in Libia. Mi hanno arrestato sulla strada, quando ho finito di lavorare e stavo andando a casa con la bicicletta.
Sono stato in prigione per un mese senza vedere il sole. Poi quando il mio datore di lavoro ha aggiunto altri soldi per la mia libertà, mi hanno lasciato andare.
Lui mi ha detto che era meglio per me lasciare la Libia in quella settimana altrimenti mi avrebbero potuto riprendere e per lui sarebbe stato difficile pagare un’altra volta. Quando me lo ha detto, sono scoppiato a piangere.
Lui mi ha portato con la sua macchina sul mare mediterraneo dove ho visto tante persone che stavano per partire con la barca. Avevo tanto paura perché sapevo che tanti africani che partono dalla Libia per venire verso Malta e l’Italia muoiono dentro il mare se la barca si rompe. Stavo piangendo più forte ma il mio titolare mi ha detto di non avere paura che magari potevo arrivare in Italia senza incidenti. Finalmente è arrivata la barca su cui dovevano entrare 90 persone. Mi hanno messo dentro con le altre 89…
Credimi, l’unica cosa che ho fatto è pregare Dio... e perdonami Dio per tutte le cose che non sopporti in me, che se muoio oggi portami nel tuo paradiso...
Siamo partiti alle 8 di sera e la mattina dopo eravamo nella mezzo di mare dove abbiamo visto una nave che si chiama OpenWave, una nave di spagnoli.
Grazie a Dio ci hanno aiutato a salire nella loro barca e dopo una nave italiana è arrivata a prenderci e così io sono arrivato in Italia. Grazie a Dio e grazie agli europei, alla Spagna e all’Italia che ci ha salvato la vita. (Lettera firmata al CIA "A. Manzoni")

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