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Due religioni meglio di una?
28 Marzo 2006
 

C’è movimento, nelle alte sfere, sul destino dell’ora di religione nelle scuole.

I privilegi accordati all’insegnamento della religione cattolica (insegnanti pagati dallo stato e immessi di ruolo a spese del contribuente, testi gratuiti, programmi certi) sono ormai palesemente stridenti non solo con i principi costituzionali di laicità delle istituzioni dello stato, ma anche con la realtà sociale multietnica e multiculturale, maturata ormai anche nelle zone tradizionalmente più isolate, come la Valtellina. Qualcosa si muove, se è stato proposto recentemente l’insegnamento a scuola della tradizione coranica accanto a quella biblica, e se le alte sfere vaticane hanno dichiarato il proprio consenso. Anche nella sinistra si sono levate voci favorevoli (abbiamo letto Luigi Mancuso su L’Unità).

Ma riflettiamo: la strada della duplicazione dell’insegnamento religioso (cattolico per cattolici, islamico per islamici) è la strada del duplice confessionalismo, cioè del doppio privilegio e del doppio diniego a tutte le altre concezioni religiose e filosofiche, che non assumerebbero pari dignità nel contesto scolastico.

Viceversa, nella scuola che vogliamo si deve parlare delle religioni, della loro storia e del loro punto di vista, ma considerate “dal di fuori”, tutte sullo stesso piano, lontano dall'ombra di simboli religiosi.

Non ritengo che abbia senso creare una specifica materia di insegnamento, a meno che non si intenda riciclare gli attuali insegnanti di religione, recentemente immessi in ruolo: certo farebbe comodo, in un’ottica oscurantista, che fossero proprio questi insegnanti scelti dalla curia arcivescovile a parlare di religioni, naturalmente in modo obiettivo…

La presentazione corretta del fenomeno religioso è invece interdisciplinare, con forti connotati storici e letterari oltre che, dove possibile, filosofici. Un vero banco di prova per l’attuazione dell’approccio interdisciplinare alla conoscenza e per la realizzazione di una scuola laica per l’educazione alla cittadinanza.


Giancarlo Sensalari


 
 
 
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