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Gianfranco Cordì: Le “piste” di Platone. Per studenti e lettori di filosofia
03 Ottobre 2008
 

1. Un uomo cammina lungo una strada. Si tratta di una via poco accidentata e diritta. L’uomo cammina non voltandosi mai indietro.

L’uomo cammina lasciando, sul terreno, delle impronte.

A ogni passo un’orma, ad ogni movimento un segno, una traccia, un ricordo, qualcosa.

L’uomo cammina con passo sicuro avendo sempre nella mente un traguardo da raggiungere, una meta da arrivare, un fine al quale tendere.

La strada dell’apprendimento è costellata di alti e di bassi.

Ma l’anima deve separarsi dal corpo e procedere, attraverso il ragionamento, verso il regno delle Idee. Verso l’essere.

Occorre lasciare il generato, il mutevole, il divenire e (grazie allo studio della disciplina della matematica) giungere a ciò che è necessario resti sempre nella medesima condizione.

Ad ogni passo di questo itinerario verrà lasciata un’impronta.

Il fine della strada dell’apprendimento è l’istruzione, la cultura, lo studio appunto.

L’essere è comune a tutte le cose. Ogni cosa non è che una copia del vero essere che è comune a tutte le cose.

Ogni cosa non è che una copia dell’Idea che ne è il modello intelligibile.

Ogni impronta, ogni orma, è un numero.

Occorre esercitarsi con i numeri; occorre coltivare la matematica per ascendere al Bene; per arrivare all’Uno che è il massimo possibile di conoscenza.

La strada dell’apprendimento è la strada della conoscenza, infatti.

E il massimo possibile di conoscenza è la contemplazione dell’Idea del Bene.

Alla fine di tutto il percorso quell’uomo giunge al «suo».

Io arrivo al «mio», tu arrivi al «tuo».

Questo «suo» è la cultura; la «propria» cultura. La conoscenza che è stato capace di raggiungere. L’uomo cammina lungo la strada dell’apprendimento.

Ciò che è necessario resti sempre nella medesima condizione è ciò che solo  è pienamente conoscibile.

Ciascuna Idea, però, è una e identica in tutte le cose.

Solo ciò che pienamente è risulta pienamente conoscibile.

Ciascuna Idea è pienamente.

Ciascuna Idea offre uno stadio di conoscenza. I diversi passi lungo la strada dell’apprendimento. L’Idea del Bene/Uno rappresenta lo stadio finale. Il traguardo.

Lungo la strada tante cifre.

Rispettivi segni della scienza matematica che ha condotto al traguardo quell’uomo.

L’essere se ne sta nell’Iperuranio.

L’idea del Bene è superiore all’essere.

L’idea del Bene è la cultura pienamente raggiunta, l’istruzione andata a effetto.

E solo l’intelligenza e il ragionamento sono utili per intraprendere il cammino.

  

2. «Vedi un po’ se non ti sembri necessario che tutto ciò che è santo sia giusto» dichiara Socrate nell’ Eutifrone. Ma non solo. Anche tutto ciò che è saggio, anche tutto ciò che è temperante, anche tutto ciò che è coraggioso sono il giusto.

Dalle Leggi: «ATENIESE- Ad esempio, abbiamo detto che esistono quattro tipi di virtù, e il fatto che siano quattro implica che ciascuna di esse sia una. CLINIA- Non c’è dubbio. ATENIESE- Ecco perché diamo loro un unico nome. Il coraggio, infatti, lo chiamiamo virtù, e così pure la saggezza. Lo stesso può dirsi delle altre due di modo che, nel complesso, esse non sono per noi molteplici, ma una sola cosa: appunto, la virtù». Una è la virtù. Quattro ne sono le parti.

La virtù è anche qualcosa disposto con ordine e regolato.

Qualcosa che ha a che vedere con la misura.

«Non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene» ed il vivere bene è lo stesso che il vivere con virtù e con giustizia.

Che cos’è la giustizia, dunque?

 «Il giusto consiste nel restituire ciò che è dovuto» afferma Polemarco nella Repubblica. Oppure: «Il giusto consiste nel beneficiare l’amico quand’egli sia buono e nel recar offesa al nemico quando sia malvagio», dice Socrate nello stesso dialogo.

Trasimaco, invece: «Io ritengo che il giusto non sia altro che l’interesse del più forte». Ma in verità, annuncia Socrate: «La giustizia è una forma di sapienza e di virtù». Giustizia è anche fare ciò che a ognuno tocca e restituire ciò che è dovuto. Occorre inseguire sempre la giustizia e rifuggire dall’ingiustizia e dalla malvagità.

Il cammino di quell’uomo ha per meta la virtù e la giustizia.

E nel Fedone leggiamo che «Allora, l’anima non ragiona forse nel modo migliore, quando nessuno di questi sensi la turbi, ne la vista, né l’udito, né il piacere, né il dolore, ma quando si raccolga il più possibile sola in se stessa, lasciando il corpo, e, rompendo il contatto e la comunanza col corpo nella misura in cui può, si protenda verso l’essere?».

Due sono le realtà che ci è dato conoscere: quella sensibile e quella intelligibile.

L’anima deve lasciare il corpo per protendersi verso l’essere; verso la realtà intellegibile: quella che sola può cogliersi tramite il ragionamento.

Questa è la forma di giustizia  propria dell’anima.

 

3. Infatti, dice ancora Platone: «Sembra che ci sia un sentiero che ci porta, mediante il ragionamento, direttamente a questa considerazione: fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato quello che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità».

E inoltre, aggiunge: «E precisamente questo è il compito dei filosofi: sciogliere e separare l’anima dal corpo». Il sentiero di Platone è appannaggio dei soli veri filosofi che, unici, possono liberare l’anima dai propri vincoli materiali.

E ciò al fine di raggiungere la vera conoscenza, la somma giustizia e la verità.

Al culmine del sentiero ci stanno le Idee.

Sempre nel Fedone Platone afferma: «Diciamo noi che esiste un uguale? Non intendo un uguale come legno a legno, né come pietra a pietra, né nulla di simile, ma intendo un uguale che è al di là di tutte queste cose uguali e che è qualcosa di diverso: l’uguale in se».

Ciascuna Idea è una e identica nello stesso tempo ed in tutte le cose.

Le Idee quindi esistono in sé e separate.

Gli oggetti materiali sono copie delle idee.

Nella realtà sensibile le Idee sono contenute come modelli.

Esiste perciò l’uguale in se, il bello in se, il buono in se.

Tutti gli uomini buoni che possiamo incontrare nella nostra vita partecipano dell’Idea di Bene.

In verità, dice Simmia a Socrate: «Il bello, il buono e le altre cose di cui prima dicevi, sono realtà nel più alto grado possibile».

E il più alto grado possibile è quello che è proprio dell’intelligenza.

Interrogando Cebete, ancora Socrate dichiara: «La realtà in se, quella del cui essere diamo spiegazione facendo domande e dando risposte, si trova sempre nelle medesime condizioni, o a volte in un modo e a volte in un altro? L’uguale in se, il bello in se e ciascuna cosa che è in se, insomma l’essere può mai subire mutazione alcuna, di qualsiasi genere?... “E’ necessario, o Socrate, che rimanga sempre nella medesima condizione”, rispose Cebete».

L’essere è al di là di ogni oggetto, al di la della realtà sensibile, al di là di ogni cosa.

Oltre la materia ci sono le Idee.

L’anima lascia il corpo per portarsi nel luogo in cui sono le Idee: l’Iperuranio.

 «Mentre queste cose mutevoli tu le puoi vedere o toccare o percepire con gli altri sensi corporei, quelle, invece, che permangono sempre identiche non c’è altro mezzo di coglierle, se non col puro ragionamento della mente, perché queste cose sono invisibili e non si possono cogliere con la vista».

L’anima deve sciogliersi dal materiale perché l’anima è più simile a ciò che è immutabile rispetto a ciò che è mutabile.

Rispetto a ciò che diviene.

«L’anima assomiglia a ciò che è divino e il corpo a ciò che è mortale».

Inoltre: l’anima preesiste al copro.

Nelle parole dello stesso Platone: «L’apprendimento è reminiscenza, e che, dal momento che è così, è necessario che la nostra anima si trovi in un altro luogo, prima di essere legata al corpo». Ora, «Ciascuna delle Idee esiste, e che tutte le altre cose partecipano delle Idee e prendono il nome dalle Idee».

Ogni oggetto materiale prende il nome dall’Idea a questo corrispondente.

Tutte le cose belle sono belle per il Bello in se.

L’anima del filosofo, camminando attraverso il sentiero di Platone, deve ascendere alle Idee.

Al bello in se, al buono in se, all’uguale in se. Solo l’anima del filosofo, attraverso il ragionamento della mente, può avere accesso a questo mondo Iperuranio.

Le tracce che l’anima lascerà durante questo suo percorso sono dei numeri.

Suprema disciplina dell’umana educazione è infatti la matematica.

Questi numeri saranno il «mio», il «tuo», il «suo» che ogni anima raggiunge lungo questa strada. Una strada che è la via maestra della conoscenza.

 

4. Il Cratilo afferma: «Il nome, allora, è uno strumento per insegnare e per distinguere l’essenza, come per la spola il tessuto».

L’essenza delle cose nominate dal nome è la loro qualità. Il loro essere. Il loro essere Idea che è in sé.

Socrate è un personaggio particolare nei dialoghi platonici.

Egli, nel Teeteto afferma: «La mia arte di ostetrico possiede tutte le altre caratteristiche che competono alle levatrici ma ne differisce per il fatto che fa da levatrice agli uomini e non alle donne, e che si applica alle loro anime partorienti, e non ai corpi. E questo c’è di assolutamente grande nella mia arte: l’essere capace di mettere alla prova in ogni modo se il pensiero del giovane partorisce un fantasma ed una falsità, oppure un che di vitale e di vero: poiché questo, almeno, è comune a me ed alle levatrici: non posso generare sapienza; quello che già molti mi hanno rinfacciato, che io, si, interrogo gli altri, ma poi io stesso non manifesto nulla su nessun  argomento, adducendo come causa il mio non essere sapiente in nulla, è un rimprovero che risponde a verità. La causa di ciò è questa: il dio mi costringe a far da levatrice, ma mi ha proibito di generare».

Lungo la strada dell’anima verso l’Idea del Bene Socrate si pone come un tafano, come una piccola bestia che pungola l’anima.

In altri luoghi Platone descrive Socrate come una torpedine marina che intorpidisce colui al quale pone le sue domande.

Una bestia che pungola e, maieuticamente, fa partorire la verità ai suoi interlocutori.

Un tafano che conduce alla vera conoscenza. Naturalmente: solo le anime dei veri filosofi.

Ancora nel Teeteto leggiamo della condizione di vita in cui si vengono a trovare costoro.

Socrate dice: «I veri filosofi, credo, per prima cosa, fin da giovani non conoscono la strada che porta alla piazza, né dove si trovi il tribunale o il palazzo del Consiglio o qualche altra sede di riunioni pubbliche della città: leggi e decreti, orali e scritti, né vedono né sentono. Intrighi di eterie per cariche pubbliche, e convegni e pranzi e festini con suonatrici di flauto, neppure per sogno viene loro in mente di fare».

Infatti, del vero filosofo «E’ solo il suo corpo che si trova nella città e vi risiede, mentre la sua mente, giudicando tutte queste cose di scarso, anzi, di nessun valore, non le stima per niente e se ne vola dappertutto, come dice Pindaro sotto la terra, misurando le superfici come un geometra, studiando gli astri lassù nel cielo ed esplorando da ogni parte l’intera natura delle cose esistenti, di ciascuna nella sua interezza, senza abbassarsi a nessuna di quelle che gli stanno vicino».

Solo il vero filosofo, attraverso la matematica, perviene al ragionamento.

E può così attingere alle realtà del mondo intellegibile. Alle Idee in sé.

All’essere che sempre era, è e sarà.

Nella Repubblica Socrate propone: «Orbene… progettiamo un modello teorico di una città a parteire dalle sue fondamenta; e come appare chiaro, a costruire questa città saranno proprio i nostri bisogni».

Questa città saarà popolata da tre classi sociali.

I Custodi sono «Quelle determinate nature che siano adatte alla difesa della città». Poi ci sono i sudditi e infine i governanti.

Platone, a questo punto, è categorico. «Non ci sarebbe tregua dai mali nelle città, né forse neppure nel genere umano, e direi di più, quella stessa costituzione che andiamo delineando non metterebbe radici fra le cose possibili né vedrebbe la luce del sole se prima i filosofi non raggiungeranno il potere negli Stati, oppure se quelli che oggi si arrogano il titolo di re e di sovrani non si mettessero a filosofare seriamente e nel giusto modo, sì da far coincidere nella medesima persona l’una funzione e l’altra – ossia il potere politico e la filosofia – e da mettere fuori gioco quei molti che ora perseguono l’una cosa senza l’altra».

Solo il vero filosofo percorre il sentiero di Platone. Il sentiero che conduce all’essere.

«E’ soprattutto l’essere che è comune a tutte le cose» leggiamo nel Teeteto.

Ma ciò che è «comune a tutte le cose» è l’Idea.

La fine del sentiero lascia intravedere, per il vero filosofo, il bello in se, il buono in se, l’uguale in se ecc.

Ma questa appropriazione può avvenire solamente, sempre per il vero filosofo, soltanto mediante l’intelligenza.

Un intelligenza che dovrà essere coltivata attraverso la matematica.

E che lascia impronte in forma di numeri lungo tutto il sentiero.

      

5. Per quanto riguarda la materialità Platone avverte: «Non è in queste impressioni sensibili che c’è scienza, bensì nel ragionamento su di esse: infatti è in questo che è possibile, come pare, toccare l’essere e la verità; in quelle, invece, è impossibile».

Lo studio (movente del camminare di quell’uomo lungo il sentiero di Platone) è scienza.

Scienza dialettica.

«STRANIERO- Il dividere per generi e non ritenere diversa una Forma che è identica, né identica una Forma che è diversa, non diremo che è proprio della scienza dialettica? TEETETO: Si, lo diremo».

Socrate ammette di usare sia l’arte del dividere che quella dell’unificare.

Lo studio (meta del cammino lungo il sentiero di Platone) è l’arte della suddivisione.

Arte che scaturisce dalla scienza dei numeri, le orme lasciate lungo la strada dall’uomo che sta camminando.

Sempre lo «STRANIERO- ma questa capacità dialettica, tu non l’attribuirai a nessun altro, se non a colui che filosofa in modo puro e giusto». L’anima del filosofo è quella che abbandona il corpo al sensibile. Ma c’è anche un altro sentiero. Chiede un nuovo Straniero a Socrate il giovane nel dialogo che porta il titolo di Politico : «Da che parte, dunque, si troverà il sentiero della politica?». Sulla strada del tessitore e della sua arte.

«Diciamo, allora che questo è il compimento del tessuto, rettamente intrecciato, dell’azione politica: quando l’arte regia prende il carattere degli uomini valorosi e quello degli uomini temperanti, e, conducendoli alla vita comunitaria in concordia e in amicizia, realizzando il più sontuoso e il più prezioso di tutti i tessuti, e avvolgendo tutti gli altri, schiavi e liberi, li tiene insieme in questo intreccio, e governa e sovrintende, senza trascurare assolutamente nulla di quanto si addice ad uno stato felice». L’uomo valoroso e temperante deve avere nel carattere il culto della politica.

Ma l’uomo valoroso e temperante è l’uomo virtuoso.

Quattro sono le parti della virtù: coraggio, temperanza, saggezza e giustizia.

Quattro parti di un oggetto che è unico. La virtù dunque deve essere politica. Questa è la sua Idea. Il sentiero della politica porta all’Idea della virtù.

E nel Parmenide leggiamo: «Come il giorno uno e identico è presente contemporaneamente in molti luoghi e non è affatto separato da sé, così anche ciascuna delle Idee sia una e identica nello stesso tempo in tutte le cose».

L’essere è sempre identico a se medesimo. «Le Idee stesse sono divisibili e le cose che ne partecipano partecipano di una parte, e in ogni oggetto non ci sarà più un’intera Idea, ma una parte». Questo per quanto riguarda il mondo sensibile.

Nel mondo intellegibile c’è il bene. Nel Filebo Socrate dice: «Invece, la nostra obiezione è che il bene non consiste in ciò; ma che il pensare, l’avere intelligenza ed il ricordare, e poi le attività a queste affini, opinione retta e ragionamenti veri, sono più convenienti e più desiderabili del piacere, almeno per tutti quegli esseri viventi che sono in grado di prendervi parte».

L’Uno/Bene «E’ un tutto ed ha parti» afferma il Parmenide.

Per questo esso è presente in ogni singola parte dell’essere ed è, nello stesso tempo, superiore all’essere.

Il culmine del sentiero di Platone è l’Uno/Bene.

L’Idea del Bene.

Come si dice nella Repubblica: «Nel mondo delle realtà conoscibili l’Idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltà». Essa è «La causa universale di tutto ciò che è buono e bello».

Platone annuncia «Che l’Idea del bene sia la conoscenza massima, servendosi della quale le cose giuste e le altre diventano utili e giovevoli».

Lo studio in cui consiste il cammino lungo il sentiero di Platone conduce a diverse conoscenze. Quella del Bene è la maggiore.

La dialettica deve recare ad essa il vero filosofo.

Che lascerà lungo il tragitto le orme dei numeri.

«Se l’uno non è, niente è» dice il Filebo.

«E allora, io credo, questa è la cosa più necessaria da dire sul bene: ogni essere dotato di coscienza ne va in caccia e lo insegue, poiché vuole afferrarlo e impadronirsene, e delle altre cose non si cura per niente, tranne di quelle il cui compimento implica dei beni».

«In ogni modo, dunque, proclamerai, Protarco, mandandolo a dire per mezzo di messaggeri e dicendolo tu ai presenti, che il piacere non è il primo bene da acquistare e neppure il secondo, ma che il primo, in qualche modo, riguarda la misura, il misurato e conveniente, e tutto quanto di simile biosgna pensare che abbia la natura dell’eterno».

Quel bene che «riguarda la misura» è l’Uno.

L’Uno «Non è altro che una certa scienza» si dice nell’ Eutidemo.

Quella scienza di ciò che è «Misurato e conveniente».

E quella scienza che si acquisisce al termine dello studio lungo il cammino dell’apprendimento.

Nel Protagora leggiamo che «Tutta la vita dell’uomo ha bisogno di equilibrio e di armonia».

E cioè di «misura».

Nel Gorgia Socrate chiede a Callicle: «E allora  sei anche tu d’accordo su questo: che il fine di tutte le azioni è il bene, e che per esso bisogna fare tutte le altre cose e non invece esso per le altre?». E nel Menone: «Solo con la guida della scienza gli uomini compiono le loro azioni rettamente e bene».

Scienza che sarà frutto del retto ragionamento.

E nel Menesseno: «Ogni scienza… quando è disgiunta dalla giustizia e dalle altre virtù, non è sapienza ma astuzia». La scienza non è disgiungibile dalla virtù, che è sempre una.

Grazie alla virtù si può raggiungere la scienza. E grazie alla scienza si può attingere il Bene.

 

6. E’ «Ridicolo curarsi di ogni altro bene, e non dell’anima» afferma Socrate nel Clitofonte.

Il vero filosofo deve aver cura solo della propria anima.

Sempre Socrate, nella Repubblica, chiede: «Quale sarà, Glaucone, quella disciplina che trascina l’anima dalla sfera del divenire a quella dell’essere»?

Quale sarà quella disciplina che conduce quell’uomo che sta camminando lungo il sentiero di Platone a liberarsi del fardello corporeo e ad attingere alle Idee?

E’ «Il saper distinguere l’uno dal due, dal tre: insomma il saper numerare e fare di conto».

E’ la matematica a far si che lo studio nel cammino dell’apprendimento possa condurre (lasciando orme di numeri per la via) alla scienza del mondo intelligibile, alla contemplazione delle Idee e, quindi, all’Idea del Bene che è appunto Uno.

Ovvero: «Allo stesso modo, come essa è giunta al vertice del sensibile, così uno può giungere fino al vertice dell’intelligibile solo quando, per mezzo del procedimento dialettico e prescindendo totalmente dall’apporto delle sensazioni, incomincia, con la sola forza della ragione, a tendere a ciò che è l’essere  di ciascuna realtà, senza cedere mai, almeno finché non ha colto con la pura intelligenza l’essenza stessa del bene».

Ai Custodi della città ideale fondata da Socrate «La scienza dei calcoli, la geometria e tutte le discipline propedeutiche che devono precedere la dialettica, bisogna che siano insegnate fin dalla più tenera età senza però fissarle in uno schema rigido che sia imposto obbligatoriamente».

La matematica sarà propedeutica alla dialettica. Per questo lungo il sentiero rimangono delle impronte.

E solo «Chi sa vedere l’insieme è dialettico, chi no no». Per questo lo studio deve essere condotto con l’intelligenza.

 

7. Infatti nel Timeo è scritto che «Che cos’è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos’è ciò che si genera perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è concepibile con l’intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale, perché si genera e perisce, e non è mai pienamente essere».

E nell’ Epinomide, Clinia si chiede «Per quale scienza un uomo possa essere sapiente».

L’ateniese risponde poco dopo che essa è «Quella disciplina che ha dato all’umanità intera il numero». La matematica rende sapienti. Fa raggiungere la meta di tutto il cammino dell’apprendimento. Ma ciò la può solamente la filosofia.

Perché è detto nella Settima Lettera: «In tal modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia».

 

 

Gianfranco Cordì


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