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Yoani Sánchez. Shangai. Il gioco cinese in versione cubana
15 Giugno 2008
 

Dal blog Generación Y

12 Giugno 2008

 

 

La mano

que lanza los palitos

Como en uno de esos juegos de palitos chinos, donde un mazo de finas varillas de colores es lanzado desde lo alto, así hemos sido arrojados mis colegas y yo sobre el enorme tablero de este globo terráqueo. Los que estudiamos en la misma aula, intercambiarnos ideas o compartimos proyectos, ahora podríamos hacer una red de filólogos -graduados en la Universidad de La Habana- dispersos por el mundo.

Marlen, la matancera, vive en la otra orilla y hace su doctorado; mientras Nelson –quien fuera el primer expediente de su graduación- ya lleva casi seis años en Estados Unidos. Del poeta José Félix, sé que cantaba con una guitarra en los bares de España y Walfrido -avezado en la semántica- está con su novia en Madrid. Muchos de los alumnos de años anteriores al mío, como Sahily y Yamilé, llevan su vida en la Gran Manzana o en algún país de Latinoamérica. La lista de los emigrados coincide, salvo raras excepciones, con la matrícula que en mis años de estudio tenía la Facultad de Artes y Letras.

El palito chino que soy yo ha dado sus tumbos de un continente a otro, pero una alocada fuerza gravitacional terminó por regresarlo a su origen. Eso sí, sin resentimiento a los que cayeron lejos. A todos, un montón de circunstancias nos tiró de aquí para allá. “La mano que lanza los palitos” fue en el caso de algunos las necesidades económicas, la falta de expectativas o la simple imposibilidad de seguir compartiendo el mismo techo con los padres y los abuelos. A otros, nos llevó al exilio la asfixia ante la falta de libertades, las ganas de gritar en una esquina, aunque nadie nos oyera.

Haber perdido a todos esos lingüistas, críticos de arte y escritores, está en la categoría de daño irreversible para la cultura cubana. Sin embargo, no escucho en los congresos de cultura, en las reuniones de la UNEAC y mucho menos en las tribunas políticas, las necesarias frases de pesar por la escapada en masa de mis colegas. Ninguna mano parece estar dispuesta a volver a unir a todos los “palitos”, a proporcionarles a estos “filólogos en fuga” la posibilidad de tener su propio techo, de cumplir aquí sus sueños profesionales o de gritar –con libertad- en todas las esquinas.

 

Yoani Sánchez

 

 

La mano che lancia i bastoncini

Come in uno di quei giochi con i bastoncini cinesi, dove un mazzo di fini bacchette colorate viene lanciato dall’alto, allo stesso modo, io e i miei colleghi siamo stati scagliati sull’enorme tavola di questo globo terrestre. Noi che studiammo nella stessa aula, scambiandoci idee e condividendo progetti, ora potremmo costituire una rete di filologi - laureati all’Università dell’Avana - sparsi per il mondo.

Marlen, la matanzera, vive nell’altra sponda e fa il suo dottorato; mentre Nelson - che è stato il migliore del suo corso di laurea - già sono quasi sei anni che vive negli Stati Uniti. Del poeta José Félix, so che cantava con una chitarra nei locali di Spagna e Wylfredo - abituato alla semantica - vive con la sua fidanzata a Madrid. Molti allievi degli anni anteriori al mio, come Sahily e Yamilé, conducono la loro vita nella Grande Mela o in qualche paese latinoamericano. La lista degli emigrati coincide, salvo rare eccezioni, con il numero di matricole che aveva la Facoltà di Arti e Lettere durante i miei anni di studio.

Il bastoncino cinese che sono io ha tirato avanti con difficoltà da un continente all’altro, però una sconsiderata forza di gravità ha finito per farlo tornare alla sua origine. Questo sì, senza risentimento verso coloro che caddero lontani. A tutti, una serie di circostanze ci gettò da una parte all’altra. “La mano che lancia i bastoncini” fu nel caso di alcuni la necessità economica, la mancanza di aspettative o la semplice impossibilità di continuare a dividere lo stesso tetto con i genitori e i nonni. Altri scelsero l’esilio a causa dell’asfissia prodotta dalla mancanza di libertà, la voglia di gridare in un angolo di strada, pure se nessuno ascolta.

Aver perso tutti questi linguisti, critici d’arte e scrittori, rientra nella categoria del danno irreversibile per la cultura cubana. Tuttavia, non sento nei congressi di cultura, nelle riunioni dell’UNEAC e ancor meno nelle tribune politiche, le necessarie frasi di dispiacere per la fuga in massa dei miei colleghi. Nessuna mano sembra essere disposta a cercare di far tornare uniti tutti i “bastoncini”, a fornire a questi filologi in fuga la possibilità di avere un loro tetto, di compiere qui i loro sogni professionali o di gridare - con libertà - in tutti gli angoli delle strade.

 

Traduzione di Gordiano Lupi

 

 

Nota del traduttore: Nello steso giorno in cui Yoani Sánchez parla di libertà, di sogni, di aspettative tradite e di cercare di far rientrare a Cuba tante intelligenze perdute, il governo annuncia un’altra misura economica innovatrice. Raúl Castro aveva già stupito con i telefonini per tutti, gli elettrodomestici, gli alberghi per cubani e le operazioni di cambio sesso. Oggi fa di più. Elimina l’uguaglianza salariale, ricordo di uno Stato comunista, e dice che d’ora in poi sarà premiata la produttività dei dipendenti statali. Il viceministro dei Trasporti e della Sicurezza sociale, Carlos Mateu, ne parla sul Granma, precisando che lavoratori e manager potranno godere di bonus e incentivi. Sembra una piccola rivoluzione, che potrebbe far nascere una classe media in grado di accumulare ricchezze, visto che lo slogan lavorare di più, guadagnare di più sta prendendo campo. Una nuova riforma da verificare, perché non si sa ancora come saranno concessi gli aumenti salariali e soprattutto in quale moneta verranno pagati. I cubani che dispongono di denaro (di solito illecito o come rimessa da parenti emigrati) possono comprare cellulari, dvd, computer e altri oggetti elettronici, andare a dormire in un hotel riservato ai turisti e persino sfruttare un terreno pubblico non coltivato. Un cubano può anche cambiare sesso, se lo desidera. Paga lo Stato. Resta senza risposta la forte domanda di Yoani: perché un cubano non può essere libero di gridare la sua opinione a un angolo di strada? Solo quando Raúl e i suoi collaboratori avranno risposto in maniera esauriente a questo interrogativo potremo nutrire speranze di una vera riforma economico-sociale. (Gordiano Lupi)


 
 
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