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Marina Pizzi: Miserere asfalto (afasie dell’attitudine). Prima parte
Georges Rouault: Miserere
Georges Rouault: Miserere 
29 Aprile 2008
 

Ci sono poeti che crescono e scrivono nella ferita che subì Dino Campana. Ferita che te la imprime la Natura che «a comun danno impera», ma che per i poeti può essere qualcosa che non si rimargina più, dalla nascita, e sta lì tra il silenzio e la parola scritta; ferita che anche i gruppi intellettuali, che mediano tra editoria e mestiere letterario, tra critica e pubblicazione, possono farti, oggi come ai tempi di Soffici con Dino il folle; non ti smarriscono il manoscritto, ma eludono la tua ferita, rubricano la tua bizzarria a biografia poco comprensibile, sminuzzano la produzione o non la custodiscono con la cura necessaria. Gli eredi di Soffici stanno nell’editoria, nelle università, e anche in alcuni blog-siti. Appartengono ad un'altra fascia, più fortunata, di poeti. Quelli che non solo sono poeti, ma anche intellettuali. Sanno riflettere di poetiche, tendenze, evoluzione della letteratura. Sono necessari anch’essi, ma chi è cresciuto nella ferita di Dino Campana con loro non ha scampo. Non viene compreso. Logica contro selvaticheria. Razionalità nel metro lirico contro magma e caos. Buone entrature tra gli addetti ai lavori contro goffaggine e introversione; intesa col sopracciglio mosso contro fastidiosa questua per pubblicazioni; bon ton nelle apparizioni, anche web, contro sgregolatezza e crisi.

 

Il ferito dalla poesia, anche mortalmente nei nervi, può fare, però, come Alda Merini: diventare un “personaggio” allora sì! che ti stampano e ti coccolano. Ma non so se la poesia ci guadagni. Davvero non lo so.

 

Le vie d’uscita sono veramente poche. Nell’editoria come sulla Rete.

TELLUSfolio è uno dei pochi luoghi dove questa ferita viene accolta. Accettata così com’è. Senza vocazione a spiegarla. Con l’avvertenza ai lettori-navigatori che questa è Poesia allo stato puro. Con tutti i rischi di spinosità e le bellezze, anche accecanti, del caso.

 

In questa cornice pubblichiamo e custodiamo la scrittura poetica di Marina Pizzi. Miserere asfalto, che verrà pubblicato integralmente, è un diario in progress. Alcune parti compaiono sui siti-blog Nazione Indiana e La poesia e lo Spirito. Queste pagine e gli inediti di Marina Pizzi saranno ospitati nei prossimi annuari di TELLUS.

 

Claudio Di Scalzo

discalzo@alice.it

 

 

 

Marina Pizzi. Miserere asfalto (afasie dell’attitudine) 2007-2008

 

siamo soltanto

grumi di non pensiero,

strenuamente incapaci di pietà

                     Giuliano Mesa

 

1.

Nella saletta d'attesa del ginecologo la cliente è nervosa.

2.

In angolo della stanza la custodia vuota del dizionario.

3.

Le tendine della finestra, troppo lunghe, sono state ripiegate per contrastare gli spifferi dagl’infissi dei vetri.

4.

Gl’infissi della porta si stanno sbriciolando rivelando il legno grezzo, intatto nonostante la sciabordante entità degli abitanti.

5.

Nel tinello i frutti dell’alzata della frutta s’ingegnano di non marcire prima di essere mangiati.

6.

Su una mensola sono disposte in fila le medicine del ciclo del giorno e della notte.

7.

La metropolitana pressa nei gomiti le poche scienze di ogni passeggero.

8.

Alla segheria la donna si è fatta fare una tavola con cavalletti per una scrivania spartana.

9.

Al muro è appesa la vestaglia di fattura cinese imbottita di ovatta con stoffa simile allo stile imperiale cinese.

10.

Le dita dolorano, spiano le paralisi del far del corpo pece.

11.

In un pentimento si addice la sua sconfitta in tua.

12.

La pecca della rondine è di tornare e di partire sempre più ubriaca: sempre più senza cimase i palazzi.

13.

Il gancio al muro ricorda che la giacca si fa apice di malinconia.

14.

Le muraglie degl’infanti sono giochi di suicidio.

15.

La cicca del mio inverno è una lampada cinese che mi regala estraneità, dolce ipocondria del vero.

16.

Appena tocco i capelli innumeri ne cadono in dono al sacchetto dell’immondizia.

17.

Le reni dell’acrobata hanno un fascino senza tempo, schiantano senza caduta.

18.

Dove si avvelena l’acqua c’è una donna che partorisce.

19.

La blasfemia dell’ombra sposa un terreno di stoltezze.

20.

Il cielo è curvo ma la Ferrari non lo prende.

21.

La birra delle ore tredici è l’unico conforto, orto al veritiero aspettare che sfumi.

22.

Durante un corso di aggiornamento ho visto piangere il mio treno.

23.

Ogni volta che mi alzo dalla scrivania il mio futuro collassa nel presente.

24.

La cornacchia beve l’acqua della grondaia, ad ogni sorso si guarda attorno.

25.

È marcita la luna e l’asfodelo

26.

Il pellegrinaggio della fronte è dover guardare mine di grandine e foschie e carezze sempre un po’ più in là

27.

Il cielo fosco che scoraggia e preme medesime leccornie in ogni tempo

28.

E per domani non chiamarmi più per il torneo dei funghi che crescono vicino alle tombe

29.

Braccata l’afasia della cometa ha sconfessato ogni natale

30.

Ieri ti ho visto con i giornali gratis coprirti il petto dal vento della pioggia e sulla panchina inchinare un blasfemo per orefice

31.

E’ andato in malora finanche il tubo di scappamento

32.

Non chiamarmi più, non so che dirti dalle foschie del suolo alle bravate religiose

33.

Sono stanca di scalciare appunti in riva alla riva

34.

Gli alamari della casacca ancora si allacciano dopo un qualunque vomito qualunque

35.

A terra di risorse sto a tenerti il polso per un aiuto esanime

36.

Dal calcolo delle sommità calcolare le radici

37.

La cattiveria è un giardino segreto appena deceduto.

38.

Con un urlo di finitudine la smania è ben ridotta a un ninnolo di occaso.

39.

Pinocchio è un chiodo di bambino, veramente insano quando fa il bambino, delizia del no quando burattino.

40.

In un traffico di rigurgiti ho rivisto mia madre da giovane, vanagloria la sua vaghezza accanto alle vetrine sempre serrate.

41.

In un traffico di corsari ho rivisto mio padre, mio padre ragazzo-bambino far del male indicibile ai gatti trovati rannicchiati contro le saracinesche…

42.

In un lampo di stoviglia inox mi vedo deformata quale sono.

43.

Comunque bigiare era utile quanto un cavalletto da pittore in ginocchio con l’opera in mente.

44.

Con la frottola del cane da portare a spasso, prese l’ultimo traghetto non tornando nemmeno a nuoto: nell’isola dei morti o delle femmine ancora lo attendono.

45.

Il prete nella canonica non era né buono né cattivo: lavorava da prete.

46.

Hanno la tosse nervosa della noia e dei problemi le scimmie del bioparco: la pancia gonfia di cibo senza amore, la lingua rinchiusa, le braccia conserte, gli occhi fissi contro la telecamera. Hanno imparato a contare con l’abaco delle sbarre: il guardiano gioca i numeri al lotto vincendo spesso sommette che corrono via gioiose.

47.

Le leccornie si fanno ataviche dietro il vetro della pasticceria; le girandole poste sulle tombe dei bambini sono il presente esente da ogni leccornia, l’amido del pianto in foggia di cialda.

48.

Sai una cosa? ti morirò accanto in una guerriglia di baci!

49.

E’ la neve inversa che torna d’acqua a festeggiare il diluvio di un accattone intonacato di sciarpe.

50.

Bravure di frottole l’amore che trema in platea

51.

I treni patiscono non potendo le scorrerie oltre binario, oltre lunario, oltre le regole del certo, oltre le frottole convinte vincenti.

52.

Mo’ le perle delle resine sono tutte legate in un sudario

53.

Il lago con le regie del molo

54.

E, dài, raccontami un sostegno a questo dispendio addirittura chiuso nella livrea di un servo

55.

Con il pendio della nuca mi sono innamorata

56.

Perché non torni a sillabarmi un sogno almeno elementare?

57.

Sotto ospizio di cartone il tono del tuo pianto

58.

Lo scatto a imbuto ti fregherà per pozzo, non tornerai più

59.

Le meringhe infantili e giovanili erano un cartoccio di conforto è oggi non le sanno più cucinare né nominare

60.

Con losco inganno ti guarderò morire per non impaurirti

61.

Cloro al clero: il muro è troppo buono

62.

La birra ci affratella senza la ciccia: tu a casa tua, io a casa mia e domani è oggi è ieri è l’oriunda genesi del fosso

63.

Dimenticami quale uno trattato d’imposte dirette e indirette del 1860.

64.

Le foglie grandi della salvia fritte sono molto buone come tutte le cose fritte: però una Salvia proprio nessuno all’orto o alla serra della batteria può restituirmi

65.

Il panico silente mi ha resa donna rinnegando davvero qualsiasi altra nascita!

66.

Questo è il numero del diavolo e io voglio l’angelo che per volare riesce a sopportare ogni tipo o tipastro di gelo

67.

Le donne si sommano all’umanità ma sono insommabili, belle o brutte tu, proprio tu, non le tocchi già più!

68.

A scaturigine di ebbrezza ti dài a chiamarmi quasi fossi la tua donna di bevute, quasi un’enclave del finalmente dentro

69.

Le bazzecole dell’atrio fingono una vita

70.

È sottotraccia l’aceto del tuo ventre, tu che perdoni il dolore che hai causato

71.

È già domani e ne ridi da ebete con il pallottoliere per spilla d’eleganza

72.

Le fionde partono dal cranio che si diletti di palesare il vero

73.

Vissi in un collegio per bambine piccole, vissi in contumacia per malati sani, vissi la gemella come una responsabilità di offesa-difesa, mai amandola sorella: il bottino del latte fu sacrificale

74.

Con un filo di scorribanda inventa la propria resistenza addirittura leggiucchiando un giornaletto gratuito dentro la metropolitana e dopo sul pullman.

75.

Tra le crepe la lucertola non ha paura del buio, passa dal sole in picchiata alle tenebre con brevetto di felicità, con tranquillità guardinga, stella di mare l’abisso della sorella, stella di volta l’eco del fratello.

76.

In un impegno di gratitudine il tulle di sposarti nello sguardo, e nell’allerta di pensarti ti arrivo accanto ben più di vicino

77.

In un baccano di altolà il gerundio della sopravvivenza

78.

Buone vacanze” è un augurio davvero lugubre: vacanza dal cancro del giorno che si dipana in un pagliaccio di tradimenti? le fatiche non hanno mai vacanza né con la danza della gioia né con il chiavistello del padrone che ci attende uso di vita, disuso di libertà

79.

Buon Natale” è ancora più lugubre: lasciando a chi vuole il significato religioso, ne può rimanere un altro quale le doglie della partoriente con non annesso il sorriso dell’abbraccio: resta la femmina di donna che, forse, piangerà depressione o l’io disgiunto in un unto assioma

80.

Dammi il brevetto che produca valenza, conventicole di baci, anche

81.

Sempre sotto qualcuno e qualcosa la cuna del mondo

82.

Coriandolo d’alchimia starti a guardare a mo’ di falco costumare una pozzanghera almeno in uno sgangherato albergo il grande amarci, comunque in gola all’asfodelo, fiore dei morti

83.

Parve svezzato il coagulo del sangue se dal fondaco delle celle morte uscì la vergine in preda all’estro di solo amore senza concepire

84.

Si faccia gioconda la bora di Trieste

85.

Le curve degli alambicchi intorno al busto a mo’ di abito da gran sera e fumida la perla dentro lo sguardo

86.

Sul tetto delle parabole un tempo si giocò con gli stracci, con la cicale imprendibile, con le cimase seducenti e dalla terra soltanto il più puntuto dei cipressi sembrò capire l’ire del boia dalla botola al cielo

87.

Il petto in gola perde colpi, ma tutti gli schermi della casa stanno accesi festa delle feste

88.

Con una lezione di apostrofo ti bacio, calvario unto quanto un sedativo

89.

Nel quartiere più povero della città, il nonno è uso passeggiare con la merenda che poi scartava al giardinetto buttando la carta nel cestino insieme alla cartaccia che trova lungo i passi.

90.

In un solicello di basto si fa domenica

91.

La luna lo palpeggia come una verissima innamorata ancora non conquistata né stata

92.

Nell’orto c’è penuria di solchi, la lastra piatta della terra gli arreca torto

93.

Tra un domani e un andirivieni preferisco uno scoglio irraggiungibile

94.

Dalla caserma hanno ricavato un museo: e pensare che le sentinelle dalle garitte piansero, disperarono lacrime di piombo con neanche uno scoppio

95.

Partì a morte da un’osteria

96.

Le mani roride lasciano un’impronta per il giocattolo dell’aria

97.

Ottuagenaria la nascita fa la fila per morire

98.

Col tuo colpo d’ascia ho figliato un arcobaleno al teatro del più garbato amore

99.

I capelli li hai tagliati le unghie le hai tagliate eppure la rovina è ben lontana dall’arrendersi e la cerbiatta vigila le rimanenze del silenzio

100.

Sotto il balcone l’edicolante appende calamite non buone per notizie di ferro

 

Marina Pizzi


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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