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Anche le migliori guide turistiche, le Lonely Planet, di tanto in tanto possono prendere un colpo di sonno
17 Dicembre 2005
 

Utile, pratica, indispensabile, autorevole. Gli aggettivi, tutti positivi, si sprecano quando si tratta di una guida di viaggio della Lonely Planet. Un baedeker che fino a qualche anno fa solo milioni di anglosassoni e affini erano in grado di utilizzare. Per via della lingua; infatti, erano guide scritte rigorosamente in inglese. Oggi invece le Lonely Planet, tradotte anche nella lingua di Dante, dominano in tutte le librerie italiane, ovunque vi sia una sezione dedicata ai viaggi e al turismo. Sono diventate, inoltre, le preferite dalla lobby sempre più potente dei viaggiatori. Di regola autorevoli per le parti storico culturali, sono altrettanto affidabili per i suggerimenti sul vitto e l’alloggio. Aspetto solido, non vanno in mille fogli appena vengono aperte. Ricchissime di informazioni pratiche (con tutti i link Internet del caso), rappresentano lo strumento che per troppi decenni era mancato al turista nostrano: una vera guida, con le descrizioni necessarie, accompagnate da indicazioni e giudizi che lo possano aiutare in modo concreto nella difficoltà delle scelte.

Ad esempio: in quali alberghi e ristoranti mettere piede, senza essere rapinato dai gestori o maltrattato dai camerieri, e quali tesori della cultura visitare quando si hanno a disposizione solo pochi giorni oppure una manciata di ore. A questo punto qualcuno potrà obiettare legittimamente, non senza un po’ di patriottismo: “Ma non c’erano forse per questo anche le valorose guide del Touring?” Ebbene, al confronto, le solenni guide verdi e le rosse corpose facevano la figura di atti notarili (un po’ pedanti, precise al millimetro ma assai poco invitanti come strumenti di viaggio) e di austere enciclopedie (perché questo erano le Guide rosse). Ottime, documentate, ma non di certo guide per un viaggio. Strumenti pregevoli, utili tuttavia più allo studioso e al ricercatore che al viaggiatore.

Le Lonely Planet, al contrario, erano e sono rimaste delle autentiche guide. Prendono saldamente per mano chi vuole preparare – o anche soltanto sognare – un viaggio e lo conducono alla scoperta di un Paese, di una regione o di una città. Sono delle temerarie e amano correre i rischi necessari quando si tratta di esprimere un giudizio o un apprezzamento. E questo, anche a costo di rischiare l’affetto e il consenso di qualche lettore. Giudizio che qualche volta scende come una mannaia.

Guide senza peccato? … Se così fosse, sarebbero dei testi sacri, di diretta ispirazione divina. Invece, visto che sono redatte da mano umana, vanno anch’esse soggette a qualche momento di debolezza. Lo ripeto, sono una miniera inesauribile di informazioni pratiche; anzi, da questo punto di vista, sono ineguagliabili, però… C’è anche un però. Una macchiolina che ho rilevato sfogliando una Lonely Planet in inglese (quindi diffusa in tutto il mondo a decine di migliaia di esemplari, quindi strumento d’uso nelle mani di milioni di turisti che si apprestano a visitare l’Italia dai paesi – tantissimi – dove si parla la lingua di Shakespeare in tutte le sue variazioni). Titolo: Italy; 5ª edizione, anno 2002. Mi son detto: “Andiamo a dare un’occhiata alle pagine dedicate alla Valtellina”. Prima però ho dato una scorsa generale a questo bel volume di 976 pagine, che compendia l’intera penisola, isole comprese. Anche a un primo veloce impatto la Lonely Planet non si smentisce. Ritrovo l’abbondanza di informazioni e, subito dalle prime pagine quelle sentenze lapidarie, che cadono affilate come la scure del boia. Dopo aver presentato quello che, secondo loro (quelli della Lonely Planet), è il meglio dell’Italia (undici situazioni, luoghi e monumenti che non si possono trascurare) arriva subito la classifica del peggio. Quelle che, sempre secondo loro, sono le dieci cose da evitare in Italia. E tra queste “cose”, brillano due città del Sud, qualificate come brutte, noiose e sgradevoli. Alla Lonely Planet non usano i giri di parole.

Ma – mi si permetta una reminiscenza dai lontanissimi anni degli studi di letteratura francese – torniamo ai nostri montoni (come affermava il buon Mastro Pathelin). Riprendo quindi la lettura della guida Italy. E – a questo punto - il pungolo della curiosità mi spinge a verificare immediatamente se si dice qualcosa e cosa eventualmente si dice della nostra Valtellina. L’indice analitico mi offre un aiuto indispensabile. Sì, qualcosa sulla Valtellina c’è. Alla pagina 374 vedo che alla valle dell’Adda sono riservate pochissime righe. Meglio che niente, mi vien da pensare. Invece, dopo averle lette ho pensato che il niente sarebbe stato molto meglio. Infatti, non occorre un dizionario per capire che la frase «the Valtellina is one of Italy’s least attractive Alpine regions» significa che la Valtellina è tra le regioni alpine italiane una delle meno attraenti. Ahimè! siamo proprio sistemati. Unica consolazione (ma lo è veramente?), anche nelle pagine vicine si va giù duro.

La città di Como viene trattata, a dir poco, con severità. E allora mi permetto anch’io di essere altrettanto severo con il responsabile delle indicazioni delle bellezze artistiche di Como. Se costui si fosse degnato di vedere bene la città ne avrebbe scoperto almeno due che, da sole, sarebbero sufficienti a rendere Como una meta ambita per chi ama la storia della cultura e dell’arte. In particolare, il fantastico ciclo di affreschi del Trecento nell’abside della millenaria Basilica di Sant’Abbondio e la splendida facciata del duomo. Se il duomo di Como è citato in modo banalmente generico (tale cioè da non stimolare un progetto di visita) di Sant’Abbondio non v’è traccia alcuna.

Mi rendo conto che, come diceva il poeta Orazio duemila anni fa nella sua Ars poetica, e lo diceva con un po’ di rabbia, di tanto in tanto «bonus dormitat Homerus». Qualche volta anche il buon Omero sonnecchia, quindi scrive delle frasi che non sono per nulla all’altezza della sua fama. Sarebbe auspicabile che gli investigatori della Lonely planet, dopo un bello sbadiglio e dopo essersi adeguatamente stiracchiati, diano una nuova e attenta occhiata ben svegli a Como e, perché no, anche alla nostra Valtellina.


Renzo Fallati


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