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Marisa Cecchetti. “Atto di violenza” di Manuel de Pedrolo
19 Gennaio 2021
 

Manuel De Pedrolo

Atto di violenza

Traduzione di Beatrice Parisi

Paginaotto, 2020, pp. 288, € 19,00

 

Uno degli scrittori più rappresentativi della letteratura catalana, Manuel de Pedrolo (1918-1990), la cui produzione letteraria vanta più di cento opere, si è sempre impegnato “per le libertà sociali e nazionali del suo popolo”.

Atto di violenza è un grido contro l’oppressione scritto sotto la dittatura franchista, pubblicato nel 1961 e censurato fino alla morte di Franco.

Un bambino sta andando a scuola, è in ritardo, eppure la strada che percorre è insolitamente solitaria: “Cammina in un mondo vuoto, attraversa una città morta, con le strade non lavate, le case alte e sbarrate. Solo più avanti, nei pressi della scuola, coglie un segno di vita”. Il pensiero corre subito alla situazione che ormai ben conosciamo, quella in cui siamo stati gettati dalla violenza del Covid-19, ma la collocazione temporale la esclude immediatamente. Eppure tante sono le somiglianze.

Sulle facciate delle case, ai cancelli elle fabbriche, alle vetrine dei negozi, alla scuola, enormi striscioni ripetono lo stesso invito: È molto semplice restate tutti a casa.

Le strade vuote sono percorse dalle auto della polizia volte al controllo delle presenze nei posti di lavoro ed a convincere la gente con interventi pesanti ed efficaci.

Chiusi i negozi alimentari svuotati prima della serrata, quelli rimasti aperti sono raggiunti furtivamente da poche persone che strisciano lungo i muri.

Tranne rare eccezioni tutto si è fermato: produzione, scambi commerciali, servizi di ogni genere compresi i mezzi di trasporto. Regnano il silenzio e la paura.

Che cosa è successo? Di chi è alla caccia la polizia?

Nella città da lungo tempo governa Domina, un giudice che ha cancellato progressivamente le libertà democratiche creando un’immagine di organizzazione centrale perfetta e fonte di benessere, immagine falsa che non garantisce giustizia sociale. Senza mezzi per opporsi e rovesciare il regime la gente si è apparentemente assuefatta, finché non ha individuato un’arma infallibile: lo sciopero di massa. Tutto si blocca, la città tace. Restare a casa diventa obbligo morale e strumento politico. La polizia cerca affannosamente di mandare al lavoro chi incontra per strada o che stana dalle abitazioni.

De Pedrolo non costruisce il romanzo intorno ad un protagonista con i personaggi che gli ruotano intorno; invano cerchiamo di sapere che cosa ne è stato del ragazzino che non è potuto andare a scuola. Si confonde con la massa. De Pedrolo infatti crea un mosaico di storie quasi cinematografiche, una a fianco all’altra, non necessariamente legate tra loro. È come se aprisse le porte delle case per guardare dentro, ci siano o no simpatizzanti del governo.

Per la maggior parte ci trova antigovernativi, ma non manca chi è schierato dalla parte del potere, magari lo ha fatto a suo tempo per sicurezza economica, magari tra loro c’è chi è disposto ora a mettersi in discussione.

Ma quanto può durare questa situazione di stallo? La cittadinanza si arrenderà per sfinimento? Quante forze governative e militari rimarranno fedeli a Domina? Chi avrà la meglio? Chi affigge di nascosto striscioni non ha paura né della fame né delle violenze continue.

Romanzo utopistico – se si pensa che è stato scritto sotto regime franchista – in cui De Pedrolo alza la voce contro l’oppressione e manifesta la sua speranza. Romanzo che fin dalle prime pagine rimanda a Saggio sulla lucidità, di José Saramago (1922-2010), ad un’azione intrapresa dagli abitanti di un Paese non ben identificato che adempiono sì al dovere di voto, ma continuano a votare scheda bianca massicciamente, in segno di rivolta antigovernativa. Due scrittori, l’uno catalano, l’altro portoghese, che hanno conosciuto gli aspetti della dittatura ed hanno affidato alla prosa il loro auspicio di libertà. Che vale tuttora in ogni contesto.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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