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Gianfranco Cercone. “Girl” di Lukas Dhont
07 Ottobre 2018
 

Un difetto che ricorre nei film, anche d'autore, più acerbi, particolarmente nelle opere prime, è l'esposizione di fatti e di azioni non sostenute dai sentimenti, dagli stati d'animo, dei protagonisti di quei fatti, di chi compie quelle azioni. Il racconto rischia allora di diventare un referto arido, una cronaca tutta di superficie degli avvenimenti che compongono la storia.

E invece una qualità che va riconosciuta all'opera prima di un giovane autore belga (ha appena ventisette anni – Lukas Dhont, il suo film si intitola Girl, ed è stato presentato al festival di Cannes dove ha vinto fra l'altro il premio della Caméra d'Or), una qualità che gli va riconosciuta è la capacità di creare un rapporto di costante empatia tra il protagonista del film e lo spettatore, che insomma ha sempre accesso, in una certa misura, alla complicata vita interiore del personaggio. Un'empatia che non era per nulla scontata, era un traguardo difficile da raggiungere, perché si tratta di un personaggio introverso, che raramente esteriorizza i suoi sentimenti, e quasi mai li confida a qualcuno. È un ragazzo, un adolescente, anatomicamente ragazzo, che però intimamente si sente donna, e intraprende per questo quelle cure, quel trattamento ormonale, che dovranno condurlo all'operazione chirurgica che lo renderà una donna a tutti gli effetti. L'ambiente in cui si compie il suo percorso è in genere comprensivo nei suoi confronti, o almeno tollerante. Il padre è un suo complice quantomai affettuoso, lo psicologo gli prodiga buoni consigli, una dottoressa segue attentamente le sue condizioni psicofisiche.

E tuttavia il racconto non dissimula che il problema del ragazzo ha, almeno per il momento, un aspetto drammatico. Perché la diversità suscita negli altri una curiosità che risulta a chi ne è l'oggetto, indiscreta, offensiva; perché chi si sente normale, e per questo privilegiato, è indotto a esercitare forme, anche sottili, di crudeltà nei confronti di chi è ritenuto diverso. E perché poi le sollecitazioni sessuali sono ovunque, pressanti, ma il proprio corpo è inadeguato a rispondere ad esse, almeno nel modo in cui si desidererebbe.

Un esempio del difficile adattamento del personaggio, si ha quando si lascia convincere a fare, per la prima volta, la doccia insieme alle ragazze della scuola di danza che frequenta. Le immagini del film, in questa occasione, lasciano trasparire una sensazione contraddittoria: di chi assapora il piacere di trovarsi in un luogo congeniale, ma anche il disagio di chi si sente non del tutto conforme a quel luogo, e deve per esempio coprirsi i genitali.

È un dramma tutto interiore, compresso, intricato, alimentato da quelle nuove e troppo intense sensazioni che sono proprie dell'adolescenza; un dramma che, attraverso una progressione, sfocia, del tutto persuasivamente, in un gesto inconsulto, raccapricciante, che il protagonista infligge a se stesso.

Va detto che Lukas Dhont ha trovato nell'attore esordiente Victor Polster un interprete magnificamente adatto al ruolo, che evoca un'immagine di donna dall'apparenza solare, perfetta, bellissima – si direbbe più un ideale femminile che una realtà – ma la cui splendida superficie, a ben guardare, è rosa dall'insoddisfazione, da un tormento segreto.

Da vedere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 6 ottobre 2018
»» QUI la scheda audio)


 
 
 
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