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Gianfranco Cercone. “Insyriated” di Philippe Van Leuuw
02 Aprile 2018
 

Si sa quale rischi comporta l'impiego in un'opera d'arte, dell'allegoria.

Quando un fatto, un luogo, un personaggio sono utilizzati per significare un concetto astratto, l'opera può mancare l'obiettivo che dovrebbe essere proprio dell'arte: la rappresentazione della vita concreta. Allora un film, per esempio, potrà avere spessore filosofico; o, da un punto di vista civile, potrà essere nobilmente impegnato. Ma non sarà riuscito a rendere individui reali, i loro sentimenti, e, a partire da quei sentimenti, attraverso un racconto vivido, i fatti che compongono la storia.

Ora: Insyriated, il film che il regista belga Philippe Van Leuuw, ha dedicato alla guerra in Siria – interpretato, oltreché da attori professionisti, da autentici profughi siriani – sembra avere un impianto allegorico. Ma riesce sempre a mantenere un delicato equilibrio, grazie al quale i significati che chiaramente il film vuole trasmettere, non compromettono la concretezza, il sapore realistico, della situazione che descrive.

Tutto il racconto si svolge all'interno di un appartamento in una città della Siria, probabilmente Damasco, che, per quanto ci è dato percepire da quell'appartamento, è già devastata dalla guerra civile. Non soltanto tra quelle mura rintrona il frastuono dei bombardamenti; ma chi si avventura di giorno all'esterno, rischia di cadere sotto il fuoco dei cecchini; dalle armi dei quali, i raggi rossi, esplorativi, penetrano di notte nell'oscurità delle stanze. Apprenderemo presto che nello stesso edificio, gli abitanti degli altri appartamenti sono già tutti sfollati.

Così i protagonisti del racconto, una famiglia e alcuni ospiti, che in quel luogo si ostinano a mantenere le abitudini della vita ordinaria – cucinare, pranzare intorno a un tavolo, lavarsi la mattina, sia pure con cautela, con la poca acqua che si riesce a tesaurizzare; fumare con parsimonia; scambiarsi confidenze, o amoreggiare; costituiscono un'isola di civiltà, circondata da un oceano di caos e di distruzione che rischia in ogni momento di sommergerla.

Ho parlato di realismo. Eppure la situazione ha qualcosa dei sogni, di quegli incubi in cui le mura di casa, malgrado siano rinforzate dalle sbarre alle porte, dal rigoroso divieto di accesso agli estranei, si dimostrano fragili, incapaci di proteggerci; e non è minacciato soltanto lo spazio della vita privata, ma è forse anche lo spazio intimo della nostra personalità che rischia di essere invaso, da forze che appaiono oscure, malvagie, anche sessualmente aggressive (due degli invasori, infatti, commetteranno uno stupro.)

I significati di questa situazione sono piuttosto evidenti, e ho già cercato di chiarirli proprio contrapponendo l'ordine della civiltà al caos dilagante della distruzione. Si può aggiungere che nel film è reso evidente il senso di solitudine, di abbandono, che patisce chi cerca di resistere contro forze negative tanto più potenti di lui.

Ma l'evidenza dei significati non impedisce al racconto di incidere con precisione, con cura realistica, alcuni personaggi che restano nella memoria: come la padrona di casa, prudente, saggia, indomita, che è un po' il capitano di lunga esperienza di una nave che rischia il naufragio; due giovani innamorati, un po' spavaldi, a momenti indifferenti al mondo esterno, perché l'amore rivendica comunque uno spazio per esistere, anche quando tutto sembra negarglielo; o l'anziano suocero, che vive e fuma tra i suoi vecchi e preziosi libri, per il quale il senso di sconforto della tragedia in atto sembra come distanziato da una antica saggezza.

È un film interessante, che ha il merito di renderci partecipi, con una chiave originale, di quanto sta accadendo in Siria.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 31 marzo 2018
»» QUI la scheda audio)


 
 
 
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