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Giuseppina Rando. “I frutti del vento” di Tracy Chevalier 
Quando la natura segna il destino dell’uomo
31 Gennaio 2017
 

Tracy Chevalier

I frutti del vento

Traduzione dall’inglese di Massimo Ortelio

Neri Pozza, Vicenza, 2016, pp. 320, € 17

 

Tracy Chevalier, autrice affermata di romanzi storici, anche in questo suo ultimo lavoro, I frutti del vento, riesce ad evocare brillantemente lo scenario geo-antropologico dell’America dei primi albori immergendo il lettore in una realtà viva e palpitante come fosse presente. Realtà romanzata, certamente, ma ricca di particolari, di notizie su usi e costumi che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.

Nata a Washington, Tracy Chevalier dal 1984 vive in Inghilterra. Il suo primo romanzo è La vergine azzurra (Neri Pozza, 2004). Con La ragazza con l’orecchino di perla (Neri Pozza, 2000, 2013) ha ottenuto nei numerosi paesi in cui il libro è apparso, un grandissimo successo di pubblico e di critica. Best seller internazionali sono anche i suoi romanzi successivi (tutti editi da Neri Pozza): Quando cadono gli angeli, La dama e l’unicorno, L’innocenza, Strane creature, L’ultima fuggitiva..

In I frutti del vento l’autrice ambienta la narrazione nell'America del XIX secolo, pionieristica, audace, primitiva, contadina, in cui le forze della natura contrastano o rinforzano i tentativi di domare la terra, di costruirsi una vita o semplicemente una famiglia, di sopravvivere nella aspra quotidianità fatta di fame, di malattie, di morte. Un romanzo evocativo di elevata energia.

Lo stile della Chevalier riesce sempre, partendo da una famiglia, un personaggio, una situazione, a sviscerare e mostrare i tratti salienti di un'epoca, di una nazione, di un mondo, calandosi nella storia e descrivendone minuziosamente soggetti, relazioni, tradizioni, pensieri, modus vivendi ed operandi.

Protagonisti sono l’uomo e la natura: la famiglia Goodenough, terribilmente passionale, immersa in un luogo oscuro e maledetto, la Palude Nera nell’Ohio. I Goodenough emigrati dall'Est del paese all'Ovest, inseguono il sogno di domare una terra selvaggia, inospitale, “La Palude Nera”, covo del male appunto, piantando quei 50 alberi di mele che le permetterebbero, secondo la legge, di appropriarsi della terra e di vivere decorosamente. Forze oscure, però, tramano contro di loro, forze generate tanto dal carattere difficile di Sadie in continua discordia col marito James (lei, madre di dieci figli irascibile e ubriacona, lui paziente che cerca invano di liberarsi della negatività della moglie cercando di occuparsi unicamente del suo folle amore, il frutteto ) quanto prodotte dalla natura, infida e selvaggia, del nordest dell’Ohio, dove il fango e le intemperie disperdono ogni fatica. Ed è proprio questa natura così sconvolgente che pervade e condiziona la famiglia, la loro vita, i loro animi e rende le loro storie racconti di morte.

Nella seconda parte del romanzo cambia lo scenario, non più La Palude Nera, ma la California e le sue foreste di sequoie dove il figlio fuggitivo Robert giunge dopo diverse avventure. Lo si ritrova al servizio di William Lobb (personaggio realmente esistito), botanico e studioso di piante e fiori, uomo che indubbiamente ha determinato la sua vita. Ma per quale motivo Robert si è spinto così lontano dall’Ohio? Cosa è successo alla famiglia Goodenough? Quale mistero si cela dietro la fuga di Robert? Cosa è accaduto di così traumatico da costringere un ragazzo a dire addio alle sue origini? E perché Robert non riesce a dimenticare né il giorno della fuga né quelle ultime drammatiche parole della madre…?

Il motivo per cui Robert è andato via da casa e altre sconvolgenti vicende lo si apprende dalle toccanti lettere che Martha, l‘ultima figlia dei Goodenough, invia al fratello, ritrovato dopo sedici anni.

Un romanzo intenso, incentrato sulla famiglia, l’amore, gli affetti, sulla difficoltà di crescere e di lasciarsi il passato e i relativi traumi alle spalle, ma anche un romanzo sulla natura, sulla bellezza delle piccole cose, sulla capacità di ricominciare, passo dopo passo, imparando a prendere le proprie decisioni, non avendo timore di se stessi, anzi valorizzando la solitudine senza però cambiarla in uno scudo con cui proteggersi.

La natura lascia il suo segno nell’uomo in positivo e in negativo, da un lato toglie e dall’altro dà: Robert è stato privato in modo violento dalla famiglia e dalla terra natale, ma ha avuto la fortuna di incontrare un uomo come William Lobb che lo ha posto accanto al fascino e alla bellezza delle piante, creature vive di cui si è intensamente innamorato.

È diventato un vivaista, un uomo che “costruisce” nuove piante ed esporta semi. «…Robert si infilò la mano in tasca, toccando il fazzoletto con dentro i semi che gli aveva portato Martha. I semi erano duri a morire, avevano bisogno solo del posto giusto per risvegliarsi. E il cuore l’avrebbe aiutato a riconoscerlo».

 

Giuseppina Rando


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