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Roberta Raggioli. L’Isola dei conigli e il fallimento dello Stato italiano 
Appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
10 Ottobre 2013
   

C’è una piccola zolla granitica nel nostro Mediterraneo la cui lunghissima vita si legò ad un certo punto a doppio filo con la storia della formazione della nazione italiana, e negli ultimi decenni ormai al fallimento del suo Stato quale entità politico economica e giuridica. È l’isola di Budelli, che con le Isole di Ràzzoli e di Santa Maria, è il frutto dello smembramento di un complesso insulare unitario (trasgressione Flandriana – postglagiale, 7000/3000 a.C.) avvenuto 3000/2000 a.C., e nella parte settentrionale dell’Arcipelago de La Maddalena le isole di Ratino, Lavezzi, Cavallo e gli isolotti circostanti. Erano queste le famose Insulae Cuniculariae di epoca romana (che corrisponderebbe a Leberides, ovvero al latino cuniculus (coniglio appunto o prolagus sardus), formate in prevalenza da graniti porfirici, filoni di quarzo e filoni basici. Il loro nome deriva dal fatto che erano abitate da un esercito pacifico di conigli. Esse sono comprese nell’Arcipelago di La Maddalena (già Parco Nazionale, Legge 4 gennaio 1994 n. 10, Statuto disciplinato con D.P.R. del 17 maggio 1996, dunque sulla base di un’intesa Stato-Regione Sardegna), e sono dunque siti d’interesse comunitario (SIC), all’interno del futuro Parco delle Bocche di Bonifacio, in collaborazione con gli organismi corsi per la difesa dell’ambiente.

Chi navigava nel nostro mare Tirreno – dice il Professor Manlio Brigaglia – da qui doveva passarci almeno una volta. Il che è stato ampiamente provato da un gruppo di ricercatori sardi e corsi che hanno condotto degli studi approfonditi sulla possibilità di individuare una passaggio a piedi fra Sardegna e Corsica, prima che il mare arrivasse al livello attuale inondando quel tratto di terra ancora emersa, e dagli archeologi che hanno provato la vocazione prima di luogo di sbarco e ponte per i territori europei, e in seguito emporica della costa nord-orientale gallurese (greci, etruschi, romani). L’insieme delle carte geomorfologiche relative sia all’insieme delle Bocche di Bonifacio che a quello dell’Arcipelago di La Maddalena, e le indagini geofisiche con i prelievi di calcareniti mioceniche a varie profondità (al traverso di Capo Testa e di Capo Feno, oltre che proprio a breve distanza dalla costa Ovest di Budelli), hanno dimostrato che tale continuità fra le due sponde delle Bocche è realmente esistita. Infatti 7000/8000 anni fa fra la la costa Sarda e quella di La Maddalena vi era una continuità continentale (oggi a 30 m di profondità nel mare). Fino a 8000 anni fa anche Spargi era così collegata a La Maddalena (oggi a 35 m sotto il livello marino), così come a S. Maria, Razzoli e Budelli (a 40 m di profondità), tramite una successione di spiagge, di dune, bordi di stagni e lagune, così come dalla foce oggi sommersa del fiume Liscia. Inoltre tra 9000/10000 A.F., anche Santa Teresa di Gallura era così collegata a Spargi, che attraverso un canale a nord si ricollegava anche alle altre isole dell’Arcipelago. Infine 11000 A.F. l’ultimo passaggio a piedi tra Sardegna e Corsica, lungo la linea di paleocosta tra Punta Paganetto e Spargiotto alla secca di Budelli, per passare poi a l’isola di Lavezzi e da lì a Capo Pertusato. Le Bocche di Bonifacio erano dunque delle valli verdeggianti, le cui colline e i cui picchi montuosi erano costituiti dalle isole, e i nostri progenitori da 700mila A.F. (Homo erectus), e a partire da almeno 50mila A.F. (Neanderthal, punte e raschiatoi in pietra dell’Elba), fino a 20mila A.F., quando tribù musteriane probabilmente passate dal continente alle nostre isole vi rimasero per l’avvenuto scioglimento dei ghiacci, la conseguente regressione marina, l’innalzamento delle temperature e i mutamenti nel clima, con la scomparsa dei grandi mammiferi e delle foresti di abeti. Probabile che i gruppi musteriani si siano estinti come le specie vegetali e animali del periodo, ma nel neolitico (5000/7000 A.F.) le isole maggiori del Mediterraneo si ripopolarono, così come l’Italia Meridionale. Le genti neolitiche dal medio oriente, spinte dalla ricerca del cibo e dell’oro nero del periodo e cioè l’ossidiana (incremento demografico), arrivarono anche nelle Baleari, in Iberia e da qui in Europa, e le genti neolitiche risalirono via mare (navigazione a costa), e si riunirono, se non più ormai attraverso i ponti di terre emerse, almeno dal punto di vista degli scambi materiali e culturali. Il che è testimoniato proprio dai ritrovamenti (IV millennio a.C.) di Cala di Villamarina-Santo Stefano (utensili di ossidiana, quarzo, granito, porfido, affini a quelli iberici e liguri nelle Grotte delle Arene Candide, frammenti fittili, resti di pasti, soprattutto di patella ferruginea, un po’ di pesce, uccelli e piccoli mammiferi come i prolagus sardus), un riparo sotto roccia (del tipo a “tafone”) aperta a SSWW a un centinaio di metri dal mare, protetta dunque dal vento (maestrale e tramontana), buon rifugio per le piccole imbarcazioni di quelli che si pensa possano essere individui libero-liguri del neolitico con sede fissa in Corsica, che commerciavano attraverso dei veri e propri ponti marini (Gibilterra, Sardo-Corso, Sicilia, Canale d’Otranto, Bosforo). Infatti essi potevano essere peraltro giunti anche direttamente dalla Tunisia per i ponti mediterranei, o essere il frutto di incroci culturali neolitici.

Ciò che invece è certo sta nel fatto che Tolomeo, geografo del II d.C. chiama “Ilva” sia l’Elba che La Maddalena (dal popolo ligure degli Ilvates), la cui origine però è incerta. L’assenza di luoghi di sepoltura tipici del neolitico nell’Arcipelago, convalida l’ipotesi di luogo meramente di scalo, e dunque la provvisorietà dei rifugi. Il che continuò ad essere anche con l’età dei metalli. Insomma il “ponte Sardo-Corso” era il trait d’union tra Oriente e Occidente (Iberia, Francia, Inghilterra). Alcuni gruppi fra il III-II millennio a.C. si resero stanziali muovendosi verso le vaste pianure del Campidano e del Sassarese, e crearono due diverse culture: quella dei pastori-raccoglitori-agricoltori della pianura (cultura di “Arzachena”, dei circoli, dolmen e tombe dei giganti), e quella di “San Michele”, sempre vicina al mare, ma che si era spinta nell’Anglona e nella Nurra, abbandonando la iniziale vocazione metallo tecnica, che si sviluppò poi nell’Iglesiente e nel territorio dell’argentario più verso l’interno.

L’Arcipelago fu poi frequentato dai greci e dai romani, dei quali 30 anni fa è stata rinvenuta dall’equipe dell’archeologo sottomarino Gianni Roghi nei fondali di Spargi una nave quasi intatta, affondata fra il 120-/110 a.C., lungo la rotta di congiunzione dell’Italia con il mediterraneo occidentale e il Nord Africa, con il suo carico di 202 anfore, custodite dal 1982 presso il Museo Nino Lamboglia (Mongiardino-La Maddalena), l’allora direttore del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina che volle quella ricerca di là da ogni rifiuto da parte degli organi competenti, portandola a termine. Ma quella nave non fu attratta dal famoso Arcti Promontorium (Capo dell’Orso) che, con la sua imponente e terrificante sagoma a forma di orso appunto, posto su uno spuntone della costa sarda, domina l’intero complesso di isole maddalenino. Questo, prodottosi dalla frammentazione di un immenso blocco di granito c.a 2000 A.F., infatti, secondo le storie tramandate di padre in figlio dai naviganti, sarebbe da sempre responsabile dei naufragi che avvengono in quel tratto di mare. Primo fra tutti, naturalmente, quello dell’errante Ulisse, che una leggenda vuole inghiottito dai marosi. Budelli in particolare fu poi sede di un importante complesso religioso medioevale, costruito nel XIII sec. con donazione del medico bonafacino Guglielmo, e testimoniato, in base alla titolatura, dall’ecclesia Sancte Marie de Budello, come da rogito notarile del 1238, per la proprietà di una domus in Bonifacio da parte dell’ecclesia, e da altri cinque atti notarili bonafacini del XIII sec. Inoltre a tale chiesa si raccordava un romitorio inter insulas de Budellis ricondotto da Innocenzo IV all’ordine dei benedettini (attestato a partire dal 12 ottobre 1243), dunque non a Budelli, deserta e poco ospitale, ma nella cala della vicina Isola di Santa Maria, dove si trova ancora oggi riadattato a struttura abitativa. La diocesi era quella di Civita, e si ricollegava probabilmente ad altri insediamenti microinsulari del Tirreno, in stretti rapporti con la Sardegna e la Corsica. Il monastero fu poi legato a S. Maria maggiore di Bonifacio (XV sec), e decadde lentamente nel secolo successivo, dopo la costituzione del Regno di Sardegna (aragonesi), e fu distrutto da un’incursione dei corsari turchi e dunque abbandonato.

Dunque in quanto risorse d’interesse paesaggistico-storico-archeologico e culturale, le isole sono quasi tutte visitabili nei limiti e nel rispetto delle normative vigenti. Vento, insolazione aridità e povertà dei suoli, altitudine e lontananza dalla terra ferma ne condizionano per di più il paesaggio. L’Arcipelago nella sua estensione terrestre di 5.134,00 (ha), e marina di 15.046,00 (ha), si caratterizza per le sue oltre 700 entità vegetali, di cui 50 specie endemiche, e diverse specie rare a livello fitogeografico. A Budelli una delle componenti comuni endemiche è quella dei ginepreti a Juniperus phoenicea (come a Spargi, Caprera, Santa Maria e alla stessa La Maddalena), con condizioni ottimali e di estensione che non ha l’eguale nel Mediterraneo. Inoltre almeno fino a cinquant’anni fa fra maggio e giugno si poteva assistere alla straordinaria fioritura della “porcellana di mare” (Atriplex portulacoides L. o Halimione porticuloides, dal greco Halimion “figlio del mare”), e per questo, come dice lo studioso di Tempio Pausania Manlio Brigaglia, gli allevatori e commercianti di bestiame dell’Arcipelago vi conducevano i loro piccoli e denutriti buoi galluresi i quali, grazie alle proprietà nutritive (proteina cruda, polissaccaridi idrosolubili e acidi grassi polinsaturi del tipo omega-3 -acido α-linolenico, vitamina F- e medicinali -dissetante, diuretico, lassativo, antidiabetico, dermatologico-) di quest’erba marina, nel giro di qualche settimana si irrobustivano cambiando totalmente il proprio misero aspetto. In generale nell’Arcipelago di La Maddalena dominano ormai le associazioni a macchia, le quali nel corso dei millenni passati erano delle vere e proprie foreste in miniatura di ginepri secolari (testimoniate dalle travi ancora nelle vecchie costruzioni del secolo scorso dell’Arcipelago), mentre oggi domina per la maggior parte la macchia aperta e bassa (mirto, fillirea, euforbia, lentischio, calicotome, mirto, erica), spesso prodotto finale o temporaneo degli interventi umani sull’ambiente (incendi, trasformazione dei suoli per l’agricoltura e taglio del bosco), che hanno portato all’impoverimento del suolo. Grazie al cisto, il primo a ripopolare il terreno dopo un incendio, e ricreare così di continuo lo strato minimo di humus necessario alla rigerminazione e protezione di piante e arbusti (ginepri, olivastri, lecci, corbezzoli), la macchia prospera. A Budelli (Santa Maria, Razzoli, Spargi, Caprera), si trovano anche alcuni fra i sistemi dunali più importanti dell’arciplago, e in virtù di ciò ricade fra le aree mediterranee e nel mondo più importanti, oltre che per la caratteristica fauna vertebratica (Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi). Le isole del Parco sono tappa importante per la sosta degli uccelli migrarori transahariani nel passo preriproduttivo, e numerosissime sono le specie protette di uccelli: il Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis desmarestii); il Gabbiano corso (Larus audouinii); la Sterna comune (Sterna Hirundo), l’Uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus melitensis); Berta Maggiore (Calonectrisdiomedea); Berta minore (Puffinus yelkouan). A Budelli in particolare ogni anno nidificano centinaia di migliaia di gabbiani reali, e nell’entroterra vive la Testudo marginata.

Dunque in quanto risorse d’interesse paesaggistico-storico-archeologico e culturale per il mondo, le isole sono quasi tutte visitabili nei limiti e nel rispetto delle normative vigenti... Appunto, ho detto quasi tutte, perché fra queste Budelli detiene un singolare primato per il suo litorale, e in particolare la Spiaggia Rosa, che, dopo il vero e proprio “furto della sua preziosissima sabbia” quale souvenir da parte dei numerosissimi turisti che vi mettevano piede durante il tour dell’Arcipelago di La Maddalena, negli anni venne chiusa alle visite, ma si può ammirare insieme ai suoi candidi fondali dalla Cala del Cavaliere che si estende a settentrione, e certo non più dall’alto del Monte Budello (88 m, il promontorio di Budelli), insieme alle spiagge di Cala Piatto, Cala Cisternone e Cala di Trano. Il caratteristico color rosa di questa è dato dalla presenza di una prateria litoranea molto fitta di poseidonie (elemento qualificante lo stato dell’ambiente marino e terrestre), che albergano la Miniacina miniacea, microrganismo unicellulare dal “nicchio calcareo” rosa, che morendo rilascia come detrito inglobato nel tempo fra i granelli arenari. L’Isola di Budelli, perciò, in tutti questi anni è passata di mano in mano di diversi proprietari privati, che sottostanno comunque all’obbligo di legge per vincolo statale e regionale di tutelarne l’aspetto e l’ambiente, senza però potervi invitare i propri conoscenti o parenti per una nuotatina. Ma il vero signore di Budelli è invece il suo custode Mauro Morandi, ex insegnante modenese di Italiano che, partito da Viareggio con una barca a vela alla volta della Polinesia, invece naufragò letteralmente a Budelli nel 1984, quando il proprietario era ancora il costruttore milanese Pierino Tizzoni, l’amico di Michelangelo Antonioni che qui ambientò in parte il suo film Deserto Rosso (1964). Ma ora aspetta anche lui insieme all’isola di conoscere che destino avranno, e soprattutto se dopo anni di insolvenza gli verrà reintegrato il suo stipendio di custode. Pare che il nuovo proprietario sia un ricco filantropo neozelandese, Michael Harte, titolare di una società in Svizzera, che l’ha acquisita per tre milioni di euro. Ineccepibile! Ma pensiamo a cosa significa per noi tutti sapere che qualcuno compra casa tua perché sei costretto a svenderla per problemi finanziari, e che anche se non la cambierà nel suo aspetto e forma, non sarà mai più tua? Così è stato per i sardi, e permettetemi di dire che nell’affaire siamo tutti coinvolti noi italiani essendo l’isola territorio italiano, e badate che potrebbe accadere, come già è avvenuto, ad altre parte del nostro territorio. Così sarà ancora per lungo tempo se lo Stato intanto non farà valere il proprio diritto  di prelazione entro i 90 gg., cosa che probabilmente non accadrà per mancanza di fonfi, il che la dice luna sulla questione, giacché potrebbe risolvere il problema tagliando la testa al toro, intervenendo de jure e dichiarando così Budelli una volta per sempre "bene inalienabile dello Stato", cosa che gli stessi geologi sollecitano da tempo. Un bene monumentale geologico ed ambientale, per non parlare della sua incommensurabile bellezza, che va non solo tutelato ma donato ai nostri figli così come i nostri padri son riusciti a fare con noi, quale simbolo di ciò che significa essere custodi del nostro bene più prezioso la nostra terra, la “nostra unica e insostituibile casa”, che una volta perduta non tornerà più. È in questi casi che l’intervento definitivo dello Stato non solo sarebbe ritenuto opportuno ma anche auspicabile, invece che far sentire la sua presenza solo in veste di arido esattore e detrattore di diritti, difensore degli interessi dei più forti invece che di tutti i suoi cittadini. Badate italiani: Budelli e con lei la Sardegna e l’Italia forse anche questa volta si salveranno, ma speriamo che non divenga di qui all’immediato futuro il segno dei tempi, quello della resa definitiva del nostro Stato di diritto democratico dinanzi al potere economico e politico dei pochi sui molti. Per questo mi appello direttamente al nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che pare essere ancora il solo a difendere i diritti degli italiani:

Presidente,

salvi l'Italia dagli sciacalli tavestiti da benefattori del popolo!

 

Roberta Raggioli


 
 
 
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