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Carlo Ruina. Provincia sì, provincia no
25 Agosto 2011
 

Nessuno si salva da solo”

Prendo a prestito il titolo del romanzo di Margaret Mazzantini per proporre alcune riflessioni sul dibattito che si è sviluppato a livello locale a partire dall’ipotesi, peraltro sfumata, dell’abolizione della nostra provincia e di alcuni piccoli comuni.

La calura ferragostana e post ferragostana ha spinto alcuni più o meno autorevoli esponenti della politica locale ad una sorta di delirio fantapolitico, ipotizzando modifiche dei confini internazionali, fusioni con pezzi di Svizzera, nuove regioni autonome e chi più ne ha più ne metta. A chi possieda un minimo di razionalità e di competenza politica non può sfuggire il carattere di puro esercizio di fantasia di queste pseudo proposte: se con referendum locali si potessero modificare i confini statali, l’ONU avrebbe il suo bel da fare a modificare giorno per giorno le cartografie, se potessero nascere altre regioni a statuto speciale (altre Valle d’Aosta o Trentino o Sicilia) altro che ridurre il deficit dello stato, si aprirebbero nuove voragini, si tratta di superare i privilegi, non di aggiungerne nuovi.

Detto questo sono del tutto convinto che le provincie, e nello specifico la nostra, vadano mantenute, salvo ridurne il numero, costituendo i comuni o le aree metropolitane in adiacenza alle grandi metropoli, accorpando quelle con pochi abitanti e un territorio limitato. Del resto le provincie negli ultimi anni hanno acquisito nuove competenze nella gestione del territorio, delle scuole superiori, oltre a quelle tradizionali; si tratta quindi di ridefinirne numero e ruolo e non di abolirle.

È invece giusto accorpare i piccoli comuni, non sulla base però di una logica di “risparmio”, peraltro limitato, ma funzionale, vale a dire potenziandone le capacità di gestire insieme servizi a vantaggio dei cittadini.

Del tutto igienico cancellare le istituzioni cosiddette di “secondo livello”, vale a dire quelle non elette direttamente dai cittadini, a partire dalle Comunità Montane, per arrivare al BIM, che non gestiscono servizi ma erogano fondi e che anche nella nostra realtà sono spesso i luoghi della clientela e talvolta della corruzione.

Pensare comunque che quanto sopra incida significativamente sui costi della politica è però pura utopia: altrove bisogna tagliare e questo governo è ben attento a non farlo: sul numero e sul costo di deputati, senatori e ministri, sui grandi manager e amministratori delegati, ecc.

Due parole sul tema dell’autonomia della nostra provincia, ciclicamente ricorrente; in primis autonomia non è separazione, né secessione, ma capacità di stabilire relazioni in una condizione di parità. Questa necessità appartiene a qualsiasi territorio, provvisto di una identità (che non è mai fissata per sempre, ma sempre in divenire), ma oggi trova un formidabile ostacolo nel centralismo di Tremonti e di questo governo (un capitolo a parte meriterebbe il centralismo della regione Lombardia di Formigoni). Cosa altro sono le due recenti manovre economiche di Tremonti se non uno schiaffo alle autonomie locali e alla loro possibilità di produrre benessere per i propri cittadini? Dove sono finite le chiacchere leghiste sul federalismo?

Che cosa significa dunque in concreto l’autonomia possibile nella nostra provincia? La possibilità di gestire ed utilizzare una parte significativa della ricchezza che qui viene prodotta, a partire dalla risorsa dell’acqua, dalla valorizzazione dell’ambiente e non dalla sua distruzione, dalle risorse e dalle tradizioni dell’agroalimentare (le tre A di Bonomi: acque, ambiente ed agroalimentare), evitando che queste ricchezze vengano risucchiate dalle grandi reti transnazionali.

Difficile? Sì, ma non impossibile.

 

Un’ultima nota: la crisi in cui si avvita il mondo non è congiunturale, né locale, ma sistemica. Le ricette con cui viene affrontata sono parziali o errate. Qualcuno pensa, secondo le vecchie ricette liberiste, che solo gli animali rapaci sopravvivranno (il più forte mangia il più debole); penso invece che sopravvivrà chi saprà sostituire alle reti delle multinazionali della finanza e del profitto, quelle della solidarietà e dell’uguaglianza, del saper costruire comunità e coesione sociale. Non i dinosauri sopravvivranno, ma l’uomo.

 

Carlo Ruina

per Sinistra Ecologia e Libertà di Sondrio


 
 
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