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Gianfranco Cercone. “Il volto” di Ingmar Bergman
25 Luglio 2018
 

A volte anche nelle opere ritenute minori di certi artisti geniali, si ritrovano delle verità che emozionano per la loro profondità e la loro lungimiranza, e cioè perché illuminano, a distanza di decenni, la realtà contemporanea, ce la fanno riconsiderare sotto una diversa prospettiva.

Il volto di Ingmar Bergman, un film del 1958, non è tra i film più celebrati di questo grandissimo autore cinematografico svedese, di cui ricorre in questi giorni il centenario della nascita. È un film oscurato dalla fama di altri suoi film magistrali, come Il posto delle fragole, Il settimo sigillo, Persona, o il suo ultimo film per il cinema: Fanny e Alexander.

Il volto racconta di una compagnia di maghi, o per meglio dire: di illusionisti, che portando in tournée il loro spettacolo nella Svezia dell'Ottocento, approdano in una cittadina nella quale le autorità locali, in particolare il console e il Capo della Polizia, prima di concedere l'autorizzazione a rappresentare il loro spettacolo, decidono di esaminarlo. Dovrà dunque essere messo in scena nel palazzo del console, soltanto per loro, alla presenza delle rispettive consorti e di un medico di Stato.

Risulta subito evidente che tali artisti girovaghi sono malvisti dalle autorità. Sono sospettati di spacciarsi per guaritori; la presenza di una ragazza, travestita da uomo, al fianco del capocomico, dà loro un tratto di riprovevole ambiguità; nelle donne che lavorano e abitano nel palazzo generano un'eccitazione sessuale che suscita scompiglio; la figura del capocomico, un ipnotizzatore, la sua maschera muta e sprezzante, esercita un magnetismo che gli uomini d'ordine sono riluttanti ad ammettere, ma che li inquieta. E se lo spettacolo si compone di trucchi che possono essere facilmente smascherati, il numero di ipnotismo rivela sul palcoscenico delle verità sugli spettatori che sconcertano, che gettano su di loro il ridicolo, ciò che a quanto pare quegli uomini autorevoli temono di più.

Tutto il film è percorso da questa convinzione: che la magia, l'illusione, ma forse il film allude al teatro (Bergman è stato anche un regista teatrale), non siano puro artificio, ma possono essere manifestazione di verità profonde e nascoste, e nascoste perché così orrende da essere quasi indicibili.

Una di queste verità ci è suggerita già nel prologo del racconto.

Sulla carrozza che li conduce al palazzo, i girovaghi danno rifugio a un vecchio attore moribondo, e nel momento in cui l'uomo sembra sul punto di morire, seduto sulla loro carrozza, il capocomico lo fissa ad occhi spalancati, avidamente, come per cogliere sul suo volto il segreto della morte. Allo stesso tempo, un suo strano sorriso sembra esprimere un abietto compiacimento. E chissà che quel compiacimento non sia la vero origine del disgusto che a più riprese il capocomico mostrerà di provare per se stesso.

Ora, questo grandioso momento – il primo piano del capocomico, interpretato dall'eccellente Max von Sydow, che fissa il morente è forse quello che dà il titolo al film – Il volto, appunto – è anche quello in cui il girovago, il reietto, ma anche l'artista, si dimostra lo specchio di quelle autorità che lo condanneranno.

Perché quando lo scandalo dello spettacolo e della presenza degli artisti deflagra nel palazzo del console, la reazione istintiva, viscerale, invasata delle autorità, sarà quella di predisporre la morte del capocomico. E poiché la legge non consente loro di ucciderlo, ricorreranno a un espediente: in seguito a un incidente occorso durante lo spettacolo, lo dichiareranno ufficialmente morto e procederanno alla sua immediata autopsia. Finiranno beffati dal capocomico. Ma non sarà una beffa gratuita.

L'illusionista gli avrà rivelato qualcosa di essenziale su loro stessi, la loro necrofilia. Infatti quale ordine è più certo, più perfetto, di quello imposto attraverso la morte? E cosa dimostra con più evidenza l'autorità di un uomo – o di un gruppo di uomini – se non la facoltà di dare la morte ad altri uomini?

Sono di quelle domande su alcuni aspetti fondamentali della vita e della società che le grandi opere d'arte, i grandi film, riescono a provocare. Il volto di Ingmar Bergman appartiene a questo gruppo ristretto.

Può essere recuperato in dvd, nella “Bergman Collection”, edita dalla Bim.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 21 luglio 2018
»» QUI la scheda audio)


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