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Giulio Casale: L’ultimo Signor G 
Una società fatta di boccaloni, nello spettacolo “Polli d’allevamento” di Giorgio Gaber
29 Marzo 2007
 

A quasi trent’anni dall’ultima messa in scena è tornato sul palcoscenico dei teatri italiani lo spettacolo del ’78 di Giorgio Gaber Polli d’allevamento, che lo vedeva co-autore (insieme a Sandro Luporini) ed interprete, fieramente solitario ad incarnare con spietata inesorabilità la sua e la nostra fatica di vivere.

Interprete perfetto e fedelissimo è Giulio Casale (foto), dalla critica definito poeta-rock, leader degli Estra e autore di poesie dal buon riscontro di esperti e di pubblico.

Da vero appassionato dell’opera di Gaber, attualissima per temi ed esposizione, Giulio Casale ripropone lo spettacolo di teatro-canzone forse più caustico del grande Signor G., affidandosi agli arrangiamenti musicali di Franco Battiato e Giusto Pio.

In scena, per una serata unica il 9 marzo scorso a Ponte in Valtellina, soltanto una sedia e un attento gioco di luci a creare fulcri di attenzione per lo spettatore oppure ombre ingigantite dell’interprete sullo sfondo.

Ed è un succedersi di testi e canzoni che affrontano il quotidiano, con un esame impietoso del modo di vivere dell’uomo d’oggi, automa in vita senza accorgersene, dedito alle sue piccole meschinità, ad osservare col capo chino i dogmi di una società sterile, votata ad un ineluttabile decadimento, senza coerenza e senza coraggio.

Motore dei pensieri e delle azioni sembra essere solo l’ambizione dell’egocentrico, che si muove nel benessere, incurante degli altri e del mondo che lo circonda, compresa la natura stessa.

Il risultato? Un’umanità fragile, sfilacciata e disossata, un’umanità che abbocca ad ogni mangime: polli allevati nella finzione, anche quelli nutriti a Rivoluzioni e che ora indossano la maschera di una libertà che non è sincera, visto che la si è barattata con la capacità di usare il cervello, di discernere, di non farsi scegliere dagli oggetti del consumismo o dagli spettri di paure indotte da chi governa e vuole tutti sottomessi e pronti a divenire pedine.

Si disse, di questo spettacolo di Gaber, che in esso il Noi polemico e arrabbiato, tante volte soggetto dell’opera dell’artista, avesse ceduto il passo ad un Io sempre più isolato e disilluso dalla sua contemporaneità, un io antagonista, che ha perso ogni speranza e non crede più nella possibilità di attuare – con la forza di un pensiero controcorrente condiviso – il vero cambiamento.

«Non credo più a niente, non ho più speranze», recita il signor G. verso la conclusione di uno spettacolo emozionante, durato più di due ore «non sopporto la legge del farsi i cazzi tuoi; sono diverso perché sono solo, di quelli che dicono che sono qualunquista non me ne importa nulla, sono diverso perché quando è merda è merda, e non importa la specificazione».

È la politica, la Chiesa, il sesso, il rapporto uomo-donna, padri e figli ad essere trattato da Gaber/Casale in tutte le sue contraddizioni e lacerazioni.

Ne esce un capolavoro di attualità che merita d’essere visto e che conferma le capacità e il carisma di Giulio Casale, raffinato e convincente interprete, deciso a farsi plasmare dal testo e dalla musica di Gaber senza intenti di attoriale rivalsa, ma con quello di un’autentica stima verso un signore che invitava a riflettere – dice Giulio Casale – con la lucidità pasoliniana di inchiodare la realtà alla miseria cui l’abbiamo costretta.

 

Annagloria Del Piano

(per 'l Gazetin, aprile 2007)

 

Dallo spettacolo:

 

Salviamo ‘sto paese

(…) Bisogna far proposte in positivo
senza calcare la mano sulle possibili carenze. Lasciamo perdere il pessimismo, l'insofferenza generale dei giovani, i posti di lavoro, l'instabilità, la gente che non ne può più, la rabbia, la droga, l'incazzatura, lo spappolamento, il bisogno di sovvertire, il rifiuto, la disperazione... Cerchiamo di essere realisti. Non lasciamoci trarre in inganno... dalla realtà!
Italia
depressa ma bella d'aspetto
è un bel paesotto che tenta di essere tutto
con dentro tanti modelli
che mischia, confonde, concilia
riesce a non essere niente (…)

 

La pistola

(…) Io nel nostro tempo non ci vedo chiaro
c’è un enorme sviluppo, una gran libertà di pensiero
davvero interessante però non mi consola
porto sempre la pistola.
[parlato:] 7 e 65, l’ho già detto, certo il grilletto, c’ho già un rapporto stupendo: dolce, sensibile… clic…clic… clic!
Me la sento un po’ dura in tasca ai pantaloni
mi fa sempre un certo effetto così gelida e liscia
l’accarezzo con la mano e la sento che si scalda
a contatto della coscia.
Cammino tutto irrigidito ma mi sento bene
come se fossi eternamente in erezione
ogni tanto entro in un orinatoio
un attimo per guardare l’oggetto stupendo
nessuno può sapere che cosa sto facendo
Figuriamoci io che negli orinatoi non piscio mai! (…)

 

L’esperienza

(…) Mi sono innamorato di tanta altra gente
di storie personali e di rivoluzione
di gruppi d'avanguardia o del cielo dell'oriente
sempre come se fosse una soluzione.
Era una mia esigenza o la paura di morire
era una insofferenza, una sfida alla vita...
insomma si fa per dire…

Aggrapparsi alle cose, una nuova emozione, una fede feroce
sentire che cresce e diventa esplosione
un gran senso di vita che dura, si muta, resiste, si acquieta
ora è già meno forte, poi poco, poi meno, poi niente
di nuovo la morte… (…)

 

 

Per saperne di più:

Giulio Casale, Se ci fosse un uomo – Gli anni affollati del Signor Gaber

(Arcana Edizioni, 2006, € 14,00)

Un libro sulla produzione artistica e sull’uomo Giorgio Gaber

 

Sito Ufficiale della Fondazione Giorgio Gaber

www.giorgiogaber.it

 

 

Così presentarono il proprio lavoro Gaber e Luporini:

Il titolo stesso annuncia una presa di distanza da quel movimento giovanile che andava via via trasformandosi. Per le strade e nelle piazze non si parla quasi più della vita. Alcuni scelgono strade prettamente politiche, altri prendono posizioni di tipo misticheggiante. Quello che in Libertà obbligatoria era un sospetto di massificazione qui si trasforma da una parte in un velleitario intervento politico, dall’altra in uno scadimento inerte che assomiglia sempre più ad una moda.


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