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Le riflessioni di Fidel proseguono 
Gioia Minuti le traduce
28 Maggio 2008
 

Gioia Minuti traduce un articolo-fiume di Fidel Castro comparso sul Granma del 25 maggio per far conoscere al mondo l’opinione del vecchio dittatore sul recente discorso di Obama. Il candidato democratico alle presidenziali statunitensi ha detto che lotterà per la libertà di Cuba e ha assicurato che manterrà l’embargo.

Castro si ribella con forza a questa prospettiva di democratizzazione forzata e lo fa con parole che vorrei leggere in spagnolo, perché la traduzione della Minuti è così mal fatta da rasentare l’incomprensibilità. La riflessione di Fidel si limita alla demagogia di sempre, come da copione cita Bolívar che duecento anni fa lottò per l’unità dell’America Latina e José Martí che cento anni fa lottò contro l’annessione di Cuba agli Stati Uniti. Tutta qui la replica. La misma mierda de siempre, direbbe un cubano. E siccome mi sono preso la briga di dare voce a chi non può parlare, ragiono come un cubano, a costo di diventare volgare.

La scelta di Gioia Minuti si giustifica da sola: stare dalla parte del più forte, assecondare il potere, fare in modo che tutti sappiano cosa pensa Fidel. La mia scelta, invece, è dalla parte dei deboli. Preferisco dare voce a Yoani Sánchez, vera rivoluzionaria che racconta i problemi reali della gente. Un giornalista deve rendere conto ai lettori e alla propria coscienza delle scelte fatte. La mia è serena.

Fidel Castro afferma (nella pedestre traduzione della Minuti): «Gli Stati Uniti di oggi non hanno nulla in comune con la Dichiarazione dei Principi di Filadelfia, formulata da 13 colonie che si ribellarono contro il colonialismo inglese. Oggi costituiscono un gigantesco impero che in quei tempi non passava per la mente dei suoi fondatori. Non cambiò nulla per gli indios e per gli schiavi. I primi furono sterminati mentre la nazione si estendeva e i secondi continuarono a essere oggetto di aste nei mercati - uomini, donne e bambini - durante quasi un secolo, anche se tutti gli uomini nascono liberi e uguali, come afferma la dichiarazione…». La Cuba del 2008, invece, ha qualcosa in comune con gli ideali di libertà, democrazia, uguaglianza e solidarietà che unirono il popolo contro la dittatura di Batista? Fidel Castro ricorda di aver condotto una lotta non comunista per formare l’uomo nuovo? Mi sembra troppo facile puntare il dito contro l’altrui pagliuzza e non vedere il trave nascosto nel proprio occhio.

Fidel Castro contesta le accuse di Obama. Non è vero che la Rivoluzione cubana è anti democratica e carente di rispetto di libertà e diritti umani. «La Rivoluzione fu il prodotto del dominio imperiale e non ci possono accusare d’averla imposta» aggiunge Castro. La colpa di tutto sarebbe degli Stati Uniti e dell’embargo, senza di loro la Rivoluzione sarebbe stata più democratica…

Castro tocca il ridicolo quando cita le percentuali bulgare con cui a Cuba vengono eletti i rappresentanti politici. «Siamo stati eletti con la partecipazione di più del 90% degli elettori… non la ridicola partecipazione che molte volte, come negli Stati Uniti, non raggiunge il 50% degli elettori…». Non si fa cenno dei metodi con cui gli elettori vengono convinti a votare e neppure di come si svolgono certe votazioni plebiscitarie durante le quali è impossibile scegliere candidati diversi da quelli imposti dal partito.

Castro procede con una serie di domande che invito a leggere direttamente dal pezzo della Minuti. Sono i soliti discorsi di sempre. Accusa il presidente statunitense di ordinare uccisioni nel mondo, di torturare, di fare terrorismo di Stato, di destabilizzare Cuba con la Ley de Ajuste, di incentivare politiche razziste, di compiere retate, di portare via cervelli dai paesi poveri, di intervenire con la forza dove ritiene opportuno e di investire in armi.

Castro conclude che Obama non conosce Cuba, paese dove i programmi d’educazione, salute, sport, cultura e scienze applicate, sono in primo piano. Cuba è un paese solidale ed eroico che lotta da anni contro un odioso blocco economico.

«La nostra Rivoluzione può convocare decine di migliaia di medici e tecnici della sanità e può ugualmente convocare in massa maestri e cittadini disposti a marciare verso qualsiasi angolo del mondo per qualsiasi nobile proposito, non per usurpare diritti o conquistare materie prime» conclude Castro.

Gioia Minuti dà voce a una serie di affermazioni apodittiche basate su badilate di retorica. Il dittatore parla di Cuba come fosse un paradiso in terra dove tutti sono felici e solidali, aiutano i popoli in difficoltà e nessuno si lamenta. L’unico problema di Cuba sarebbero gli Stati Uniti. Nessun accenno a una volontà di cambiare in senso democratico, nessuna indicazione sui problemi economici, nessuna affermazione sui diritti civili e sulle libertà negate, nessun passo indietro nei confronti di un'economia che costringe un popolo a una vita di truffe e di inganni.

Cuba è un paese con un assurdo doppio sistema monetario che rende tutti poveri e in balia delle rimesse degli emigranti. Cuba è un paese dove si finisce in galera per esprimere un’opinione difforme da quella del regime. Cuba è un paese dove si deve arrivare alla fine del mese con cinque dollari di stipendio. Cuba è un paese dove i signori del regime fanno la bella vita ai danni dei poveri. Cuba è un paese dove non esiste nessun tipo di libertà. L’elenco non è esaustivo…

Fidel Castro non sa fare di meglio che sventolare ancora una volta il fantasma yankee. Peccato che non ci creda più nessuno. A parte Gioia Minuti e pochi altri che hanno trovato l’America nella Rivoluzione Cubana.

 

Gordiano Lupi

 

 

Qui il testo integrale delle “riflessioni”, nella traduzione di Gioia Minuti

(“La politica cinica dell'impero” – Granma internacional digital, 26/05/2008)


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